È il paradosso dell’antimonio. L’interruzione della fornitura pregiudicherebbe la capacità bellica americana. Un ingrediente chiave nelle lenti dei visori notturni, negli esplosivi, nelle munizioni, nelle navi e i sottomarini
Se per fare tutto ci vuole un fiore, come cantava Sergio Endrigo, per fare le armi sono necessarie le materie prime. E molte. Alcune famose, come il titanio; altre meno, ma addirittura più importanti come l’antimonio. Già nello scorso ottobre la Commissione congressuale sulla postura strategica degli Stati Uniti, presieduta dall’esperta Madelyn R. Creedon, ha segnalato la necessità per Washington di prepararsi all’eventualità di una guerra simultanea con Cina e Russia.
Uno scenario causato dall’innalzamento dell’assertività di queste due potenze che, contrariamente alla vulgata comune, mantengono comunque interessi discordanti e spesso opposti. Una frattura in cui Nixon colò il potere economico americano, trasformando Pechino in un alleato per diversi decenni. Al crollo del muro che la divideva, Berlino ha invece formato un’alleanza industriale-energetica informale con Mosca che ha reso sempre più solido il regime di Vladimir Putin, rischiando di consegnare l’Unione europea ai capricci del dittatore.
La partita del sottosuolo
Lo scopo era quello di portarli nell’alveo delle democrazie a suon di benessere, ma è evidentemente fallito. E adesso, nonostante le divergenze, il rischio è di doverli affrontare simultaneamente. Accoppiati o meno. Sin dalla prefazione il rapporto della Commissione individua situazioni problematiche quali «carenza di manodopera e inadeguate infrastrutture fisiche, scientifiche e sperimentali nel Dipartimento della Difesa e dell’Energia, causate da anni di disinteresse» come punti deboli degli Stati Uniti nell’eventualità del confronto con i due avversari.
Quello che suscita preoccupazione è però il riferimento a «limitazioni nelle catene di approvvigionamento», perché originanti in uno di questi competitor per l’egemonia mondiale. Il grande volume delle importazioni americane, di gran lunga una delle sue “armi” politiche più efficaci e capillari, si mostra qui come una debolezza. Un problema di difficile soluzione perché è relativo agli elementi presenti nel sottosuolo delle nazioni.
Le scorte
La criticità non è nuova, ma diviene sempre più pressante. Nel deterrere o contrastare l’espansione di questi conflitti che di recente si moltiplicano nel mondo, l’influenza economica statunitense pare aver raggiunto i suoi limiti. L’Ucraina dimostra quanto servano al contrario armamenti capaci di rendere tanto antieconomica l’idea di una guerra da escluderla dal novero delle possibilità della politica, con buona pace di von Clausewitz. E, nel caso si arrivi allo scoppio di un conflitto, di vincerlo senza ricorrere alle armi atomiche.
Armi e proiettili, missili e navi, aerei e carri armati e di conseguenza i minerali per costruirli. A tal proposito gli Stati Uniti si sono dotati di una riserva strategica di elementi rari che nel 1952, durante la Guerra Fredda, era valutata in 42 miliardi dollari (al cambio attuale). Adesso tuttavia questa scorta, impiegata nella corsa agli armamenti o venduta per finanziare altre voci di bilancio, è ridotta a soltanto 888 milioni di dollari. Meno del 3% delle quantità iniziali.
A cosa serve l’antimonio
L’assottigliamento è balzato anche agli occhi dell’House Armed Services Committee, allarmati dalle montanti restrizioni cinesi riguardo le esportazioni di materie prime di cui sono monopolisti nell’estrazione e nella raffinazione, come la grafite. La riserva statunitense, sorella di altri accumuli strategici che riguardano ad esempio i medicinali o il petrolio, comprende metalli quali titanio, tungsteno, cobalto, litio e molte terre rare. Nondimeno il più critico pare essere il sopracitato antimonio, un metalloide usato in antichità come eyeliner e oggetto di esperimenti ossessivi da parte degli alchimisti medievali, impiegato in molti processi industriali moderni ad alta precisione: è utile infatti a creare lenti senza imperfezioni da usare per la costruzione di binocoli, o per rendere ignifughe le divise dei soldati. Soprattutto, viene legato al piombo nella produzione delle batterie che alimentano ogni veicolo.
«L’antimonio è un ingrediente chiave negli apparecchi di comunicazione, nelle lenti dei visori notturni, negli esplosivi, nelle munizioni, nelle armi nucleari, nei sottomarini, nelle navi da guerra, nelle ottiche, nel puntatori laser e in molte altre applicazioni» riassumeva così il generale statunitense James “Spider” Marks la centralità di questo super elemento in un suo intervento pubblicato nel 2020 sul “The Washington Times”. Durante la Seconda Guerra Mondiale gli Usa si assicurarono la propria scorta grazie alla miniera Star Antimony a Shoshone, nell’Idaho, che tuttavia è stata chiusa nel 1997. Poche alternative nel resto dell’Occidente, dove le esplorazioni minerarie sono limitate da vincoli ambientali e politiche contro l’inquinamento.
La produzione
Nel 2021 invece ben quattro quinti della produzione mondiale di questo cruciale metalloide erano già divisi tra Cina e Russia. Nello specifico, il 55% delle scorte totali venivano fornite da Pechino e il 23% da Mosca. È evidente che in caso di conflitto quindi questi due attori potrebbero modificare a piacere il mercato del minerale grazie al loro quasi monopolio. In quel caso rimarrebbe l’alternativa delle miniere del Tajikistan, il terzo produttore per esportazioni, che si trova però storicamente compromesso con Putin per il suo passato sovietico e esposto alle pressioni di Xi Jinping per una pura questione geografica.
I due avversari degli Stati Uniti si trovano quindi nella posizione di strozzare la fornitura di uno degli elementi alla base della superiorità tecnologica delle armi americane, alla vigilia di un confronto che pare farsi sempre più vicino. Nonostante il recente stanziamento di più di 300 milioni di dollari per l’accrescimento delle riserve strategiche, le restrizioni cinesi all’estrazione dell’antimonio sono state aggirate soltanto grazie a un paradossale aumento della produzione russa. La minaccia di azioni ritorsive e improvvise rimane pertanto sempre presente, in presenza di così poche alternative e con le scorte attuali già adesso non giudicate adatte a sostenere il confronto neanche con uno soltanto di questi due nemici potenziali.
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