L’ondata di russi che ha lasciato il paese dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina nel febbraio del 2022 rappresenta l’esodo più significativo dalla Russia degli ultimi tre decenni. Una migrazione di massa difficile da quantificare con precisione, poiché Mosca non rivela ufficialmente i dati e le persone che si sono trasferite all’estero l’hanno fatto in modi molto diversi, tra chi ha continuato a lavorare in Russia dall’estero, chi è rientrato dopo un breve periodo e chi ha effettivamente tagliato i ponti con la madrepatria.

Le due principali ondate di emigrazione si sono verificate a fine febbraio e inizio marzo 2022, subito dopo l’invasione dell’Ucraina, poi di nuovo a fine settembre dello stesso anno, quando Vladimir Putin ha annunciato la mobilitazione militare parziale di 300mila uomini da mandare a combattere sul fronte ucraino.

In base a diverse stime, durante il primo anno di guerra circa un milione di russi si è trasferito all’estero. Nei dodici mesi successivi però molte persone sono rientrate, secondo il Cremlino almeno la metà.

Una scelta in parte voluta e in parte forzata: i permessi di soggiorno infatti non sempre vengono rinnovati, lavorare in Russia dall’estero è diventato sempre più complicato per via delle sanzioni secondarie e dei controlli sulle transazioni bancarie.

Ma c’è anche chi semplicemente ha preso atto che la situazione nel paese si è normalizzata, scegliendo di tornare per unirsi al distorto boom economico russo legato alle spese militari e all’abbondanza di posti vacanti, senza temere la coscrizione visto che ormai a combattere in Ucraina si va quasi esclusivamente su base volontaria.

Dove sono andati

Uno studio di Denis Kasyanchuk per The Bell, sito indipendente russo specializzato su questioni economiche, ha cercato di quantificare la nuova diaspora russa mettendo insieme le informazioni fornite dai paesi ospitanti, arrivando alla conclusione che attualmente ci sono almeno 650mila russi che dall’inizio della guerra hanno lasciato il paese senza tornare indietro.

Le destinazioni principali degli espatriati russi sono Armenia (110mila), Kazakistan (80mila) e Georgia (74mila); più 80mila ebrei russi trasferitisi in Israele. Seguono la Serbia (30mila) e la Turchia (28mila), mentre nell’Unione europea i paesi che hanno accolto più russi sono Germania (36mila), Spagna (16mila) e Paesi Bassi (12mila).

Negli Stati Uniti sono andate circa 48mila persone, nel Regno Unito 15mila. Tali cifre vanno considerate come una stima al ribasso, dato che alcune destinazioni molto importanti – come Emirati Arabi Uniti, Thailandia, Indonesia, Azerbaijan e Grecia – non hanno risposto alla richiesta di informazioni di The Bell.

Inoltre, questi dati non includono le persone che vivono all’estero con visti turistici, una pratica diffusa. In alcuni paesi dei Balcani e dell’Asia centrale per esempio è possibile azzerare il limite dei giorni che si può restare senza visto di residenza semplicemente uscendo e rientrando nel paese nello stesso giorno. D’altro canto, alcuni dati basati sul numero di permessi di soggiorno rilasciati non tengono traccia delle persone che hanno ricevuto quel permesso, ma che poi hanno deciso di tornare in Russia o andare altrove.

Chi sono gli espatriati

Per l’economia russa l’esodo è un problema significativo. In termini di numeri grezzi si tratta solo dello 0,85 per cento della forza lavoro, ma gli espatriati sono in gran parte giovani della fascia di età 20-40 anni con istruzione universitaria e un’alta qualifica professionale, spesso legata ai settori dell’informatica, dell’analisi dei dati e delle scienze.

Alcuni di loro vivono all’estero e lavorano in Russia da remoto o con società straniere che servono il mercato russo (è il caso dei paesi ex sovietici), altri stanno costruendo le loro nuove carriere nei paesi occidentali o comunque in imprese che fanno affari in Europa.

Ciò avrà conseguenze per l’economia russa che vanno oltre il deficit di forza lavoro, poiché senza questi talenti e specialisti ad alta qualifica sarà più difficile per le imprese russe stare al passo con l’innovazione e aumentare la produttività.

Inoltre, una parte degli espatriati sta formando delle comunità che promuovono messaggi contro la guerra rivolgendosi ai concittadini in patria e all’estero, se non altro per dissipare la narrazione di Mosca secondo cui tutti i russi sono ferventi sostenitori dell’invasione dell’Ucraina.

Il caso più recente ed esemplare è quello di Arkadij Voloz, imprenditore 60enne fondatore di Yandex (l’equivalente russo di Google), che dopo essere riuscito a farsi rimuovere dalla lista degli individui sanzionati dall’Ue ha annunciato il lancio di una nuova società dell’hi-tech con sede ad Amsterdam, composta principalmente da russi ex dipendenti di Yandex.

In un’intervista al Financial Times, Voloz si è riferito ai suoi collaboratori spiegando che «queste persone hanno cambiato vita, non volevano restare in Russia», sottolineando che la loro scelta «non è stata una fuga dalla mobilitazione» ma che se ne sono andati perché non volevano che la guerra fosse combattuta in loro nome.

Il futuro della diaspora

Più o meno sincere che siano le sue parole, la scelta di Voloz e dei suoi dipendenti è un fatto sul terreno che rivela molto di quello che nei prossimi anni potrebbe diventare la diaspora russa in Europa: un gruppo di persone che con il tempo scava un solco sempre più profondo con la madrepatria, diventando un’entità a sé stante, integrata nella società e nell’economia europea, e potenzialmente molto influente.

Nel frattempo, irritate da tali scelte i falchi del regime vogliono complicare la vita dei russi all’estero e discutono di introdurre misure restrittive come la confisca delle proprietà, il divieto di lavorare in Russia da remoto e, nei casi più estremi, persino un appello ai servizi segreti affinché indaghino sugli emigranti per “estremismo” e “tradimento”.

Tuttavia, Putin è di un’altra opinione e dopo la rabbia iniziale ha rivisto il suo approccio ammorbidendo il linguaggio rivolto agli espatriati, promettendo loro che chi torna sarà sempre il benvenuto. Putin in fondo si augura che, a differenza del periodo delle fughe dall’Unione Sovietica (all’epoca ai cittadini serviva un visto d’uscita), oggi i paesi occidentali saranno meno disposti ad aprire le porte ai russi.

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