La notizia del fallimento delle trattative tra Leonardo e il consorzio franco-tedesco Knds per la fornitura del nuovo carro armato all’Esercito italiano ha animato negli ultimi giorni i giornali specialistici, ma il problema non riguarda solo il piano industriale. La questione infatti è anche politica e dice molto sulla forza del cosiddetto Sistema paese e sulla tanto dibattuta integrazione europea a livello di difesa.

Tutto è iniziato sei mesi fa con la firma della lettera di intenti tra le due parti, alla presenza anche del segretario generale della Difesa a benedire l’avvio di una “alleanza strategica” che avrebbe dovuto contribuire all’ammodernamento delle forze terrestri italiane.

Leonardo e Knds però non sono riuscite a trovare un accordo su un punto specifico: l’azienda italiana voleva costruire la torretta e il sistema di gestione del combattimento attraverso Oto Melara e la sua divisione elettronica – coinvolgendo anche la società tedesca Hensoldt, di cui detiene il 23 per cento – ma la richiesta non è stata accolta da Knds. Le due aziende hanno rilasciato ognuna il proprio comunicato stampa, presentando la questione come unicamente industriale, ma, come spiega a Domani una fonte autorevole vicino al dossier che preferisce rimanere anonima, le responsabilità sono anche politiche e militari.

«La vicenda Leonardo-Knds è stata gestita male. La stessa comunicazione della rottura non vede come attore e comunicatore la Difesa, il che è strano. Il segretario generale, il ministro della Difesa o il sottosegretario avrebbero dovuto esprimersi su una questione che era stata già comunicata al parlamento e approvata in termini finanziari e spiegare che non è stato possibile trovare un accordo per installare dei sistemi italiani sul carro armato tedesco.

Questo ha risvolti industriali importanti, ma la richiesta rigettata da Knds veniva dal cliente, cioè dalla Difesa, non da Leonardo». Il governo avrebbe dovuto avere una presenza maggiore all’interno della vicenda, dato che il problema è più politico e militare che non industriale. L’installazione di sistemi italiani sul Leopard avrebbe certamente favorito Leonardo e il sistema industriale nazionale, ma ad aver bisogno di un accordo con la tedesca Knds su questo specifico punto era prima di tutto l’Esercito italiano per proprie esigenze militari. Leonardo, interpellata da Domani, non ha voluto commentare.

Le alternative

Secondo la fonte, è strano che la lettera di intenti sia stata firmata senza aver prima risolto i nodi principali. Un’ipotesi è che il punto di partenza delle trattative non sia stato chiarito del tutto da una delle due parti o da entrambe, nella speranza di poterne trarre successivamente un vantaggio. C’è anche un’altra questione che fa sorgere delle domande sulle trattative tra Leonardo e Knds. In questi giorni è in corso a Parigi l’Eurosatory, la più grande mostra biennale dedicata al settore terrestre, e proprio in questa sede la tedesca Rheinmetall ha svelato il prototipo del cingolato da combattimento per la fanteria Lynx, equipaggiato con una torretta realizzata da Leonardo. Un dettaglio ancora più rilevante se si considera che Rheinmetall è quotato come il più probabile partner dell’ex Finmeccanica per la realizzazione dei prossimi veicoli armati blindati da combattimento italiani.

Ci dovrebbero essere, però, almeno tre aspetti da considerare prima di scegliere i prossimi mezzi per le forze armate italiane: comunalità, esportabilità e tempistiche. Il primo punto è proprio quello che ha fatto saltare l’accordo tra Leonardo e Knds. All’esercito italiano servono dei carri armati dotati di sistemi di bordo in grado di interagire con gli altri mezzi terrestri e con quelli aerei (velivoli, elicotteri, droni) e spaziali, scambiandosi i dati che servono per avere il quadro completo della situazione sul terreno.

Da qui la richiesta di dotare i Leopard di sistemi italiani e non tedeschi, necessari per soddisfare un’esigenza primariamente militare. Questo bisogno deve però coesistere con la necessità di ridurre i costi della manutenzione e dell’ammodernamento di mezzi sempre più tecnologicamente complessi e quindi costosi. Se il carro armato scelto dall’Italia venisse adottato da più paesi, sarebbe possibile condividerne le spese per la produzione, i miglioramenti, per la formazione, la manutenzione, ecc., avendo allo stesso tempo più eserciti che usano mezzi simili nelle stesse operazioni.

Se il carro armato risultasse invece troppo italiano, non sarebbe appetibile sul mercato estero e ci sarebbero delle ripercussioni anche economiche forti. In ultimo vanno valutati i tempi di acquisizione, considerando che ci vogliono ormai parecchi anni per produrre e consegnare i mezzi più all’avanguardia. L’Esercito italiano però ha bisogno di mezzi il prima possibile. Per avere un numero sufficiente di carri armati Ariete ammodernati serviranno quattro anni, ma nel mentre dovrebbe arrivare anche il nuovo carro armato. Il Leopard infatti era stato scelto proprio perché già in produzione.

Non va poi dimenticato il risvolto economico della faccenda. Il programma è già stato approvato dalle commissioni parlamentari e inserito nel Documento programmatico pluriennale 2023-25 con un finanziamento previsto di 8,24 miliardi di euro nei prossimi 15 anni, di cui 100 milioni finanziati quest’anno. Adesso, spiega la fonte, è probabile che si cercherà di rimanere nei limiti di spesa tagliando su alcune voci, anche perché con meno del 2 per cento del Pil dedicato alla Difesa ci sono pochi margini di manovra.

Il futuro

Il fallimento delle trattative tra Leonardo e Knds ricorda come manchi una strategia europea della difesa. I governi dei paesi membri stanno accelerando sull’ammodernamento delle proprie forze armate e per farlo non possono limitarsi ad attingere all’industria nazionale, ma i tentativi di creare delle alleanze industriali o di accentrare almeno in parte le decisioni politiche in Europa stanno avendo scarso successo.

«Si dovrebbe pensare alla creazione di un polo terrestre italiano che metta insieme Oto Melara, Iveco Defence Vehicles e Rheinmetall Italia per migliorare le capacità industriali italiane», propone la fonte consultata da Domani, ma è una decisione che deve partire dal governo, coinvolgendo tutti i ministeri interessati.

A livello europeo, invece, si potrebbe iniziare a pensare ad apparati, sistemi di propulsione e munizionamento guidato che vadano bene per tutti, ma gli interessi nazionali continuano a prevalere.

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