- L’organizzazione Libyan Crimes Watch ha confermato che lo scorso 14 gennaio, 3 marocchini sono stati torturati e uccisi nel centro di detenzione ad Al Mayah, nella parte occidentale di Tripoli.
- Un rapporto militare confidenziale distribuito ai funzionari dell’Ue lo scorso gennaio e ottenuto da Domani, conferma la visione dell’Unione europea nel continuare supportare la guardia costiera e la marina libica nonostante il trattamento riservato ai migranti
- Il rapporto compilato dal contrammiraglio della Marina italiana Stefano Turchetto, comandante dell’operazione militare dell’Unione europea nel Mediterraneo (Eunavfor, Med Irini), riconosce inoltre «l’uso eccessivo della forza» da parte delle autorità libiche, aggiungendo che la formazione dell’Ue «non è più completamente seguita».
I gruppi armati libici cercano di legittimarsi e di ottenere impieghi di Stato nel settore della sicurezza dal governo di Tripoli in cambio del controllo dei porti e delle aree di sbarco dove vengono portati i migranti intercettati in mare e le strutture di detenzione.
Le divisioni
Al centro della campagna di legittimazione ci sono i gruppi armati alleati al ministero dell’Interno del Governo di accordo nazionale (GNU) e raggruppati nella Forza d’appoggio alla direzione per la sicurezza nota come «Stability Support Apparatus»; una formazione composta da diversi gruppi armati di Tripoli e di Zawya: ci sono gli uomini di Abdulghani al-Kikli (noto come Ghneiwa), Ayoub Aburas, comandante del Battaglione Rivoluzionari di Tripoli (TRB), Hassan Buzriba, una delle principali figure armate zawiane, comandante del battaglione Abu Surra, e fratello di Ali Buzriba (parlamentare dalle elezioni legislative del 2014).
A Zawiyah, le forze d’appoggio alla direzione per la sicurezza sono rappresentate essenzialmente dalla Brigata al-Nasr, un folto gruppo armato guidato da Hassan - che, dal gennaio 2021 è il vice di Ghneiwa all'interno dell'Apparato di supporto alla stabilizzazione -, Ali ed Esam Buzeriba del clan Awlad Buhmira; la più grande tribù di Zawia che controlla, tra le altre risorse strategiche, la raffineria di petrolio di Zawia, a nord di Zawia, così come Abu Surra nel periferia sud-est di Zawia.
A partire dal 2016, la Brigata al-Nasr ha utilizzato la sua forza militare per acquisire influenza sia sui centri di detenzione per migranti della zona - Il famoso centro di Al-Nasr e quello di Abu Issa - che sulla Guardia Costiera. Tra le figure più famose della Brigata Nasr ci sono Mohammed Koshlaf, suo cugino Waleed e il guardacoste Abd al-Rahmane Milad, conosciuto anche come al-Bija. Nella famiglia anche Osama Al Kuni noto per essere il direttore de-facto del centro di detenzione al-Nasr a Zawia.
Al Kuni inoltre - già condannato dal consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ed accusato di torture, omicidi, sparizioni, e lavori forzati - continua a fare affare con gli uomini che controllano il centro di Al Mayah e trattenere migranti nel famoso centro di al-Nasr, ufficialmente chiuso ma in realtà ancora operativo, come verificato da video ricevuti da Il Domani.
I gruppi armati controllano il centro di detenzione di Al Mayah, situato in una fabbrica farmaceutica abbandonata, ma anche la costa e il porto di Al Mayah, una trentina di chilometri ad ovest di Tripoli. Proprio in questa zona, da un paio di settimane, sono sempre più frequenti le operazioni di cattura di migranti.
Dopo lo sbarco i migranti sono portati nel centro di detenzione di Al Mayah, controllato da Amer Mazyoud e dagli uomini dell’apparato di sicurezza, sotto il controllo di Muammer al Dhawi, comandante della brigata 55 di Warshefana; fedele alle forze d’appoggio alla direzione per la sicurezza di Ghneiwa e Buzeriba.
Un altro uomo conosciuto nei circoli miliziani di Zawya è Mohammed Bahrun (aka “al-Far”) - ricercato dal Procuratore Generale dal 2017 per i suoi collegamenti con l’Isis - e affiliato al dipartimento di sicurezza di Zawia come responsabile del dipartimento d’investigazione criminale. Lo stesso Bahrun è spesso impegnato in campagne di arresti di migranti nella zona di Ajilat nella Libia occidentale, e nel centro di Al Mayah; dove qualche giorno fa ha ricevuto la visita di Sherif al-Wafi, candidato alle elezioni presidenziali. L’accesso invece continua a essere negato alle organizzazioni umanitarie e alle delegazioni delle Nazioni Unite. Secondo una ricostruzione fornita da un migrante trattenuto nel centro di Al Mayah, ci sarebbero circa 20 migranti impegnati nella ricostruzione di una nuova ala del centro che sarà aperta nelle prossime settimane per accogliere le visite delle delegazioni.
