Le raccapriccianti immagini che ci sono giunte dai kibbutzim assaltati dalle milizie di Hamas sabato 7 settembre rappresentano un salto di qualità che ha importato nell’endemico conflitto israelo-palestinese picchi di violenza in linea con i peggiori scenari bellici degli ultimi decenni.
Simili a quanto visto nella ex Jugoslavia, dove si sono trovati i corpi di donne incinte sventrate a cui avevano estratto i feti. Simili a quanto fatto dall’Isis nella sua atroce avanzata mediorientale degli scorsi anni. Troppo presto dimenticata la tragedia degli yazidi.
Immagini tra l’altro esibite dalla propaganda di Hamas come trofeo su tutti i social network del mondo, talmente efferate da aver portato alcuni ad accostarle ai sadici esperimenti del dottor Mengele, il boia di Auschwitz.
Il nazismo, del resto, è l’etichetta sempre pronta per definire qualunque forma di male assoluto, quale certamente sono le teste mozzate di neonati che si stanno scoprendo man mano che i villaggi occupati vengono liberati dall’esercito israeliano, che ha ripreso il controllo del confine sud. Viene da dire, magari fosse così.
L’antigiudaismo islamico che Hamas rende esplicito nel punto 7 del proprio statuto, dove si invoca l’uccisione di ogni ebreo (badare bene non di ogni israeliano) non abita in un astratto mondo metafisico, ma è ben radicato nella terra ed ha ragioni storico-culturali ben precise.
Ormai smentita dalle ricerche più recenti l’immagine irenica, anche a causa di una frattura fra ebraismo sefardita e ashkenazita, della presunta tolleranza di cui avrebbero goduto le comunità ebraiche nei Paesi musulmani prima del trauma del 1948, ciò che appare chiaro da un excursus storico è la difficoltà del mondo arabo e musulmano ad accettare gli ebrei secondo un principio di parità, come dovessero essere eternamente relegati al ruolo di dhimmi, definizione per i sudditi non musulmani, ma legati alle Scritture, in un territorio islamico.
Il cristiano odia gli ebrei, il musulmano Israele, dice un adagio popolare ebraico. Battuta assai sbrigativa, ma con un fondo di verità. Se l’emancipazione ebraica veniva vista con sospetto al momento della penetrazione in nord Africa e Medio Oriente degli ideali egualitari occidentali, insopportabile diventa nel momento in cui si trasforma in movimento di autodeterminazione nazionale. Quando, insomma, diventa sionismo.
Mancata elaborazione
È vero si tratta di mondi teologici molto diversi, a cominciare dal fatto di non avere un’autorità centrale che indichi, o anche imponga, una linea comune. È vero, il mondo musulmano, per quanto non sia stato tenero verso gli ebrei, non ne ha progettato una «soluzione finale» e, anche se l’amicizia fra Hitler e il Gran Muftì di Gerusalemme è assai nota, non convive col senso di colpa per la Shoà, come, invece, ciascun paese europeo.
Si sente, però, la mancanza di un corrispettivo di ciò che è stato da noi il Concilio Vaticano II, svolta di cui a mio avviso non è ancora chiara la portata, che ha rivisto in senso critico la storia delle relazioni ebraico-cristiane, tentando nuove vie, per la verità non ancora pienamente definite, rispetto alla teologia della sostituzione, che vedeva nell’ebraismo solo un prodromo del cristianesimo da superare definitivamente in nome di non si sa bene quale progetto di astratta fratellanza universale.
Questa elaborazione culturale, ancor più che teologica, il mondo musulmano non l’ha mai fatta e parte da qui il rifiuto dello Stato ebraico, iniziato ben prima rispetto a qualunque forma di occupazione, che semmai, e parlo proprio dal punto di vista cronologico, ne è la conseguenza.
Con ciò, non la giustifico affatto e mi rendo conto quanto abbia ulteriormente esacerbato gli animi e rafforzato l’immagine stereotipata dell’ebreo come usurpatore della terra islamica.
C’è un famoso episodio biblico che riguarda Abramo e sua moglie Sara, come noto sterile. Avvolta dall’angoscia di non poter generare per il marito, che prima o poi, paura primordiale dai tempi di Eva, avrebbe cercato altrove moglie più adatta, si affida a quella che un po’ frettolosamente è stata definita la pratica dell’utero in affitto ante litteram.
Consentirà ad Abramo di generare con la sua serva Agar, che il midrash spiega in realtà essere una principessa egizia. Da questa unione nascerà Ismaele, considerato il capostipite dell’islam. La storia è nota: Dio, successivamente, annuncerà ad Abramo e Sara la nascita di un figlio, che verrà chiamato Itzhaq-Isacco, dalla risata (ridere in ebraico è litzhoq) che Sara stessa, ormai anziana, si farà dopo aver udito la promessa divina.
Da Isacco nascerà Giacobbe-Israele. I due, Isacco e Ismaele, cresceranno insieme per un periodo di tempo, finché la matriarca Sara vorrà allontanare dal marito Agar e suo figlio. Il pretesto non sarà difficile da trovare.
Sta di fatto che Ismaele si è visto sottratto della legittima primogenitura che, dato non trascurabile, comprende anche l’eredità della terra. Il commento a questi straordinari passi che fondano la memoria culturale di intere civiltà ci dice che Ismaele diverrà un grande condottiero e che Abramo, di nascosto da Sara, sempre provvederà al sostentamento suo e di Agar. Di fatto, però, la primogenitura passerà ad Isacco.
Il grande maestro medievale Rav Moshè ben Nachman, noto come il Nachmanide, sosterrà che questo è il peccato eterno a cui l’ebraismo dovrà rimediare per generazioni e generazioni. Al funerale di Abramo, i due figli saranno presenti e, contro ogni protocollo del tempo, il maggiore Ismaele cederà il passo al minore Isacco.
Superare lo scontro di civiltà
La narrazione biblica, non certo relegabile in un ambito religioso, dunque, qualche spunto di conciliazione lo offre, ma bisogna studiare ed interpretare. Sicuro, politiche di prolungata occupazione, che sempre più hanno assunto le sembianze di rimozione di questa origine culturale, non paiono la strada giusta. Me ne rendo conto come tanti, tantissimi nello stesso Israele.
Detto questo, non vorrei si creassero alibi e fraintendimenti, Hamas sfrutta un quadro di rancore culturale che affonda le proprie radici in un passato ancestrale, ma è chiaro che questa associazione di terroristi tagliagole, che governano il proprio territorio con logica mafiosa e leggi medievali, sopprimendo qualunque barlume di opposizione critica, senza nemmeno farsi scrupoli ad utilizzare i propri cittadini come carne da macello a fini di propaganda, non c’entra nulla con quella straordinaria cultura che è l’islam, senza la quale sarebbe semplicemente impossibile pensare l’occidente moderno.
Se c’è una cosa che non possiamo permetterci in questo momento è cedere alla logica dello scontro di civiltà che tanti danni ha già procurato nel dopo 11 settembre. Pare assurdo dirlo ora, ma, tra qualche anno, questo shock potrà anche generare qualcosa di buono. Anzitutto la capacità delle parti di liberarsi delle proprie estreme. A quel bivio, dobbiamo farci trovare preparati, con nuovi schemi culturali, che sono anche modalità relazionali. Il mondo ebraico ha fatto tanto, anche se mai abbastanza, in questo senso; è pronto anche quello musulmano?
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