Bastarono solo pochi minuti di caos, conditi da inseguimenti e spari sulla folla disarmata da parte dei paracadutisti britannici. Furono tredici le vittime tra i manifestanti che stavano marciando per i diritti civili della popolazione cattolica in Irlanda del Nord. Tredici vittime cadute sul colpo per le strade del quartiere nazionalista del Bogside di Derry, o Londonderry.

Un numero che dopo qualche mese salì a 14, quando morì un altro uomo a causa delle ferite riportate in quella domenica. Era il 30 gennaio 1972, sono passati 53 anni da quel giorno, da quella Bloody Sunday ormai celebre e ricordata come momento simbolico dei Troubles, il conflitto nordirlandese.

Solo dopo anni, con nuove inchieste giudiziarie e l’impegno dei familiari delle vittime, venne stabilita l’innocenza delle vittime, la responsabilità dell’esercito di Sua Maestà nelle uccisioni ingiustificate e gli insabbiamenti successivi.

Bloody Sunday, lo sviluppo delle indagini e dei processi

Dopo l’inchiesta del giudice Mark Saville, conclusa di fatto nel 2010 con la sua pubblicazione che portò alle scuse dell’allora primo ministro britannico David Cameron, la polizia nordirlandese (Psni) ha iniziato le indagini per omicidio, incentrandole su alcuni ex soldati del battaglione di paracadutisti coinvolti. Diversi tra loro erano intanto morti e sono serviti anni, tra passi avanti e indietro, per giungere a qualcosa di concreto.

Come il processo al cosiddetto soldato F, il cui nome è secretato, accusato degli omicidi di due vittime di quel 30 gennaio, James Wray e William McKinney, oltre che di tentato omicidio di altri cinque uomini. Lo scorso dicembre, dopo che un giudice ha respinto la richiesta di archiviazione, il soldato F si è dichiarato non colpevole per gli omicidi.

La data del processo sarà stabilita nelle prossime settimane e c’è molta attenzione attorno al caso, sia da parte delle associazioni dei familiari delle vittime della Domenica di sangue, sia dell’opinione pubblica in Irlanda del Nord e nel resto del Regno Unito. Almeno di quella parte che vuole giustizia e verità, forse gli unici ingredienti che possano avvicinare una reale pacificazione di una regione in cui sono presenti ancora divisioni e settarismi.

Il calo degli attacchi paramilitari

L’imminenza di un processo sulla Bloody Sunday, però, non è l’unico segnale incoraggiante verso una normalizzazione dell’Irlanda del Nord dopo il conflitto. A gennaio, infatti, la polizia di Belfast ha pubblicato un rapporto sulle sparatorie e sugli attacchi paramilitari avvenuti in tutto l’anno sul territorio nordirlandese. Sono quegli attacchi generalmente condotti dai membri dei gruppi paramilitari ancora attivi nei confronti soprattutto di persone della loro stessa comunità, per punizione o per lanciare avvertimenti.

Nel 2024, per la prima volta da quando sono registrati questo tipo di incidenti, nella città di Belfast non sono avvenuti attacchi con armi da fuoco di tipo paramilitare (cioè gambizzazioni o simili). L’anno precedente nella capitale erano stati nove.

In tutta l’Irlanda del Nord nel 2024, invece, sono stati solo cinque, rispetto ai 19 del 2023, e i feriti sono tutti maggiorenni. E anche le sparatorie avvenute tra presunti membri dei gruppi terroristi e le forze di sicurezza sono diminuite. I casi di colpi sparati (o uditi) si sono praticamente dimezzati: nel 2024 sono stati 17, rispetto ai 33 del 2023.

In calo anche le aggressioni paramilitari dei gruppi terroristici che mirano a punire sempre i membri delle proprie comunità, condotte senza armi da fuoco ma con armi bianche, in particolare mazze da baseball o sbarre di ferro. I feriti accertati, di cui un minorenne, sono stati 23, rispetto ai 31 del 2023.

Sono diminuiti anche gli incidenti in cui un ordigno esplode o viene disinnescato dalle forze di sicurezza. Una tipologia di arma che risale ai tempi dell’Ira ed è comunque ancora in voga in Irlanda del Nord: l’anno scorso sono stati sei, due in meno del 2023.

L’unico dato negativo è quello delle morti “security related”, ovvero omicidi riconducibili in qualche modo a gruppi terroristici. Se nel 2023 non ne erano stati registrati, l’anno scorso ne è avvenuto uno: quello del 26enne Kevin Conway a Belfast.

Il potere dei gruppi paramilitari in Irlanda del Nord

I raid diminuiscono ma in tutto il Nord Irlanda, decenni dopo il cessate il fuoco, i vecchi gruppi paramilitari o le formazioni armate emergenti hanno ancora in mano un certo grado di potere, specie in alcuni strati sociali. Un controllo che mantengono grazie a una legittimità storica conquistata negli anni, magari perché ritenuti responsabili della difesa di una comunità o di una causa politica, che sia lealista o repubblicana.

Ma i paramilitari continuano a essere influenti soprattutto per la loro affiliazione ad attività criminali, come il traffico di sostanze stupefacenti o il prestito di soldi, o addirittura perché fanno leva su minacce e paure. Tutti elementi emersi da inchieste e da una ricerca del 2024 della Queen University di Belfast, che ha analizzato i motivi della costante presenza e dell’attuale ruolo dei paramilitari in Irlanda del Nord.

Ad ogni modo i membri più anziani proseguono nel reclutare le nuove generazioni per i loro affari. Prosegue anche il fenomeno del “recreational rioting”, ovvero quei disordini settari scaturiti quasi per divertimento da ragazzi, per la maggior parte minorenni, che in determinate circostanze si scagliano contro le forze dell’ordine o contro gli omologhi della comunità rivale, tirando sassi, bottiglie e molotov. Nonostante ciò, i numeri diffusi di recente dalla polizia raccontano dei miglioramenti evidenti.

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