Anche nell’ambiente maschile, e spesso misogino, del Vaticano qualche donna è riuscita a far breccia. Nel passato la leggenda di Petronilla, figlia di san Pietro, o la storia intrigante della papessa Giovanna hanno dato corpo ai timori suscitati dall’elemento femminile. Ma vi sono state sante in rapporto, anche burrascoso, con i pontefici – Ildegarda di Bingen e Caterina da Siena, dichiarate «dottori della chiesa» da Benedetto XVI e da Paolo VI – e donne influenti nella curia, come Vannozza Cattanei, amante di Rodrigo Borgia, poi papa Alessandro VI, o Cristina, la colta regina di Svezia che si fece cattolica e lasciò il trono stabilendosi a Roma. Dopo il crollo dello stato pontificio, a incrinare le compatte mura maschili del microcosmo vaticano (e quelle del «sacro palazzo») sono, in modo diverso, tre donne.

La religiosa tedesca Teresa Bong ha accesso a Pio X – fermo sulla dottrina ma deciso riformatore – ed è soprannominata «il cardinale». Teodolinda Banfi è la prima laica a entrare, sia pure come guardarobiera, nell’appartamento papale con Pio XI; ma il pontefice che dovrà affrontare Mussolini e Hitler viene costretto dalle critiche curiali, e soprattutto dal piglio autoritario della sua domestica, a mandarla in pensione dopo appena tre anni. La terza invece, la celebre suor Pascalina Lehnert, arriva in Vaticano con il segretario di stato Pacelli e vi resta quasi un trentennio.

Il primo incontro tra il futuro Pio XII e la religiosa chiamata «la papessa» oppure virgo potens – usando per la religiosa un’invocazione rivolta alla Madonna – avviene nel 1918 a Monaco di Baviera. L’anno prima l’arcivescovo Pacelli vi era stato nominato «nunzio apostolico», cioè ambasciatore del papa: «La figura alta e slanciata, il viso magrissimo e pallido, con due occhi che riflettevano l’anima e che conferivano particolare bellezza» lo descriverà madre Pascalina nelle sue memorie.

Appena ventiquattrenne, la suora bavarese viene destinata con due religiose a servire nella nunziatura di Monaco. Subito s’impone sul personale della rappresentanza diplomatica e sulle stesse consorelle. Ma soprattutto sa guadagnarsi la fiducia dell’austero prelato, che l’affascina e di cui inizia a prendersi cura. Poi nel 1920 la morte improvvisa della madre Virginia – alla quale Pacelli è attaccatissimo – prostra il nunzio. «Per un anno fu la sua governante Pascalina ad accompagnarlo, accudirlo, consolarlo; senza esitare, quando mostrava troppe debolezze, a riservargli anche qualche trattamento più duro. Come la sua mamma» scrive, cogliendo nel segno, Bénédicte Lutaud nel suo riuscitissimo Le donne dei papi (Guerini e Associati, a cura di Vittorio Robiati Bendaud).

I sussurri e i mugugni si accumulano, anche per l’imperiosa prepotenza della fedelissima collaboratrice del diplomatico. Inutilmente. Suor Pascalina è indispensabile e con lui si trasferisce a Berlino, dove l’arcivescovo è il primo nunzio. Creato cardinale e nominato nel 1930 segretario di stato, Pacelli la porta in Vaticano, contro tutti. Grazie all’appoggio di Pio XI, che – nonostante le diversità di carattere e di vedute – lo stima e lo presenta come il suo candidato alla successione.

Pascalina accompagna il segretario di Stato nei viaggi che contribuiscono a farlo conoscere nel mondo: a Buenos Aires, negli Stati Uniti, a Budapest. Ma soprattutto – unica donna nella storia – entra nel conclave che in meno di ventiquattro ore nel 1939 elegge Pacelli.

Detestata dai curiali, ma sostenuta da cardinali amici come Faulhaber, l’erudito arcivescovo di Monaco, e Spellman, il potentissimo «papa americano» alla guida della diocesi di New York, la religiosa resterà a fianco di Pio XII per tutto il pontificato, non solo come governante, ma come segretaria personale: di Pascalina il papa si fida. È lei, negli anni terribili della guerra, a organizzare il magazzino del pontefice e a distribuire denaro, cibo, medicine, vestiti, fino a definirsi «amministratrice della carità universale del papa». È ancora lei a sorvegliare con rigore sull’appartamento, sulla giornata e sugli impegni di Pio XII. Ed è infine sempre lei a preoccuparsi della salute del papa, sempre più afflitto da malattie e che la suora difende senza riguardi per nessuno. La pagherà: morto Pacelli, la sera stessa dei suoi funerali deve lasciare il Vaticano. Ma vi tornerà da morta nel 1983, per essere sepolta tra le palme del minuscolo Camposanto Teutonico accanto a San Pietro.

