L’Aid ha venduto alla svizzera Ruag cento carri armati Leopard nel 2016, ma ha scelto come intermediario finanziario una banca a capitale italiano-libico detenuta dalla Libyan Foreign Bank, gestita in passato da Gheddafi e su cui si riversano gli introiti del petrolio libico
Il bisogno dell’esercito ucraino di carri armati per contrastare l’invasione della Russia ha riacceso l’attenzione sui mezzi militari ormai dismessi e parcheggiati da decenni nei depositi europei, compresi quelli italiani. L’interesse di diverse compagnie si è diretto in particolare verso i Leopard 1A5, gli stessi fermi da tempo nel deposito di Lenta, in provincia di Vercelli, e acquistati dall’azienda statale svizzera Ruag già nel 2016 per 4,5 milioni di euro dall’Agenzia industrie difesa (Aid), l’ente controllato dal ministero italiano della Difesa.
Dal testo del contratto emerge un particolare finora inedito. Per il pagamento dei 4,5 milioni previsti come compenso per la cessione dei carri armati, il ministero ha infatti dato indicazione ai compratori svizzeri di pagare su un conto di Ubae, banca che ha come socio di controllo (80 per cento del capitale) la Libyan Foreign Bank, che fa capo al governo di Tripoli. Una scelta a dir poco sorprendente. Ma andiamo con ordine.
Il contratto siglato da Ruag prevedeva l’acquisto di migliaia di parti di ricambi e di cento carri armati da ricondizionare e rendere nuovamente operativi. Successivamente, l’azienda svizzera avrebbe dovuto rivendere i mezzi militari all’esercito del Brasile, ma l’affare alla fine è sfumato e i Leopard sono rimasti parcheggiati nei depositi del nord Italia. La situazione è però cambiata con l’invasione russa dell’Ucraina.
La Ruag si è nuovamente interessata ai Leopard, il cui valore è più che raddoppiato rispetto al 2016, e ha provato a rivenderli alla compagnia tedesca Rheinmetall, che a sua volta li avrebbe dovuti esportare in Ucraina. L’operazione però è stata recentemente bloccata dal Consiglio federale svizzero, che ha definito la vendita dei carri armati un’operazione in contrasto con la legge sull’export bellico e con la politica di neutralità del paese. A ripercorre la vicenda e a denunciare l’opacità dei comportamenti tenuti dall’azienda elvetica è stata la cellula inchieste della Rsi, la Radiotelevisione svizzera, che ha analizzato i documenti siglati da Ruag con Aid e Rheinmetall.
La banca
Il caso però non riguarda solo le questioni interne del paese elvetico e della Germania. Anche sul fronte italiano ci sono diversi punti non del tutto chiari e che fanno sorgere più di un interrogativo. Uno di questi riguarda per l’appunto la scelta della banca da utilizzare per i pagamenti dei Leopard. I carri armati sono stati venduti da Aid alla Ruag per 4,5 milioni di euro, 45mila euro al pezzo, e il ruolo di intermediario finanziario – come detto – è stato assegnato alla Ubae, secondo quanto riportato nel contratto tra le parti reso noto sempre da Rsi. Il documento specifica l’ammontare della transazione, la divisione in quattro rate, le scadenze da rispettare e tutti i dati necessari per il pagamento presso la banca scelta dall’Agenzia italiana.
Ma cos’è esattamente la Ubae e perché la sua scelta attira tanto l’attenzione? Si tratta di una banca a capitale misto libico-italiano con sede a Roma, una filiale a Milano e un ufficio di rappresentanza a Tripoli fondata nel 1972 proprio per migliorare le relazioni commerciali con la Libia. La sigla Ubae d’altronde sta per Unione delle banche arabe ed europee e le sue aree di riferimento sono il medio oriente, il nord Africa – con particolare attenzione alla Libia – e i «paesi esteri a rischio commerciale e politico ragguardevole», come si legge sul sito.
La Ubae annovera tra gli azionisti di minoranza anche importanti gruppi italiani, tra cui Unicredit, Eni, Intesa Sanpaolo e Telecom Italia, ma a detenere la maggioranza delle quote è la Libyan Foreign Bank. Quest’ultima è stata in passato la cassaforte off-shore dell’ex leader libico Muhammar Gheddafi, tanto da essere stata colpita dalle sanzioni Onu contro il colonnello, e sui suoi conti continuano adesso a transitare i proventi della vendita di petrolio libico.
Un giro di affari molto discusso e soprattutto conteso tra diverse fazioni, ognuna delle quali reclama non solo il diritto a governare la Libia o una sua parte, ma anche quello di disporre delle risorse energetiche del paese e dei relativi proventi. Proventi a cui sono interessate anche le imprese italiane, tra cui Eni.
Precedenti operazioni
Eppure non è la prima volta che l’Italia ricorre alla Ubae per transazioni relative all’export o all’import di materiale militare. Come ricorda l’osservatorio Opal, la banca ha svolto il ruolo di intermediario finanziario anche in contratti firmati con il Pakistan e Singapore, ed è arrivata a siglare nell’aprile 2022 un accordo di collaborazione con la Simest – società del gruppo Cassa depositi e prestiti controllata da Sace – per favorire l’export italiano verso nord Africa, medio oriente, Asia orientale e meridionale.
Tutte aree del globo in linea con le attività internazionali della banca, ma che non hanno nulla a che vedere con l’Europa e ancor meno con la Svizzera. Eppure l’Aid ha scelto proprio Ubae per un contratto molto discusso e che presenta più di un lato oscuro.
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