C’è grande attesa in Israele per l’annuncio di Benny Gantz, un fiero oppositore alle politiche di Netanyahu: il ministro rilascerà un comunicato sabato alle 21.40 ora italiana. Si prevede, ma la politica israeliana è molto bizantina, che il leader di Unità nazionale annunci il ritiro del suo partito centrista dal governo. La mossa significherebbe che sta adempiendo all’ultimatum che ha lanciato a Netanyahu il mese scorso chiedendo un impegno per una road map per Gaza che includa la stipulazione di chi potrebbe governare la Striscia in uno scenario in cui Hamas sia sconfitto. Il ministro aveva dato un ultimatum all’esecutivo, in polemica con la «mancanza di strategia».

Nel frattempo non ci sono sforzi da parte dei partiti della coalizione per garantire che Gantz rimanga dopo la scadenza dell’8 giugno. L’esecutivo non ha nemmeno preso in esame le sue richieste. Gantz ha subìto pressioni da parte di alcuni politici per rimanere al governo, dopo essersi unito alla coalizione pochi giorni dopo l’assalto di Hamas del 7 ottobre per formare un governo di emergenza in tempo di guerra.

Netanyahu intanto ha superato il 30 maggio, secondo un sondaggio dalla tv Canale 12, proprio Benny Gantz, che per tutto questo tempo è stato invece in testa. Il 36 per cento sceglie Bibi, contro un 30 per cento a favore di Gantz. A confermare la sorpresa c’è anche la riduzione della forbice dei consensi tra Unità nazionale di Gantz e il Likud di Netanyahu: 25 seggi alla Knesset per il primo, 21 per il secondo, che è in risalita. A dicembre scorso un altro sondaggio, sempre di Canale 12, attribuiva 37 seggi a Gantz e 18 a Netanyahu: un abisso. Non è dunque certo cosa Gantz deciderà di fare. Il 3 giugno, come evidenzia il Times of Israel, il deputato ha rifiutato di parlare con i media. Ma ormai sembra che Gantz non voglia tornare sui suoi passi.

A dare ragione alle riserve di Gantz arriva un rapporto della Cia circolato tra i vertici dell’amministrazione Usa che conclude che Netanyahu ritiene che possa andare avanti senza definire un piano post guerra a Gaza, sfidando quindi le pressioni che arrivano dall’amministrazione Biden per mettere fine al conflitto. Nel documento, reso noto dalla Cnn, si afferma che il premier israeliano «probabilmente ritiene che possa mantenere il sostegno dei suoi vertici di sicurezza ed evitare defezioni» da parte dei membri di estrema destra della sua coalizione limitandosi a discutere del futuro di Gaza in «termini vaghi». Esattamente le accuse di Gantz.

Al Congresso

In questa situazione ricca di colpi di scena il primo ministro israeliano ha accettato l’invito dei leader dei partiti repubblicano e democratico a rivolgersi ai legislatori del Congresso degli Stati Uniti il prossimo 24 luglio. La visita giunge nel mezzo di una crescente pressione affinché Israele e i militanti di Hamas accettino un cessate il fuoco permanente che ponga fine alla guerra nella Striscia. Nel mentre Israele affronta un forte isolamento diplomatico per l’elevato numero di morti a Gaza e per la sofferenza della popolazione civile ridotta allo stremo.

Infine, il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha affermato in un’intervista alla Nbc che Netanyahu ha recepito i suoi avvertimenti contro una grande offensiva militare a Rafah, adattando i piani dell’Idf a un’operazione più mirata. «Penso che mi stia ascoltando. Stavano per entrare a Rafah a tutta forza... Non l’hanno fatto», ha sottolineato. Quanto alla proposta di accordo, presentata proprio da Biden, Israele ha detto «pubblicamente» di essere d’accordo e anche «gli europei sono d’accordo». «Dobbiamo ottenere un cessate il fuoco», ha affermato l’inquilino della Casa Bianca, riconoscendo tuttavia che «è un momento molto difficile». La proposta come è stata presentata ha scatenato contrasti interni al governo dello Stato ebraico, con l’ala dell’estrema destra, lasciando in dubbio se Netanyahu procederà. Dubbi che per Gantz sono certezze.

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