La presidente del Consiglio a caccia di investimenti produttivi in Italia, la Cina vuole contatti sovranisti nell’Ue. Il ruolo delle aziende di stato
Delle sue urla terrificanti contro «la Cina capital-comunista di Xi Jinping» alla conferenza programmatica di Fratelli d’Italia, il 30 aprile 2022, non è rimasta nemmeno l’eco. Rimosso (freudianamente) anche il tweet del 26 luglio dello stesso anno, nel quale aveva promosso ad “ambasciatore” il rappresentante di Taiwan in Italia, con tanto di invito a stare «sempre al fianco di chi crede nei valori della libertà e della democrazia».
A due anni dalla campagna elettorale che l’ha portata a palazzo Chigi, per la Giorgia Meloni che questa sera sbarca a Pechino la Cina di Xi Jinping è un partner importante (nono l’anno scorso tra i paesi destinatari dell’export italiano, per un valore di 19,1 miliardi di euro), a cui chiedere investimenti produttivi in Italia e presso il quale promuovere le eccellenze del Belpaese.
Le scorie lasciate dal rifiuto (nel dicembre 2023) della presidente del Consiglio di rinnovare il memorandum sulla Via della seta sottoscritto con Pechino dal Conte I sono state rimosse grazie al lavoro della diplomazia. E i nipoti di Deng Xiaoping (ai quali non importa che il gatto sia bianco o nero, basta che acciuffi il topo) sono pronti ad accogliere la leader di un paese tradizionalmente amico, nell’anniversario della morte (700 anni) di Marco Polo.
Non solo deficit
Nei prossimi giorni Meloni incontrerà sia il presidente cinese, Xi Jinping, sia il premier Li Qiang. Per l’Italia si tratta di una visita ufficiale importante (e lunga: tre giorni pieni, 28-30 luglio, con tappa a Shanghai dopo Pechino). Ce lo conferma il neoeletto presidente della Camera di commercio italiana in Cina (CicC). «Il Business Forum che si svolgerà domenica e lunedì nella Grande sala del popolo porterà a Pechino la prima grande delegazione di imprenditori italiani che torna in Cina dopo il Covid, dopo anni in cui è stato frenato lo sviluppo delle relazioni economico-commerciali bilaterali». Un periodo difficile durante il quale la Cina è cambiata ancora una volta, rallentando la crescita e riscrivendo le sue priorità.
Per questo il “sistema Italia” al completo (governo, Italian Trade Agency, CicC, Sace, ecc.) vuole riprendere il filo del discorso interrotto dalla pandemia, per capire come nel frattempo sono mutati mercati e strategie cinesi e se/quali ulteriori spazi di cooperazione potranno aprirsi per settori strategici dell’industria italiana quali: automotive, energia, “food and beverage”, “lifestyle”, logistica, meccanica, farmaceutica e servizi. A tal fine, al Business Forum parteciperanno, tra le altre, Eni, Leonardo, Pirelli, Dolce & Gabbana.
Il deficit commerciale dell’Italia nei confronti della Cina è salito da 18 miliardi di euro del 2019 agli attuali 41,44 miliardi. Un disavanzo che tuttavia va valutato alla luce del fatto che molti dei prodotti importati non sono beni di consumo, ma semilavorati e componentistica che finiscono nei beni fabbricati dalle compagnie italiane.
Al tentativo di provare comunque ad aumentare l’export italiano in Cina si affianca la partita portata avanti da Adolfo Urso, che ha scommesso su una “partnership industriale” Italia-Cina, ovvero sull’attrazione di capitali produttivi cinesi in Italia dopo anni in cui sono state soprattutto le aziende italiane a portare investimenti greenfield e lavoro in Cina.
Il ministro dell’Industria e del made in Italy ha annunciato che a Pechino Meloni firmerà un nuovo memorandum, ovvero un accordo di partenariato industriale nei settori della tecnologia green e della mobilità elettrica con il ministero cinese dell’Industria e dell’informatica. Sarà interessante analizzarlo quando sarà pubblicato, sperando che non riproponga la vaghezza di quello firmato cinque anni fa dall’ex ministro Luigi Di Maio.
Nonostante gli sforzi di Urso, non sarebbe invece ancora pronto l’agognato investimento produttivo cinese in Italia nel settore delle auto elettriche.
Obiettivi convergenti
Gli obiettivi di Roma e Pechino sono di natura diversa, ma potrebbero convergere. Il governo Meloni insegue un rilancio dell’export verso la Cina (difficile, per il rallentamento dell’economia e dei consumi), e chiede a Pechino investimenti produttivi in Italia, soprattutto nei settori dell’automotive e delle tecnologie green. Per il Partito comunista cinese invece in questa fase conta di più la geopolitica. E Meloni ha votato contro la riconferma della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, l’artefice del “derisking”, della riduzione delle dipendenze dell’Ue dalla Cina.
Nell’attesa di affrontare lo tsunami commerciale che potrebbe essere scatenato da Donald Trump, o di dover proseguire un lungo braccio di ferro con i democratici guidati da Kamala Harris, Pechino deve coltivare nuove sponde in una Unione europea sempre più frammentata, nella quale il motore franco-tedesco è in panne e i vari sovranisti si sono rafforzati con il voto del mese scorso. In questo quadro, il peso specifico di un’Italia che conta di meno nell’Ue potrebbe aumentare invece per la Cina.
Grazie all’esito delle elezioni europee Meloni – che arriva a un incontro ufficiale con Xi ben ultima nell’Ue che conta, dopo che il leader cinese ne ha avuti due sia con Emmanuel Macron che con Olaf Scholz – ha maggiori possibilità di strappare qualche accordo economico-commerciale.
La portavoce del ministero degli Esteri cinese, Mao Ning, ha commentato così in un briefing con i giornalisti l’arrivo di Meloni: «La Cina è disposta a cogliere questa visita come un’opportunità per migliorare la comprensione e rafforzare la fiducia, approfondire la cooperazione pratica e far progredire costantemente le relazioni Cina-Italia e Cina-Ue».
Sottoscrivere un memorandum e qualche intesa è possibile. Rilanciare le relazioni bilaterali è un altro paio di maniche. Per provarci, a novembre si recherà in visita di stato in Cina il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che per Pechino rappresenta il garante della continuità della politica di un paese tradizionalmente amico.
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