Secondo Israele, Hamas ha usato la violenza sessuale «sistematicamente e deliberatamente» nell’assalto. Herzig: «La sofferenza delle donne palestinesi non cancella quelle delle israeliane. Le femministe lo ricordino»
È grazie a testimonianze come quella di Sapir che le autorità israeliane sono riuscite a ricostruire uno degli aspetti più aberranti dell’attacco di Hamas del 7 ottobre. La donna, che ha 26 anni e lavora come contabile, si è salvata dal tristemente noto rave Nova, diventando poi una dei testimoni chiave della polizia israeliana. È riuscita a scappare dal luogo di festa, trasformatosi poi nel teatro di un’ecatombe, malgrado fosse stata colpita da una pallottola alla schiena.
A circa sei chilometri a sud-est dal luogo del rave, si è nascosta sotto un albero ai bordi della Route 232, ribattezzata poi la strada della morte, per tutti i cadaveri di giovani fuggiti dal festival ritrovati lungo di essa. Verso le 8 di mattina, ha visto a 15 metri dal suo nascondiglio un centinaio di miliziani di Hamas radunarsi in moto, macchine e camion. Una volta scesi dai veicoli, ha raccontato Sapir, hanno iniziato a passarsi fucili, granate, piccoli razzi. E donne gravemente ferite. Sapir ha assistito a cinque stupri. La sua è una delle testimonianze più precise e agghiaccianti di quanto accaduto il 7 ottobre.
Ha visto un uomo tirare per i capelli una ragazza, già ferita alla schiena, sanguinante. Un altro la penetrava. A ogni sussulto di dolore della donna, l’uomo che la violentava le piantava un coltello nella schiena. In un altro caso, Sapir è riuscita a vedere un’altra donna «ridotta a brandelli», come ha raccontato alla polizia israeliana, secondo vari media, tra cui il New York Times. Mentre un miliziano la stuprava, un altro ha tirato fuori un taglierino e le ha reciso un seno.
«Uno continua a violentarla, l’altro tira il suo seno ad un altro ancora e ci giocano, finché finisce sulla strada», ha dichiarato Sapir. Le hanno poi tagliato la faccia, e da lì Sapir non è riuscita più a vederla. Mentre alcuni miliziani hanno violentato altre tre donne, altri sono apparsi tenendo in mano le teste di altre tre, decapitate.
È sul racconto di Sapir, insieme a quello di altri testimoni oculari, medici, paramedici, soccorritori, volontari e membri dell’organizzazione umanitaria Zaka, che si basa il rapporto “Grido silenzioso” compilato dall’Associazione dei centri antistupro in Israele (ArccI). Sono stati raccolti da ArccI da fonti ufficiali, da articoli di stampa e attraverso interviste con soccorritori. Sono state escluse le informazioni pubblicate sui social network o provenienti da fonti non verificate.
La conclusione del rapporto di 39 pagine, di cui si è discusso ieri a Roma a un incontro con la storica israeliana Tamar Herzig, è che il 7 ottobre le violenze sessuali sono state commesse «sistematicamente e deliberatamente». Sono state coinvolte prevalentemente donne, ma ArccI ha parlato anche di violenze sessuali contro uomini e persone di ogni età, inclusi minori.
Le vittime hanno subito violenze così pesanti da riportare gravi ferite ai genitali e alle zone pelviche. In base ad alcune testimonianze, le violenze continuavano anche quando le vittime non si muovevano più ed erano presumibilmente già morte. I corpi sono stati spesso mutilati. A molti uomini sono stati tagliati i genitali, mentre a varie donne sono state infilate nella vagina e nell’ano barre di ferro o altri oggetti. In altri casi i miliziani hanno sparato ai genitali o ai seni delle loro vittime.
Nei kibbutz
Oltre che sul luogo del rave e sulla Route 232, i miliziani di Hamas hanno assaltato militari di alcune basi al confine con la Striscia e civili in vari kibbutz situati poco oltre i confini di Gaza. A Be’eri, il kibbutz dove sono stati uccise 90 persone, i volontari di Zaka – l’organizzazione che si occupa di raccogliere resti umani di qualsiasi tipo, nei casi di vittime di guerre, per dare alle spoglie degna sepoltura secondo le tradizioni ebraiche – hanno trovato una fila di case con corpi di donne e ragazze morte dopo essere state seviziate. Le hanno trovate senza biancheria intima, con macchie di seme sul corpo e, in un caso, con un coltello piantato nella vagina.
Anche soldatesse dell’esercito israeliano (Idf) sono state violentate, secondo varie testimonianze raccolte da ArccI. Maayan, un medico e militare, ha riconosciuto segni di violenza su almeno 10 di loro.