L’organizzazione Libyan Crimes Watch ha confermato che lo scorso 14 gennaio, 3 marocchini Hamza Ghdada (21), Abdelaziz El Harchi (30) e Mohamed Atta (32) sono stati torturati e uccisi nel centro di detenzione ad Al Mayah, nella parte occidentale di Tripoli.
Sebbene la data della morte di Hamza Ghdada sia sconosciuta, l'organizzazione ha affermato che Abdelaziz El Harchi è morto sotto tortura a inizio gennaio e che Mohamed Atta è morto il 3 dicembre 2021 dopo che gli sono state negate le cure mediche quando le sue condizioni di salute erano peggiorate. I corpi sono stati trasferiti all'obitorio dell'ospedale generale di Al-Zahraa e la famiglia di una delle vittime ha confermato di aver ottenuto le foto della vittima mentre si trovava nell'obitorio con segni di tortura, ha riferito l’Ong.
La nomina di al-Khoja a capo del Dcim
Lo scorso 23 dicembre, il governo libico ha nominato il miliziano Mohamed al-Khoja come nuovo direttore del Dipartimento per la lotta alla migrazione illegale (DCIM) del ministero dell’Interno. Mohamed al-Khoja è noto per aver gestito il centro di detenzione di Tarik Sika, dove detenzione arbitraria, torture, lavoro forzato, crimini di guerra ed estorsioni sono state ripetutamente documentate.
La nomina di al-Khoja a capo del Dcim conferma il modello di impunità libico, ma anche la logica di competizione tra gruppi armati locali per il controllo della migrazione. Nonostante il coinvolgimento in crimini e violazioni, gli agenti della Dcim e i membri delle potenti milizie di Tripoli continuano ad essere formalmente integrati nel sistema di detenzione in Libia, dove sono intrappolati centinaia di uomini, donne e bambini intercettati in mare grazie al continuo supporto dell’Unione Europea.
Un rapporto militare confidenziale distribuito ai funzionari dell’Ue lo scorso gennaio e ottenuto da Domani, conferma la visione dell’Unione Europea nel continuare supportare la guardia costiera e la marina libica nonostante il trattamento riservato ai migranti, un numero crescente di vittime in mare e la mancanza di un’autorità centrale nella nazione nordafricana.
Il rapporto riservato compilato dal contrammiraglio della marina italiana Stefano Turchetto, comandante dell’operazione dell’Ue per l’operazione militare dell’Unione europea nel Mediterraneo (Eunavfor Med Irini), riconosce inoltre «l'uso eccessivo della forza» da parte delle autorità libiche, aggiungendo che la formazione dell'Ue «non è più completamente seguita». Il rapporto dell'UE riconosce che «lo stallo politico» in Libia ha ostacolato il programma di formazione europeo, rilevando che le divisioni interne del paese rendono difficile ottenere sostegno politico per far rispettare «adeguati standard conformi ai diritti umani, soprattutto quando si tratta di migranti irregolari».
Le forze libiche hanno utilizzato tattiche «mai osservate prima e non conformi all'addestramento fornito dall’UE ... così come ai regolamenti internazionali», afferma il rapporto ottenuto da Domani. E si ribadisce, «l'uso eccessivo della forza fisica» da parte di una pattuglia libica durante l'intercettazione del 15 settembre di una barca di legno con circa 20 migranti al largo delle coste libiche. Secondo le informazioni contenute nel rapporto UE riservato, l’evento del 15 settembre è stato monitorato dagli aerei dell’agenzia Frontex attivi nel Mediterraneo centrale.
Continua il supporto materiale dell’Unione europea
Da anni, l’Ue e l’Italia sono impegnate in un costante supporto materiale attraverso il programma «Sostegno alla gestione integrata delle frontiere e della migrazione in Libia» – finanziato dal Fondo Fiduciario Eu per l’Africa e implementato dal Ministero dell’Interno italiano e co-finanziato dall’Italia. In una prima fase, l'Ue aveva approvato 46 milioni di euro dal Fondo fiduciario di emergenza per l'Africa, seguiti da altri 15 milioni di euro nel 2018.
