La kermesse del governo libico sul contrasto al traffico di migranti, al quale hanno partecipato diversi leader internazionali tra cui la premier Giorgia Meloni, è stata un misto di annunci e di vecchie soluzioni poco concrete. Lo si vede anche dalla discrepanza tra i dati forniti dal governo libico in merito al numero di migranti irregolari presenti nel paese. Parlando con i giornalisti, il ministero dell’Interno del governo di unità nazionale (Gun), guidato da Imad Trabelsi, dichiara 2,5-3 milioni di persone. All’apertura del Forum trans mediterraneo delle migrazioni (Tfmm), organizzato dal governo del primo ministro Abdel Hamid Debeibeh, invece, il dato diffuso dal governo è stato più conservativo: un milione di persone. In aumento a causa della guerra in Sudan.

A prescindere da quale cifra sia corretta – l’ultimo rapporto dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) a maggio 2024 parla di circa 725mila – l’obiettivo di far circolare questi numeri è rendere evidente che la Libia ha bisogno di sostegno dall’Europa. I partner Ue hanno visto le partenze dalle coste libiche ridursi con un aumento drastico dalla Tunisia nel 2023. Quest’anno non più, anche se le persone intercettate finora sono poche secondo i numeri forniti dal Gun: meno di duemila contro le oltre 32mila del 2021.

Nulla di nuovo

Il Forum trans mediterraneo delle migrazioni (Tfmm) si è risolto in sostanza in due panel: il primo a cui hanno partecipato Margaritīs Schinas, vicepresidente della Commissione europea, Robert Abela primo ministro di Malta e Ahmed Hachani, primo ministro della Tunisia. Al secondo erano presenti il premier libico Debeibeh, Giorgia Meloni e Mahamat Idriss Deby Itno presidente del Ciad.

In entrambi gli incontri si è parlato di «piattaforme» e «iniziative» e di colpire le «cause profonde della migrazione». La formula è stata impiegata già nel 2015, all’epoca era il summit sulle migrazioni della Valletta, finito con 1,5 miliardi di euro di fondi per l’Africa intera e tre miliardi per l’accordo Europa-Turchia, finalizzato a bloccare la rotta balcanica.

A differenza di altri summit del passato, però, a Tripoli non vengono fornite cifre rispetto a quanto verrà investito e ai giornalisti è concesso fare domande solo ad Abdullah al-Lafi vicepresidente del Consiglio presidenziale della Libia. Che, rispondendo a Domani, ha criticato l’approccio di Bruxelles: «L’Europa pensa di risolvere tutto solo con le sue priorità mentre il compito della Libia è fare da ponte con le richiesta dei vari paesi». E ha annunciato che il prossimo appuntamento del forum sarà a ottobre. Nei suoi discorsi politici Tripoli ha evidenziato una novità: la necessità di voler aumentare i rimpatri volontari, il sistema attraverso cui l’Oim può rimandare un migrante nel proprio paese d’origine. Ma c’è un problema: una quota importante di chi è attualmente in Libia è rappresentata da sudanesi e riportarli in patria, un paese in guerra, significa violare la Convenzione universale sui diritti dell’uomo.

Le parole di Meloni

La premier Meloni, accompagnata dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, ha ribadito che «il Mediterraneo è una priorità. Non ci può essere il Mediterraneo senza Italia e Libia insieme». Meloni ha parlato di «approccio a 360 gradi» e di «tre-quattro linee di intervento» per l’Italia in temi di migrazioni: la prima è combattere i trafficanti di esseri umani «che usano la disperazione della gente senza garantire loro il rispetto dei diritti umani: questo noi non possiamo permetterlo», la seconda aumentare i flussi legali e la terza è l’origine del problema «rispettare il diritto di non essere costretti a partire».

Meloni ha però precisato di non apprezzare l’approccio «assistenziale» alla cooperazione ma di voler cercare ambiti dove l’interesse è reciproco. E per la Libia il settore è l’energia: Eni gestisce, in joint venture con la libica National oil corporation, la società Mellitah Oil&Gas, che all’Italia fornisce soprattutto gas.

La rabbia del Ciad

Per quanto Meloni abbia detto di vedere tanti «amici» in sala, l’atmosfera durante il forum non è stata del tutto rilassata. C’è stato un primo momento di tensione quando, racconta una fonte che aveva accesso alla parte del centro congressi destinata ai capi di stato, dodici persone armate che facevano parte della Guardia presidenziale del presidente del Ciad, Mahamat Idriss Deby Itno, hanno provato a entrare nel palazzo Internazionale dei Congressi di Tripoli armati.

La sicurezza dei libici li ha fermati e si sono sentite delle urla. Il Dipartimento dell’informazione libico ha fatto spostare le telecamere per evitare che filmassero la scena e ha costretto i giornalisti ad allontanarsi. Situazione che si è verificata anche alla fine dell’incontro. La tensione si è riversata anche sul palco quando il presidente del Ciad ha contestato a distanza il primo ministro tunisino Ahmed Hachani. Quest’ultimo ha definito «false informazioni» quelle che descrivono la Tunisia come paese razzista e violento.

Al contrario il governo tunisino sta facendo il massimo «per rispettare i diritti umani». Deby, intervenuto al panel successivo, ha replicato: «Rappresento il popolo nero africano. Ho appena sentito qualcuno dire che non esiste il razzismo... Esiste il razzismo. Gli immigrati qui, in questi paesi di transito, vengono maltrattati. I loro diritti non vengono rispettati».

In Tunisia gli attacchi ai migranti subsahariani sono aumentati dopo che il presidente Kais Saied ha parlato di «sostituzione etnica» subita dai tunisini per colpa di chi proviene dall’Africa subsahariana. Effetti della narrazione sovranista, anche in Nord Africa, che mina le relazioni anche nel continente.

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