Wanda Półtawska

Trascorsi il ventennio dei papi del concilio (Roncalli e Montini) e l’appendice del brevissimo pontificato di Luciani, con l’elezione del polacco Wojtyła entra in Vaticano un’altra donna, Wanda Półtawska. Originaria di Lublino e oggi ultracentenaria, a uno sguardo superficiale sembrerebbe una replica di Pascalina, anche per il carattere d’acciaio e le comuni vedute conservatrici, ma è una laica, e lo spessore è ben diverso. Giovanissima resistente all’occupazione nazista della Polonia, viene tradita e torturata. Deportata a Ravensbrück, assiste a orrori indicibili e come cavia è sottoposta dai chirurghi del campo ad atroci esperimenti: tre anni spaventosi che racconta in un libro (E ho paura dei miei sogni). Dopo la guerra, Wanda studia medicina e diventa psichiatra, si sposa con Andrzej, giovane filosofo con cui avrà quattro figlie. Nel 1952 a Cracovia la svolta: in un’antica chiesa al centro della città incontra Karol Wojtyła, con il quale si confessa.

«È amore a prima vista. Un colpo di fulmine spirituale. E come ogni colpo di fulmine non può essere spiegato» definisce con intelligenza Lutaud il rapporto tra i due, che dura oltre mezzo secolo, fino alla morte del papa. «Vieni la mattina alla messa, vieni ogni giorno» le dice alla fine della confessione il giovane prete. Karol entra a far parte della famiglia. Le bimbe lo chiamano zio ma per Wanda diventa «il Fratello». Wojtyła e la donna – che lui chiamerà sempre Dusia o «sorellina» – si confidano e si scrivono per decenni, scambiando riflessioni e meditazioni. Tutti e sette insieme d’estate percorrono in tenda le montagne e i boschi selvaggi a sud di Cracovia, ma soprattutto tra il futuro papa e la sua amica si consolida un legame intellettuale e spirituale indistruttibile.

Il pontefice la vuole spesso in Vaticano, dove Wanda ha la chiave dell’ascensore che dal cortile di Sisto V porta direttamente all’appartamento papale. Dopo l’attentato del 1981, con il marito scopre delle cimici nel «palazzo apostolico». Per suggerimento del papa, nel 1993 inizia a scrivere le sue memorie. «Sarebbe un peccato» bruciarle, le conferma poco prima di morire Giovanni Paolo II. Vengono così alla luce le seicento pagine del Diario di un’amicizia (San Paolo), con annotazioni scritte giorno per giorno, ricordi e molte lettere di Wojtyła. Non tutti approvano la pubblicazione, e aperta è l’ostilità di due uomini vicini al papa che l’hanno sempre avversata: il segretario Dziwisz e il portavoce Navarro-Valls, per timore che il libro ostacoli la beatificazione del pontefice.

L’antipatia del primo, ricambiata da Półtawska, non è solo gelosia per un rapporto ben più antico e solido, ma diviene scontro sull’arcivescovo Juliusz Paetz, accusato di molestie nei confronti di seminaristi, che il potente segretario del papa protegge e copre, ma del quale Wanda ottiene nel 2002 la destituzione. Wojtyła – scrive Wanda ricordando il loro primo incontro – «non voleva dare sé stesso agli uomini, ma condurli a Cristo, per così dire, attraverso sé stesso, ma non a sé stesso». E quattro giorni dopo l’elezione il papa confida alla sua Dusia: quando Andrzej mi disse che eri stata a Ravensbrück, «è nata nella mia consapevolezza la convinzione che Dio mi dava e mi assegnava te, affinché in un certo senso io “compensassi” quello che avevi sofferto lì. E ho pensato: lei ha sofferto al mio posto».

Il presente

Altre donne, scelte e raccontate magnificamente da Lutaud, sono vicine ai papi recenti. Hermine Speier, archeologa ebrea protetta da Pio XI, è la «monsignorina» a lungo fidanzata con l’esploratore artico Umberto Nobile. La potente e furba badessa delle brigidine Tekla Famiglietti si fa «diplomatica segreta» di papa Wojtyła e arriva fino a Fidel Castro.

Infine «la femminista del Vaticano», la storica e giornalista Lucetta Scaraffia, grazie a Ratzinger fonda e dirige «Donne Chiesa Mondo», l’unica testata femminile vaticana. «Avete opposizioni» le domanda nel 2018 Benedetto XVI. Non ci mancano, risponde la combattiva intellettuale torinese. «Allora vuol dire che state lavorando bene» l’incoraggia il papa emerito.
 

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