- Nel 1991 il processo di liberalizzazione e di democratizzazione nell’Ucraina ha gettato le basi per lo sviluppo di mass media plurali e indipendenti, costituzionalmente garantiti.
- Ma negli anni la stampa ucraina ha subìto andamenti oscillanti tra fasi di censura e momenti di maggiore libertà, a seconda della volontà politica dei presidenti che si sono alternati al potere o degli interessi economici e individuali degli oligarchi.
- Da quando è cominciata l’invasione russa dell’Ucraina i social media, in particolare Telegram, sono diventati uno strumento utile per diffondere notizie che possano facilitare le azioni di corridoi umanitari o di prevenzione di attacchi, sotto l’efficace controllo dell’entourage del presidente Zelensky.
Questo articolo è tratto dal nuovo numero di Scenari. Puoi leggerlo qui.
Nel 1991 il processo di liberalizzazione e di democratizzazione nell’Ucraina ha gettato le basi per lo sviluppo di mass media plurali e indipendenti, costituzionalmente garantiti. Negli anni, come rilevano numerose analisi e l’organizzazione internazionale per i diritti umani Reporters without boarders, la stampa ucraina ha subìto andamenti oscillanti tra fasi di censura e momenti di maggiore libertà, a seconda della volontà politica dei presidenti che si sono alternati al potere o degli interessi economici e individuali degli oligarchi.
Personaggi come Viktor Pincuk, Ihor Kolomoyskyi, Petro Porošenko, Rinat Achmetov e Dmytro Firtaš sono i proprietari dei principali canali televisivi che incidono sulla linea editoriale e sul grado di libertà della stampa.
Certamente la questione del ruolo dei mass media in Ucraina ha attirato l’attenzione anche degli analisti e politici occidentali in occasione della serie televisiva Servitore del popolo, lanciata dall’attuale presidente Zelensky nel 2017. Nel 2003 Zelensky, Sergej e Boris Shefir hanno fondato l’ente televisivo “Studio Kvartal 95” che si contraddistingue per la produzione di alcuni show e serie televisive di grande successo.
Fasi alterne
Nel periodo 1994-2004 la presidenza di Leonid Kucma si è contraddistinta per una maggiore repressione della libertà di stampa e la chiusura di numerose testate, ed era diffusa l’autocensura.
Con la Rivoluzione arancione del 2004 la situazione è cambiata e la stampa ucraina è stata considerata tra le più libere di tutti i paesi dell’ex Unione sovietica.
Con l’elezione di Viktor Janokovic nel 2010, la libertà di stampa è nuovamente oggetto di censure e sanzioni, per poi subire una ripresa nel 2013-2014 con la Rivoluzione di Maidan e il conflitto nell’area orientale dell’Ucraina. In questo periodo si creano numerosi quotidiani online indipendenti che favoriscono la circolazione di informazioni alternative a quella governativa tra cui Hromadeska.ua.
Rimane, comunque, molto attivo il controllo statale delle fake news e della propaganda e alcuni giornalisti vengono minacciati o uccisi, come nel caso di Pavlo Šeremet e Katerina Handzjuk, che non hanno ancora trovato giustizia.
Nel 2019 l’Istituto dei media (Imi, Institut masovoi informacii) ha registrato 243 casi di violazione della libertà di parola, di cui 172 riguardavano aggressioni fisiche o altre forme di violazione: attacchi informatici e pressioni legali, ostruzione all’attività giornalistica, minacce, percosse, rifiuto di accesso alle informazioni.
Il disegno di legge
Nel gennaio del 2020 il ministro della Cultura ucraino Volodymyr Borodyansky ha presentato un progetto di legge sulla disinformazione che dovrebbe «garantire la sicurezza delle informazioni nazionali e il diritto di accedere a fonti e notizie affidabili». L’iniziativa legislativa mira anche ad aumentare il livello di alfabetizzazione mediatica della popolazione e sancisce la responsabilità civile e penale per i trasgressori con una pena sino a sette anni di reclusione.
