Qualcuno tira un respiro di sollievo. Come Marta Gonzalez: «Basta mascherina! Si respirava così a fatica!». Altri sono preoccupati. «Circolano le varianti, pochi sono vaccinati…Quali riaperture? Bisognerebbe ascoltare gli esperti, invece che i businessmen» dice Rhonda Watson. Che aggiunge: «Ve lo ricordate un anno fa, quando sono stati riaperti i bar troppo presto e l’abbiamo pagata cara?». «Il governatore non vuole imparare dai suoi errori», le dà ragione Ashley Whetson. La comunità di San Antonio, in Texas, commenta la scelta del repubblicano Greg Abbott di riaprire. La Prensa Texas, giornale «iperlocale» nato nel 1913, ha aperto il dibattito non appena Abbott ha annunciato le «riaperture al cento per cento». Il 2 marzo ha siglato un ordine esecutivo: dice che «alla luce del calo di contagi e ospedalizzazioni dovuto ai vaccini» il Texas si libera dalle restrizioni. «Le attività economiche possono riaprire», tutte, e lo stato «non impone l’uso di mascherine». «Nulla impedisce di richiedere ai propri impiegati o clienti accortezze igieniche», ma igienizzare le mani o indossare protezioni è affidato alla buona volontà; vietato multare chi non lo fa.

Fretta di riaprire

«La gente e le aziende non hanno bisogno che lo stato dica loro cosa fare», dice il governatore. Il Texas fa da apripista con le aperture ma non è altrettanto avanti con le vaccinazioni: nel giorno dell’annuncio, appena il 12 per cento era stato vaccinato e la metà aveva ricevuto entrambe le dosi. A oggi è vaccinato il 22 per cento; sotto la media Usa, che è del 25. Il Connecticut è al 30. Da lunedì i texani di ogni età, non solo i più anziani, potranno vaccinarsi; la fretta nel riaprire è figlia di una scelta politica, non di primato epidemiologico. Abbott si era già distinto per mosse simili. A giugno una riapertura troppo frettolosa dei bar ha portato a un aumento dei contagi tale che a Houston gli ospedali erano saturi. Per il Guardian è un «esempio di come non va gestita» l’epidemia. «Sono arrivato a College Station a gennaio e mi ha stupito che qui alcuni ancora paragonassero Covid-19 a un’influenza», dice Manuel Da Dalt. Ha risposto alla call di Domani per le testimonianze dai paesi che riaprono. Sta frequentando un semestre alla Texas A&M. «Prima di marzo, già le restrizioni erano blande. Locali, discoteche, erano aperti».

Disuguaglianze

Il Texas è lo stesso stato dove nel pieno della prima ondata manifestanti ed esponenti della alt-right scesero in strada al grido di «licenziate Fauci!» e «liberate l’America dal lockdown». La scorsa primavera, mentre Trump premeva per «far ripartire l’economia», il vicegovernatore Dan Patrick dichiarò che «i nonni sarebbero lieti di sacrificarsi per salvare l’economia per i nipoti».

Un anno dopo, con la caduta delle restrizioni, chi lavora a contatto con il pubblico è preoccupato. Il sindaco dem di Austin difende l’obbligo di mascherina. «I coetanei texani mi hanno spiegato che qui se stai male ti conviene chiamare un Uber: l’ambulanza, con le assicurazioni, viene almeno 100 dollari». Le aperture sono per tutti ma gli effetti diseguali. Columbia University parla di medical deserts, zone dove l’assistenza medica non c’è; i “deserti” sono più frequenti in aree rurali o dove vivono comunità non bianche. In Texas, 159 su 254 contee non hanno chirurgie generali. Anche la vaccinazione non è uguale per tutti: National Public Radio mostra che i siti per le inoculazioni non sono ugualmente a portata di mano per bianchi o ispanici; e le situazioni più escludenti per questi ultimi sono in Texas. Le infrastrutture sono disposte spesso dove ci sono già quelle sanitarie, e cioè «nelle zone abitate da bianchi». La scelta di Abbott, un anno fa, di considerare “essenziali” tutte le imprese edili ha comportato rischi maggiori per i lavoratori latinos – dice l’università del Texas ad Austin.

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