- Le immagini della premier italiana che spalanca sorrisi al cancelliere tedesco rivelano la vera urgenza di Meloni nel summit indonesiano: scrollarsi di dosso l’imbarazzo dell’isolamento europeo.
- Eccola quindi che esibisce cordialità con Scholz, dopo essersi impantanata nel pasticcio francese. Ed ecco perché il bilaterale con Biden diventa più che mai necessario: l’ora di conversazione con il presidente Usa acquisisce valore in funzione dell’Ue.
- Meloni punta a replicare lo schema polacco: ben prima che la Russia aggredisse l’Ucraina, il partito ultraconservatore al governo in Polonia, il Pis alleato di Fratelli d’Italia, ha potuto contare sull’interpolazione di Washington nei rapporti con Bruxelles.
Non esiste scorcio del G20 di Bali che non comprenda anche riflessi di politica interna. Persino il decalogo del presidente ucraino «per la pace» è un riverbero delle richieste della Casa Bianca di non mostrarsi indisponibili al dialogo. Ma quando si tratta dei sorrisi di Giorgia Meloni diretti al cancelliere tedesco Olaf Scholz, o dell’ora di bilaterale con il presidente americano Joe Biden, la faccenda è ancora più evidente. In questo, l’Italia è sempre più vicina alla Polonia: come è già accaduto all’ultradestra polacca, più aumenta l’isolamento in Ue, più diventa indispensabile l’appoggio della Casa Bianca.
Meloni e Biden
Le immagini della premier italiana che spalanca sorrisi al cancelliere tedesco rivelano la vera urgenza di Meloni nel summit indonesiano: scrollarsi di dosso l’imbarazzo dell’isolamento europeo.
Eccola quindi che esibisce cordialità con Scholz, dopo essersi impantanata nel pasticcio francese. Ed ecco perché il bilaterale con Biden diventa più che mai necessario: l’ora di conversazione avuta questo martedì con il presidente Usa acquisisce valore in funzione europea.
Meloni punta a replicare lo schema polacco: ben prima che la Russia aggredisse l’Ucraina, il partito ultraconservatore al governo in Polonia, il Pis alleato di Fratelli d’Italia, ha potuto contare sull’interpolazione di Washington nei rapporti con Bruxelles. Il presidente della Repubblica polacco Andrzej Duda, lo stesso che ha condotto un’intera campagna elettorale all’insegna dell’omofobia, è stato il pontiere in questa triangolazione.
Ora c’è la destra italiana, a chiedere protezione. E più Meloni fallisce nel suo tentativo di accreditarsi in Ue, più la Casa Bianca le diventa indispensabile; più la premier ha bisogno di Washington, meno indipendenti sono le sue politiche.
Alcuni punti sono scontati, o meglio riflettono le vecchie parole d’ordine della campagna elettorale: al centro del bilaterale, la «solidità dell’alleanza translatlantica», «il continuo sostegno all’Ucraina». Roma si sintonizza sempre più sullo schema di Varsavia anche nel sostegno dichiarato a Kiev. Ma la debolezza di Meloni come interlocutore può consentire a Biden di strappare ulteriori allineamenti sulle questioni del futuro, a cominciare dai rapporti con Pechino.
Poi c’è Xi
Già in campagna elettorale, Meloni ha esibito una consapevolezza: ancor più che alle sue attitudini verso Mosca, è a quelle verso Pechino che la Casa Bianca guarda. E fino a poche ore prima del voto, la leader di FdI ha lanciato segnali in merito: il 23 settembre ha detto a un’agenzia di stampa taiwanese che senz’altro, se lei avesse ottenuto la premiership, avrebbe stralciato la Via della seta cinese.
Tre anni fa Giuseppe Conte, da premier, aveva firmato un memorandum con Pechino; Conte non è più premier, e tocca a Meloni, che lo ha già definito «un grave errore». Poco prima di fare incetta di voti, la leader dichiarava che «Taiwan sarà una questione fondamentale per l’Italia»; ora con Biden al G20 discute «la stabilità nel Mediterraneo e nell’Indo-pacifico e i rapporti con la Cina».
Magari Washington promette gas liquefatto, certo è che Roma non è nelle condizioni di sviare dalle promesse su Pechino. «Abbiamo coordinato le risposte alle sfide globali, comprese quelle che la Cina rappresenta», ha dichiarato infatti la Casa Bianca dopo il tu per tu con la premier. Ora Meloni deve incontrare Xi Jinping, e barcamenarsi tra i tentativi di ottenere aperture sul versante commerciale, e la dichiarata fedeltà agli Stati Uniti.
Dopo Draghi
Al suo primo G20, Meloni si è intrattenuta anche con Recep Tayyip Erdogan, col quale dice di voler «cogliere le vaste potenzialità della regione mediterranea». Il riferimento è, tra le altre cose, al ruolo che la Turchia gioca in Libia. L’Italia, da ultimo con Draghi, vuole replicare con l’Africa lo schema che l’Ue già da tempo usa con la Turchia: finanziare l’esternalizzazione della gestione dei migranti.
Inoltre proprio l’ex banchiere centrale, finito sotto i riflettori per averdefinito Erdogan «dittatore», ha siglato con la Turchia una frotta di accordi di cooperazione. Eredità che Meloni persegue: «La premier e il presidente turco hanno condiviso l’auspicio di un ulteriore rafforzamento dei rapporti commerciali bilaterali». Del resto tra l’èra Draghi e quella Meloni resta costante il ruolo di Giancarlo Giorgetti ministro, che era ad Ankara con Draghi a luglio a firmare gli accordi Italia-Turchia e è a Bali con Meloni.
Tracce di eredità draghiane si vedono anche nell’intervento della nuova premier in ambito sanitario: il riferimento al fondo varato dalla task force co-presieduta da Italia e Indonesia è emanazione dei lavori del predecessore, con il coinvolgimento di Mario Monti, per mettere insieme sul fronte sanitario pubblico e privato, governi e istituzioni finanziarie.
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