I talebani continuano a reprimere le libertà dei cittadini afghani, che rischiano di essere messi in secondo piano dalla Comunità internazionale per via della guerra in Ucraina, nonostante l’esistenza di una società civile che prova non piegarsi alle nuove direttive degli studenti coranici
Un anno fa i talebani entravano a Kabul, nella capitale dell’Afghanistan, decretando la presa del paese dopo il ritiro delle truppe statunitensi. Migliaia di afghani, soprattutto persone che hanno collaborato con i governi e gli eserciti occidentali, accorrevano in fretta e furia all’aeroporto internazionale per cercare di salire sugli aerei militari per essere evacuati.
A distanza di un anno l’Afghanistan vive tutt’ora una profonda crisi economica e milioni di persone stanno affrontando anche una crisi alimentare. Il regime talebano che si è insidiato per guidare il paese fatica a ottenere il riconoscimento internazionale nonostante alcuni esponenti del governo hanno partecipato a meeting diplomatici importanti come quello che si è tenuto in Turchia nella città di Antalya lo scorso marzo.
In un anno la leadership talebana ha dato vita a misure rigide e stringenti di codici di condotta che limitano soprattutto i diritti delle donne. Non solo, stando a un rapporto delle Nazioni unite, pubblicato lo scorso gennaio, dalla presa di Kabul di metà agosto a fine 2021 i talebani hanno ucciso oltre cento persone che erano sospettate di aver collaborato con l’occidente negli ultimi venti anni. Per le scuole il capitolo è ancora controverso, con solo gli studenti maschi che continuavano a frequentare le scuole e le università. Oggi si attende un nuovo decreto che ponga un dress code adeguato affinché anche le ragazze possano continuare il loro percorso di studi.
Qui, alcune delle misure repressive adottate dal nuovo governo da agosto a oggi:
Il divieto per le donne di viaggiare da sole:
A dicembre gli studenti coranici hanno introdotto una norma che vieta alle donne di viaggiare da sole per oltre 72 chilometri. Per farlo devono essere accompagnati da un uomo della famiglia. La direttiva, pubblicata dal ministero della Promozione della virtù e della prevenzione del vizio, chiede anche ai tassisti di non far salire in macchina donne che non indossino il «velo islamico».
L’imposizione del burqa:
Lo scorso maggio il leader supremo dei talebani, Hibatullah Akhundzada, ha emesso un decreto con cui si chiede alle donne di indossare il burqa (l’indumento femminile che copre tutto il corpo, lasciando scoperta solo una striscia di tessuto all’altezza degli occhi) per evitare provocazioni. Inoltre, secondo il provvedimento, le donne devono rimanere a casa se non hanno particolari lavori da svolgere all’esterno.
L’imposizione del burqa ha coinvolto anche le giornaliste televisive che sono state costrette ad adeguarsi alle direttive dei talebani per evitare pressioni contro le loro aziende come è accaduto a metà maggio.
Le regole per i canali televisivi e le attrici:
Lo scorso novembre, come riporta la Bbc, i talebani hanno introdotto una serie di linee guida per i canali televisivi. Tra queste c’è il divieto di proiettare film considerati contrari ai principi della Sharia e ai valori afghani. Sono, inoltre, proibite le riprese di uomini che espongono parti intime del corpo, così come gli spettacoli di intrattenimento che possono essere considerati offensivi per gli afghani. Mentre i film stranieri che promuovono valori culturali stranieri non devono essere trasmessi, così come le attrici non possono apparire nelle serie tv afghane.
Lo scioglimento delle commissioni elettorali:
Lo scorso dicembre i talebani hanno deciso di sciogliere le due commissioni elettorali del paese che avevano il compito di supervisionare su ogni tipo di elezione (presidenziale, parlamentare e provinciale). A dare l’annuncio era stato Bilal Karimi, vice portavoce del governo talebano che aveva annunciato lo scioglimento della Commissione elettorale indipendente e della Commissione per i reclami elettorali. La motivazione? Si trattava di organismi che non avevano funzione di esistere in questo momento storico che sta attraversando l’Afghanistan, ma secondo Karimi potrebbero essere reintrodotte in futuro.
La chiusura dei ministeri:
Non appena giunti al potere i talebani hanno cercato di chiudere alcuni ministeri considerati obsoleti e di contrasto al quadro della legge islamica. Così sono stati sciolti per prima i ministeri per la Pace e quello per gli Affari parlamentari e poi, tra gli altri, anche quello per gli Affari delle donne. Un gesto simbolico oltreché politico.
Repressione contro i giornalisti
Secondo un sondaggio dell’Unione nazionale dei giornalisti afghani, pubblicato a marzo e citato da Al Jazeera, il 79 per cento delle giornaliste afghane ha affermato di essere stata insultata e aver ricevuto minacce di tipo fisico e verbale da quando i talebani hanno preso il potere. Inoltre, circa il 60 per cento delle giornaliste afghane intervistate ha affermato di aver perso il lavoro dopo la caduta di Kabul dello scorso agosto.
Secondo un altro documento pubblicato dall’Onu sarebbero almeno 173 i giornalisti e operatori dei media che sono stati oggetto di violazioni dei diritti umani, come arresti, torture e minacce. Mentre sono sei i giornalisti che sono stati uccisi, cinque dei quali da militanti dell’Isis e il sesto in circostanze poco chiare.
A un anno di distanza i talebani continuano a reprimere le libertà dei cittadini afghani, che rischiano di essere messi in secondo piano dalla Comunità internazionale per via della guerra in Ucraina, nonostante una società civile che prova non piegarsi alle nuove direttive degli studenti coranici.
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