Dare del “fascista” all’avversario è spesso un riflesso automatico della sinistra inconsistente, quella che si dota d’un nemico spaventevole per prospettarsi come l’antitesi, e così ricavarne per sé un’identità che altrimenti non avrebbe.

Ma se l’accusa di “fascismo” risuona anche in aree esenti da convenienza o pregiudizio, allora è inevitabile un dubbio: con i successi elettorali delle destre dure, il rischio di una presidenza Trump e la guerra di Gaza non starà irrompendo nella storia un movimento internazionale paragonabile al contagio che un secolo fa diffuse il fascismo? E in questo caso l’antifascismo che si oppone è autentico e attrezzato ad arginare questi nuovi nazionalismi, oppure sconta troppe ambiguità e fragilità concettuali perché vi si possa fare affidamento?

La possibilità che Trump conduca gli Usa verso il fascismo era già in un titolo del New York Times alla vigilia delle presidenziali che poi quello vinse. Oggi si dubita anche del suo candidato alla vicepresidenza, JD Vance, che di recente ha elogiato un libro di cui è co-autore Jack Posobiec, uno scopritore di verità alternative.

Anni fa Posobiec contribuì a spargere la diceria che voleva una pizzeria di Washington paravento di un circolo di satanisti pedofili controllato dal vertice dei Democratici (il proprietario rischiò di essere ammazzato). Ora Possobiec avverte che i progressisti vanno considerati esseri non umani (Unhuman, il titolo del libro). Bisognerebbe espellerli dalle aree della società civile in cui sono insediati, procedendo con «la risolutezza di (Francisco) Franco e la meticolosità di (Joseph) McCarthy».

Vance applaude in quarta di copertina, e con l’occasione azzanna i "comunisti”, ovvero i progressisti. Li vede marciare «dietro il pretesto dei diritti umani, nei campus universitari e nelle aule di giustizia per recare danno alle persone buone e oneste. Questo libro rivela i loro piani e ci mostra come combatterli».

Anche Javier Milei, neo-presidente argentino, ritiene che i progressisti siano creature abiette, «guidati dalle più basse passioni, invidia, odio, risentimento». In Israele questi omuncoli – giornalisti, esponenti di ong liberal, tutti contrari alla guerra di Gaza – adesso rischiano la pelle: alle valanghe di minacce anonime che ricevono si aggiungono le richieste di impiccarli per alto tradimento. Lo propone Israel Hayom, il quotidiano devoto a Netanyahu, in un commento che gli editorialisti di Haretz, candidati al cappio, giudicano espressione del «fascismo israeliano».

Si potrebbe continuare con citazioni di tenore analogo offerte dalle nuove destre occidentali. Qui basterà notare che la proprietaria di Israel Hayom, un’ereditiera israelo-americana, è anche il massimo finanziatore della campagna elettorale di Trump. Quella che cinque anni fa era una sparsa destra populista adesso appare strutturata da un telaio di relazioni tra partiti, think-tank, opinionisti, fondazioni poderose e relativi finanziatori: lo scheletro di una Internazionale illiberale in fieri.

La vittoria di Trump e l’incancrenire della guerra mediorientale ne rinsalderebbero la struttura e incoraggerebbero le pulsioni autoritarie, integraliste, islamofobiche, omofobiche, sovraniste, anti-europeiste, espresse nelle forme più aggressive dall’asse trainante costituito dalle destre americana e israeliana. Esempi sparsi – per esempio la decisione dell’Oklahoma di rendere obbligatorio a scuola l’insegnamento della Bibbia e dei Dieci Comandamenti come fondamenti della Costituzione americana – anticipano quale sarebbe l’atmosfera culturale in un Occidente d’un tratto possibile.

Apprezzato da Vance e noto a Meloni, l’israelo-americano Yoram Hazony ha sistematizzato il pensiero di queste destre "nere” in libri che diplomatici statunitensi consigliavano a colleghi europei durante la presidenza Trump. Secondo Hazony le Nazioni Unite, l’Unione europea, le corti di giustizia internazionali, sarebbero tutti strumenti di un «imperialismo liberale» lanciato all’attacco dello stato-nazione.