L’associazione indica che anche alcuni ostaggi, donne e uomini, hanno subito e possano tuttora subire violenze sessuali, stando alle testimonianze di alcuni di quelli tornati a casa in novembre. Tamar Herzig, da femminista e donna di sinistra, si è detta delusa dalla scarsa solidarietà ricevuta dai movimenti femministi fuori Israele e anche in Italia per le atrocità commesse contro donne ebree il 7 ottobre e contro quelle ancora tenute ostaggio da Hamas.
«Chiedo che le violenze sessuali commesse sulle donne ebree vengano riconosciute l’8 marzo dai movimenti femministi italiani ed europei, da Non una di meno che se ne dimentica sempre. Riconoscere la sofferenza delle donne israeliane non significa cancellare quella delle donne palestinesi. Si possono riconoscere entrambe, una non cancella l’altra», ha detto Herzig, all’incontro organizzato dall’ambasciata israeliana a Roma.
La studiosa ha spiegato di essere molto critica con il governo di Benjamin Netanyahu, che spera cada al più presto. Ma, pur condannando la condotta israeliana della guerra e la grave situazione umanitaria nella Striscia, denuncia che «questo non legittima il silenzio assordante sulle sofferenze delle donne ebree».
L’uscita di un rapporto dell’Onu sugli stupri del 7 ottobre è per Herzig e la portavoce dell’ambasciata Inbal Natan Gabay il riconoscimento di una tragedia così dolorosa per il popolo israeliano, della cui veridicità, dice la studiosa, si è a volte dubitato.
«Subito dopo il 7 ottobre, in Israele abbiamo saputo quello che era successo, lo stupro e il massacro delle vittime. Ora finalmente è stato riconosciuto dall’Onu, in modo molto cauto», ha detto la docente. C’era un silenzio preoccupante fino a ieri, ha detto la portavoce dell’ambasciata. «Eravamo profondamente delusi dalle organizzazioni internazionali che consideravamo come dei partner».
Il rapporto dell’Onu
Le conclusioni di ArccI sono state corroborate, almeno in parte, dal rapporto dell’Onu uscito lunedì sera. La missione del rappresentante speciale delle Nazioni unite sulla violenza sessuale nei conflitti ha riscontrato «buone ragioni per credere» che ci siano state violenze sessuali, inclusi stupri, anche di gruppo, al rave, sulla Strada 232 e al kibbutz Re’im. In almeno due casi, si tratterebbe dello stupro di due cadaveri.
Nel caso di Kfar Azza o di una base militare, la missione non è stata in grado di verificare le avvenute violenze, malgrado ci fossero delle indicazioni o testimonianze che lo lasciassero presupporre. Ha invece trovato senza fondamento almeno due casi di stupro a Be’eri ampiamente raccontati dai media, mentre non è stata in grado di identificare la sistematicità della mutilazione dei genitali durante gli attacchi.
Ben più esplicite sono state le conclusioni del rapporto sulle violenze sessuali sugli ostaggi prigionieri nella Striscia. Qui, la missione ha riscontrato informazioni «chiare e convincenti» su casi di stupro, tortura a sfondo sessuale, trattamenti crudeli, disumani e degradanti nei confronti degli ostaggi, che starebbero continuando contro coloro ancora in prigionia. Raccomandando un’indagine da parte di altri organismi Onu, la missione ha concluso che ci vorranno mesi o anni per capire la vera portata di questa tragedia, che potremmo non arrivare a conoscere mai.
I funzionari Onu si sono dedicati anche ai Territori occupati, con la raccolta di testimonianze di palestinesi di quelle zone riguardo a presunti casi di violenza sessuale perpetrata da autorità o coloni israeliani, sia nei confronti di detenuti che di civili durante i raid di abitazioni o controlli ai checkpoint.
I leader di Hamas hanno negato qualsiasi responsabilità per le aggressioni sessuali riportate dal rapporto Onu.
Quanto dichiarato dai miliziani è in linea con la ricostruzione degli eventi fatta nel loro documento “La nostra narrazione…Operazione Al Aqsa Flood” pubblicato in gennaio. Qui, l’organizzazione nega che ci siano prove di «stupri di massa», affermando invece che Israele ha usato quest’accusa «per fomentare il genocidio a Gaza».
Hamas sostiene nel documento che la battaglia del popolo palestinese contro l’occupazione e il colonialismo è iniziata 105 anni fa, quando la Palestina storica era sotto il mandato britannico.
«In questi lunghi decenni il popolo palestinese ha subito ogni forma di oppressione, ingiustizia, esproprio dei propri diritti fondamentali e politiche di apartheid», scrive Hamas.
Quindi, Hamas conclude, il 7 ottobre è stato «un passo necessario e la normale risposta per opporsi alla cospirazione israeliana contro i palestinesi e la loro causa. È stato un atto difensivo nel quadro della lotta di liberazione dall’occupazione israeliana, reclamando i diritti dei palestinesi, verso la liberazione e l’indipendenza, come tutti i popoli del mondo hanno fatto».
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