La diplomazia è in campo da mesi ma le recenti tensioni militari lungo il confine tra Libano e Israele preoccupano sul serio la comunità internazionale e le istituzioni italiane. Nonostante gli attacchi di Hezbollah e dell’esercito israeliano siano stati costanti a partire dal 7 ottobre scorso, non si era mai arrivati alle tensioni raggiunte nel fine settimana dopo che un missile partito dal Libano ha ucciso 12 bambini della comunità drusa del Golan.

Neanche quando quattro osservatori Onu della missione di supervisione della tregua Untso, sono stati feriti a fine marzo in un raid nel sud del Libano vicino la linea blu di demarcazione con Israele. O quando all’inizio di marzo, una pattuglia congiunta dell’esercito libanese e della missione Unifil è stata attaccata a ovest della città di Aita al-Shab. Al momento la sensazione è che Hezbollah e l’Idf si trovino sull’orlo di un dirupo, e che ci voglia pochissimo per far precipitare la situazione.

La priorità del governo italiano è quindi quella di mettere in sicurezza il contingente di stanza in Libano che supporta la missione di pace internazionale delle Nazioni unite (Unifil) e i circa tremila italiani presenti nel paese. Lo ha detto ieri il ministro degli Esteri Antonio Tajani: «Invitiamo gli italiani che sono in Libano alla massima prudenza. Chi può rientrare lo faccia. Sconsigliamo nella maniera più ferma di andare in quel paese fin quando la situazione è così complicata».

È la prima volta che la Farnesina lancia un messaggio di questo tipo ai suoi concittadini da quando è iniziato il conflitto sulla Striscia di Gaza tra Hamas e Israele. Ieri il ministro Tajani ha anche avuto due colloqui telefonici con il suo omologo libanese e israeliano. Dal 7 ottobre scorso circa l’80 per cento degli scontri a fuoco lungo il confine sono stati localizzati nella zona di prossimità della linea blu.

Gli attacchi hanno causato morti civili da entrambe le parti del confine, mentre centinaia di persone nel nord di Israele e nel sud del Libano hanno lasciato i villaggi limitrofi ed Hezbollah ha riportato la perdita di oltre 250 combattenti.

Le regole d’ingaggio

«La preoccupazione per un ulteriore peggioramento della situazione al confine tra Libano ed Israele, della possibilità di un nuovo fronte di guerra in una regione martoriata da decenni, si sovrappone a quella per la sicurezza del personale italiano ed internazionale impegnato nella missione Onu di Unifil. Il contingente italiano continuerà ad operare con dedizione, per evitare che ciò accada, secondo i principi del diritto internazionale», ha detto ieri il ministro della Difesa Guido Crosetto.

Al momento non è previsto alcun ritiro del personale militare, come annunciato anche dal portavoce della missione Onu, Andrea Tenenti. Fino a oggi Unifil ha rappresentato un freno per eventuali azioni di terra o per attività terroristiche più costanti, nonostante i mezzi deterrenti della missione siano stati depotenziati negli ultimi anni e il mandato abbia regole stringenti. Il personale militare non può attaccare se non per difesa, autodifesa e per proteggere il personale sotto il suo controllo. Per Crosetto è giunto il momento di capire come rendere la missione più efficace: «Da mesi sto chiedendo ai vertici delle Nazioni unite di ragionare sui risultati raggiunti dalla missione e sulla necessità di cambiare le regole di ingaggio e ridefinire una strategia. Oggi il tempo è scaduto e siamo di fronte ad una nuova urgenza che non consente di perdere tempo. La comunità internazionale deve applicare la risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza».

La risoluzione prevede, tra le altre cose, una fascia cuscinetto senza armi tra la linea blu e il fiume Litani, ma le milizie di Hezbollah mantengono una presenza sul territorio anche con avamposti militari.

A trazione italiana

In Libano l’Italia ha due diverse missioni. La prima è Unifil dove il governo ha dispiegato 1.292 persone (in aumento rispetto agli scorsi anni) formando il secondo contingente più numeroso. A questi si sommano 375 mezzi terrestri, 9 mezzi aerei e una unità navale. La missione è tra le più care, con un costo annuale di 160.6 milioni di euro. La seconda missione è di carattere nazionale ed è la Missione bilaterale di addestramento (Mibil) con la quale 105 militari italiani hanno l’obiettivo di addestrare le forze di sicurezza libanesi per un costo di otto milioni l’anno. Al momento neanche per questa missione si sta pensando all’evacuazione, dato che i militari non sono presenti soltanto nella zona più calda ma anche in altre aree del paese. Sospenderla significa che la situazione è molto grave.

La missione Onu, è stata approvata per la prima volta nel 1978 ma ha raggiunto una nuova fase nel 2006 con la risoluzione 1701 che ha attribuito a Unifil nuovi compiti tra cui quello di monitorare l’effettiva cessazione delle ostilità, di garantire l’accesso umanitario ai civili, di garantire il disarmo dei gruppi armati presenti in Libano ed eseguire pattugliamenti lungo la linea blu di demarcazione.

Non solo, la missione ha anche un ruolo chiave per mantenere un dialogo tra Israele e Hezbollah. I messaggi del governo israeliano vengono veicolati attraverso la leadership di Unifil che è in diretto contatto con le autorità libanesi, quest’ultime, poi, interloquiscono con Hezbollah.

La missione svolge anche un’importante attività di monitoraggio. Lo scorso 12 luglio il Consiglio di sicurezza ha ricevuto un report di Unifil in cui c’è scritto che in almeno tre occasioni sono state utilizzate lungo il confine munizioni al fosforo bianco, vietate dalle Convenzioni internazionali. Questo è avvenuto il 3 marzo vicino a Dayr Amis, il 3 aprile vicino ad Ayta al-Sha’b e il 6 giugno vicino ad Arab al-Luwayzah.

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