Originato dall’impero romano e da un pensiero "universalista” da Spinoza a Locke, a Kant, questo nemico dei popoli oggi tartassa Israele in alleanza con la sinistra progressista e il «movimento suprematista islamico», che ha infiltrato l’Occidente. Per sconfiggerlo è necessario rinverdire la lezione della Bibbia: «Pone su un piedistallo la libertà delle nazioni». L’Occidente ne diventerà consapevole grazie alla guerra di Gazza. Quello è il punto di svolta: come molti americani hanno già cominciato a intendere, nelle università statunitensi e nella Striscia si combatte «la stessa guerra» contro un nemico dalle molte teste: Hamas, il «suprematismo islamico», la sinistra.

Le virtù del nazionalismo, il titolo del libro più famoso di Hazony, è un tema che risuona anche nelle destre europee. Ma alcune oggi sono destre “perbene”, per convenienza o per convinzione hanno imparato le buone maniere, e, annacquato il legame sentimentale con il fascismo dei padri, ora si vendono come il rassicurante brand del buonsenso d’una volta. Se il contesto internazionale mutasse resisterebbero al richiamo della foresta? Oppure metterebbero le vele al vento e asseconderebbero la deriva? Probabilmente dipenderebbe anche dalla credibilità di chi fa professione di antifascismo. E qui le cose si complicano.

Il problema è che l’hazonysmo e ideologie consimili ragionano secondo schemi che paradossalmente non sono estranei alla sinistra italiana, moderata e non. La critica dell’«imperialismo liberale» come nemico dei popoli risuona familiare nella sinistra terzomondista, nel pacifismo, nel Movimento 5 stelle, abituati ad affastellare nella categoria tanto il provvidenziale intervento Nato in Bosnia quanto le guerre neo-coloniali contro Iraq e Libia.

L’ostilità alle fedi islamiche, riassunte in un unico immaginario islam, dopo l’11 settembre ha contagiato l’intera sinistra moderata, fino al punto che nel Pd nessuno fiatò quando Renzi magnificava quell’al-Sisi che aveva appena fatto abbattere dai suoi cecchini un migliaio di dimostranti islamisti, inermi.

I diritti umani non convincono neppure i progressisti che si pretendono liberali: il manifesto di “Sinistra per Israele” ripete grossomodo la linea dell’amministrazione americana, perciò evitando il minimo accenno a Apartheid, “acts of genocide”, torture e quant’altro denunciato dalle corti internazionali (i cui giudici sono in maggioranza espressi da democrazie).

Si sbanda anche sulla guerra in Ucraina: nel Pd trova spazio la narrazione che la vuole prodotta dall’espansionismo americano, schema figliato dalla scuola Realista, anti-liberale, per la quale i grandi conflitti nascono sempre da scontri tra potenze. Col che si esclude che Putin abbia deciso l’invasione soprattutto per spegnere i fermenti negli ultimi Paesi vassalli di Mosca e dare senso al proprio potere assoluto.

È giusto sottoporre ad esami di fascismo gli ex missini per verificarne l’autenticità del ravvedimento. Ma occorrerebbero anche esami di antifascismo. Il test Crosetto, per esempio. Il ministro della Difesa, e co-fondatore di FdI, ha irritato molti con affermazioni che suonano inconsuete in quella larga parte di sinistra che è liberale soi-disant, comunque non fino al punto da irritare atlantisti d’ordinanza e fan di Bibi.

Su Gaza: «Israele non è giustificabile… sta seminando un odio che coinvolgerà figli e nipoti». Sull’Ucraina: «per arrivare alla pace occorre coinvolgere altri Paesi… la Cina»; e ha motivato la contrarietà a bombardamenti sul suolo russo perché in contraddizione con il motivo per il quale forniamo armi a Kiev, creare le condizioni per ripristinare la legalità internazionale (il ragionamento è perlomeno controverso, però segue uno spartito molto “liberale”). Il test Crosetto funziona così: chi si proclama antifascista deve necessariamente esprimere opinioni sulle due guerre in corso non meno veementi e liberali di quelle espresse dal ministro della Difesa. Altrimenti lasci perdere.

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