Negli ultimi mesi, è stato speso quasi un milione di euro per acquistare 10 container, per creare ed equipaggiare un centro di comando libico responsabile dell’intercettazione dei migranti nel Mediterraneo (Mrcc). Il progetto, guidato dalla Marina Militare Italiana e affidato alla società RI Group di Trepuzzi, vede la società Elman responsabile dei vari sistemi di comunicazione come previsto dal Global Maritime Distress and Safety System (Gmdss). La tecnologia, installata nei container, prevede radio della società tedesca Rohde & Schwarz, apparecchiature per la ricezione di messaggi d’emergenza dalla società britannica Inmarsat e sistema Navtex.
Nella documentazione di gara della Marina militare consultata da Domani ci sono i layout dei container necessari per «potenziare le capacità di monitoraggio e sorveglianza marittima della fascia costiera e per il mantenimento in prontezza degli equipaggi delle motovedette libiche»: 4 containers ad uso abitativo/logistico, 2 ad uso ufficio; 1 adibito a preparazione pasti; ed ancora celle frigo e generatore. Ed infine ce n’è uno destinato appunto al centro di comando libico «Libyan Maritime Rescue Coordination Center».
Come si legge nel disciplinare di gara è prevista «l'integrazione ed interfacciamento con il sensore radar Gem già installato a Tripoli presso la base di Abu Sitta a Tripoli». A fornire il radar la società Gem elettronica di San Benedetto del Tronto, molto attiva nella produzione di radar e sensori destinati al mercato della sorveglianza marittima (militare e civile) anche al di fuori dei confini nazionali. Tra i suoi clienti ci sono Marocco, Oman, Pakistan, Qatar, Turchia ed Emirati Arabi Uniti.
Mancanza di trasparenza sull’utilizzo dei fondi
Gli avvocati dell'Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione (Asgi), attraverso una richiesta di accesso agli atti fatta utilizzando il diritto riconosciuto dal Foia, Freedom of information act, hanno interrogato il ministero degli Interni per avere informazioni sulla creazione e l’equipaggiamento del Centro di coordinamento del soccorso marittimo (Mrcc) libico.
Gli avvocati hanno più volte sostenuto che è impossibile assicurare che i fondi pubblici vengano usati in modo corretto ed efficiente; in particolare evitare che di essi si avvantaggino milizie o altri soggetti fuori dal controllo del governo libico.
La nostra richiesta, spiega l’avvocato Federica Remiddi di Asgi, si basa sulla necessità di conoscere come risorse pubbliche siano concretamente utilizzate, in particolare se si tratta di cifre così ingenti e in un paese come la Libia.
La richiesta di accesso civico presentata lo scorso dicembre è stata però negata: «La documentazione è relativa ad accordi stipulati per la realizzazione di programmi militari … e la pubblicazione di tali ne deriverebbe un pregiudizio per le relazioni internazionali e per la sicurezza pubblica », ha risposto il ministero degli interni. L’accordo prevede, spiega Federica Remiddi di Asgi, che parte dei fondi per l’Africa – teoricamente rivolto alla cooperazione allo sviluppo – non vengano usati per finanziare attività militari.
«In che modo questi fondi contribuiscono alle violazioni dei diritti umani dei migranti? Chi beneficia veramente del supporto dell’Unione Europea? E per quale motivo l’Ue non riesce a fare pressione finanziaria ed imporre condizioni sulle autorità libica per evitare violazioni?», ha chiesto Tineke Strik, europarlamentare olandese, in un recente intervento alla Sottocommissione per i diritti umani del Parlamento europeo sulla Libia.
Le Nazioni unite, inoltre, hanno sottolineato come i recenti finanziamenti e attrezzature fornite dell’Ue alle unità di pattugliamento nel deserto abbiano aumentato i respingimenti alle frontiere libiche con Algeria, Ciad, Niger e Sudan; dove è impossibile garantire il rispetto dei diritti umani.
La maggior parte dei membri delle pattuglie del deserto finanziate dell’Ue, proviene da gruppi armati della città di Zintan; equipaggiati dall’Italia con trenta Toyota Land Cruiser, modello GRJ76 e GRJ79 forniti dalla società italiana Tekne e costati all'Europa quasi 2 milioni di euro; sempre finanziati dal Fondo fiduciario dell’Ue per l'Africa.
di una delle vittime ha confermato di aver ottenuto le foto della vittima mentre si trovava nell'obitorio con segni di tortura, ha riferito l’Ong.
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