Per favorirne l’implementazione, il progetto prevede la creazione del “difensore civico in materia di informazione” che sarebbe il responsabile della verifica delle segnalazioni di fake news e della loro rimozione. Le attività attribuite a questo organo sono state criticate dall’Imi perché agevolerebbero l’interferenza statale nella sfera dell’informazione e violerebbero gli impegni dell’Ucraina nei confronti della Convenzione europea sui diritti umani e della Corte europea per i diritti dell’uomo.
Altro elemento che ha suscitato numerose critiche è la proposta di un albo – Associazione dei giornalisti professionisti dell’Ucraina – che riconosce come giornalisti i membri che ne faranno parte e che potranno usufruire dei servizi di protezione statale. In questo modo si creano due categorie: i professionisti iscritti all’albo e i divulgatori privi di protezione statale.
L’Unione nazionale dei giornalisti dell’Ucraina (Nuju) e il monitoraggio delle Nazioni unite hanno espresso una forte indignazione al governo perché il disegno di legge non soddisfa minimamente gli standard internazionali sui diritti umani ed è una minaccia che potrebbe portare all’autocensura e, nei casi più gravi, alla persecuzione dei giornalisti.
Tuttavia, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky si è espresso favorevole al progetto di Borodyansky perché ritiene necessario stanziare dei fondi statali per combattere la disinformazione che costituisce «un problema che contribuisce alla scissione del paese».
Tra patriottismo e governo
Altra situazione di particolare rilevanza è Stop Fake, l’organizzazione non governativa di lotta alla propaganda russa, fondata nel 2014 da alcuni docenti della facoltà di giornalismo dell’Università Nazionale di Kyiv intitolata a Petro Mohyla. L’obiettivo principale è il contrasto alla propaganda (russa) e lo sviluppo degli standard occidentali di giornalismo in Ucraina. Sono state create anche sezioni nei singoli paesi europei (Stop Fake Italia) e sopravvive a finanziamenti di enti governativi o privati.
Infine, la presidenza di Porošenko ha contribuito notevolmente ad amplificare toni nazionalistici in tutto il paese in chiave antirussa, anche attraverso l’uso della televisione. Si è diffuso, infatti, il termine “giornalismo patriottico” come strumento per controbattere la propaganda russa che si contrappone all’etichetta di “separatisti” in riferimento a quei giornalisti che hanno ricevuto l’accredito dalle autorità delle autoproclamate repubbliche del Donetsk e Lugansk.
I loro nomi sono inseriti in una “lista nera” resa pubblica sul sito Myrotvorets dove si ritrovano anche i cosiddetti “bot-patrioti” del social media Hromadske, uno dei pochi network indipendenti, che ha criticato il governo ucraino denunciando le reali condizioni materiali nelle quali sono costretti a combattere i soldati ucraini nel fronte orientale.
In questi ultimi anni si è, quindi, saldata nei mass media l’autoidentificazione tra patriottismo e governo per la quale chi critica il presidente Poroshenko è accusato di essere “pro-russo” o “separatista” che mina l’unità e la stabilità dell’attuale.
Comunicazione strategica
Da quando è cominciata l’invasione russa dell’Ucraina i social media, in particolare Telegram, sono diventati uno strumento utile per diffondere notizie che possano facilitare le azioni di corridoi umanitari o di prevenzione di attacchi, sotto l’efficace controllo dell’entourage del presidente Zelensky.
Quest’ultimo, ha firmato un nuovo decreto con cui ha accorpato tutti i canali tv ucraini per creare «un’unica piattaforma informativa» per «una comunicazione strategica». In questo decreto è prevista la limitazione delle attività condotte da undici partiti politici ucraini d’opposizione, alcuni dei quali accusati di avere legami diretti con Mosca.
Grazie alla sua precedente esperienza professionale, il presidente Zelensky ha dimostrato una particolare sensibilità al tema della libertà di stampa e dei media e, soprattutto, alla necessità di contrastare la disinformazione (russa), che alimenta divisioni nel paese.
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