Usa, Canada, Australia e Italia hanno deciso di sospendere i finanziamenti all'agenzia, a causa dei presunti legami di 12 dei suoi dipendenti con Hamas nell'attacco del 7 ottobre
«Chiediamo all’Onu di assumere azioni immediate contro la leadership dell’Unrwa», ha detto il ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz, dopo aver ringraziato Stati Uniti e Canada che hanno deciso di sospendere i finanziamenti. È una reazione ai legami di 12 dipendenti dell’agenzia con Hamas e l’attacco del 7 ottobre. «Per anni abbiamo messo in guardia: l’Unrwa perpetua il tema dei rifugiati, ostacola la pace e serve come braccio civile di Hamas a Gaza», ha detto Katz. Ha poi aggiunto che l’organizzazione «dovrà pagare un prezzo per le sue azioni».
Philippe Lazzarini, commissario dell’agenzia, ha detto di aver licenziato i dipendenti coinvolti «per tutelare la capacità dell’agenzia di prestare assistenza umanitaria». Ha inoltre avviato «un’indagine per stabilire la verità senza indugio». Con oltre 30mila operatori, l’Unrwa è la principale organizzazione di Gaza, dove si occupa di educazione e di fornire assistenza alimentare.
Dopo Canada e Australia, anche l’Italia ha imitato gli Stati Uniti e ha annunciato che sospenderà temporaneamente il versamento di fondi all’organizzazione. Tajani questo sabato ha paragonato Hamas alle «nuove SS», perché il 7 ottobre è stata fatta «una caccia all’ebreo in maniera scientifica». Allo stesso tempo ha precisato che vanno rispettati anche «i diritti della popolazione civile palestinese».
La sentenza
Non capita spesso di cogliere in fallo l’Economist, ma nel caso del giudizio della Corte dell’Aia è accaduto. La rivista del liberalismo inglese ha preso un abbaglio quando ha definito la richiesta del Sudafrica come “fragile”, non cogliendo che la Corte avrebbe potuto, come accaduto, decidere di non archiviare le accuse di genocidio rivolte a Israele.
Come ha titolato il Financial Times, “La massima corte delle Nazioni Unite ha ordinato a Israele di rispettare la legge internazionale sul genocidio”. Questo è il punto (non il cessate il fuoco che non spetta ai giudici) che avrà riflessi non solo per il governo Netanyahu ma anche per l’amministrazione Biden che non potrà tollerare il comportamento dilatorio nei confronti delle richieste di non colpire la popolazione di Gaza. Dopo la sentenza e le ordinanze provvisorie a tutela della sopravvivenza della popolazione della Striscia, come ha scritto lo studioso di diritto pubblico, Nimer Sultany, il diritto internazionale ha battuto un colpo e dimostrato «a quelli che vivono da mesi nell’inferno di Gaza che qualcuno da qualche parte si preoccupa della loro sorte chiedendo l’invio di una missione conoscitiva e ordinando aiuti umanitari». Questo non vuol dire che Israele non abbia diritto a difendersi da un attacco spregevole come quello del 7 ottobre, ovviamente, ma che c’è modus in rebus, una misura nelle cose. Ci sono ovvero dei confini, al di là e al di qua dei quali non può esservi il giusto.
Il Consiglio di sicurezza dell’Onu si riunirà mercoledì in forma straordinaria dopo la sentenza della Corte dell’Aia che invita Israele a non compiere un genocidio a Gaza. Il vertice, che si terrà alle 17 ora italiana, è stato richiesto dall’Algeria «al fine di dare effetto esecutivo alla decisione della Corte internazionale sulle misure provvisorie imposte all’occupazione israeliana», come ha annunciato il ministero degli Esteri algerino.
«Prendere in esame l’accusa di genocidio è una vergogna», ha commentato il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Cosa farà Washington? Il presidente americano Joe Biden è stato contestato durante un comizio in Virginia per il suo sostegno a Israele nonostante i bombardamenti delle forze armate di Tel Aviv in corso nella Striscia di Gaza.
Intanto il presidente americano ha ringraziato l’omologo egiziano, Abdel Fattah al Sisi, per il ruolo avuto nella mediazione fra Israele e Hamas, soprattutto per quanto riguarda il rilascio degli ostaggi. I due presidenti – si legge in una nota della Casa Bianca – «hanno affermato che ora va fatto di tutto per concludere un accordo» che porti prima a una «prolungata pausa umanitaria» e poi a una «pace duratura e sostenibile in Medio Oriente».
Houthi nel mirino
Le forze americane hanno colpito una posizione Houthi nello Yemen dopo che i ribelli sciiti hanno attaccato una petroliera britannica ora in fiamme nel Golfo di Aden. «Il Comando militare statunitense per il Medio Oriente (CentCom) ha effettuato un attacco contro un lanciatore di missili antinave Houthi pronto a far fuoco nel Mar Rosso», ha fatto sapere il CentCom, specificando che si trattava di una «minaccia imminente» per i cacciatorpediniere e le navi mercantili americane nella regione.
Gli F-16 a Erdogan
Via libera del governo americano alla vendita di 40 caccia F-16 alla Turchia, dopo che Ankara ha ratificato nei giorni scorsi l’ingresso della Svezia nella Nato. È un’operazione da 23 miliardi di dollari. Come richiesto dalla legge statunitense, il dipartimento di Stato ha notificato al Congresso anche la vendita di 40 F-35 alla Grecia per 8,5 miliardi di dollari.
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