- Domani in collaborazione con Lighthouse Reports, Aljazeera, SFR e ARD Monitor ha documentato decine di rimpatri forzati di richiedenti asilo, compresi minori, dall’Italia alla Grecia.
- Al centro dell’inchiesta ci sono foto, video e decine di testimonianze di persone imbarcate nel giro di poche ore sulla stessa nave con cui erano arrivati.
- E “prigioni” illegali fotografate sui traghetti commerciali sulle rotte tra i due paesi.
«Mi hanno respinto al buio». Sono le ultime parole di Baloosh, respinto dal porto italiano di Ancona. È un giovane ragazzo timido, che abbassa leggermente lo sguardo quando stringe la mano. Ora dorme insieme ad altre decine di persone, principalmente del Pakistan e dell’Afghanistan in una fabbrica abbandonata nella zona portuale di Patrasso, il più grande porto del Peloponneso, la porta che unisce la Grecia continentale all’Europa.
È qui che centinaia sopravvivono nell’attesa di appendersi sotto a un camion diretto via traghetto a Bari, Brindisi, Ancona o Venezia. È qui che tornano, ripetutamente, quando vengono scoperti. I respinti. “Affidati” ai comandanti delle navi, privati del fondamentale diritto di asilo e di protezione internazionale.
«Sono stato respinto al buio. Non mi hanno interrogato o chiesto se volevo fare richiesta di asilo o qualsiasi altra cosa. Mi hanno scoperto sotto un camion e rispedito indietro», racconta Baloosh, originario della provincia di Nangarhar, etnia pashtun.
Il suo nome per esteso è Baloosh Shahswar. È minore. Si legge su un documento che gli è stato rilasciato dal governo greco. La data di nascita riportata è il 13 agosto 2005. Nulla più di un pezzo di carta, scritto interamente in greco.
Come lui, altri connazionali, Farad, Mahdi, Ramine ma anche iracheni e siriani, respinti in Grecia dall’Italia e ora in limbo nelle fabbriche abbandonate al freddo, in mezzo ai rifiuti. Sopravvivono nonostante le continue incursioni della polizia greca, i rastrellamenti violenti, gli abusi verbali e psicologici. Queste tattiche di deterrenza del governo conservatore di Kyriakos Mitsotakis non rappresentano certo un ostacolo. Ogni giorno Baloosh e gli altri non staccano lo sguardo dalla confusione del porto.
Da un lato, i profili bianchi dei traghetti. Dall’altra una doppia recinzione di cemento, acciaio e filo spinato divide la zona di transito da quella d’imbarco. Ogni giorno, Baloosh e decine di altri connazionali tentano la corsa verso il muro di metallo, per fuggire il più lontano possibile. Obiettivo: imbarcarsi e raggiungere l’Italia. Nonostante i rischi, i respingimenti e le violazioni che avvengono nei porti adriatici di Venezia, Bari, Brindisi e Ancona.
Dentro le “prigioni” segrete
Domani in collaborazione con Lighthouse Reports, Aljazeera, SFR e ARD Monitor ha documentato decine di rimpatri forzati di richiedenti asilo, compresi minori, dall’Italia alla Grecia. Al centro dell’inchiesta ci sono foto, video e decine di testimonianze di persone imbarcate nel giro di poche ore sulla stessa nave con cui erano arrivati. E “prigioni” illegali fotografate sui traghetti commerciali sulle rotte tra i due paesi.
Una prassi diffusa e del tutto arbitraria, camuffata come pratica di riammissione ai sensi dell’art.8 comma 3 della legge Turco-Napolitano. E nonostante la sentenza storica della Corte europea dei diritti dell’uomo e la condanna dell’Italia, i richiedenti asilo continuano ad essere ammanettati nei garage dei traghetti, viene negata l’informativa legale ai porti italiani, e in generale opportunità adeguate per richiedere asilo. Succede alle frontiere portuali italiane, nei porti dell’Adriatico, come quello di Ancona, Bari o Venezia.
Le autorità italiane si sono rifiutate di fornire dati sul numero di persone che sono state rimpatriate in Grecia negli ultimi anni, ma secondo i dati forniti dalla Guardia costiera greca, almeno 231 persone sono state rimpatriate negli ultimi due anni.
«Durante le riammissioni dall’Italia alla Grecia, le autorità italiane consegnano i migranti, che hanno lasciato la Grecia illegalmente, al comandante della nave su cui sono stati trovati. Al momento dell’attracco al porto di Patrasso o Igoumenitsa, il comandante li consegna ai membri della guardia costiera greca», come confermato dalla stessa Guardia costiera in una nota inviata a Domani.
Consegnati, affidati, respinti. Spogliati dei pochi abiti sporchi a disposizione, privati dei telefoni cellulari. Registrati nel sistema Afis italiano, e invisibili nei registri europei di Eurodac (il database europeo, con sede a Strasburgo, delle impronte digitali dei richiedenti asilo, nrd). Così vengono respinti centinaia ogni anno, incatenati e rinchiusi in celle al buio, mentre migliaia di turisti vengono trasportati tra l'Italia e la Grecia.
I numeri potrebbero essere più alti, basta non registrarli, non adottare provvedimenti formali e le persone scompaiono dopo qualche ora, nel nulla, sulla nave che li riporta in Grecia.
«Probabilmente alcune persone vengono scoperte mentre sono ancora sui traghetti e non scendono mai a terra, per cui lo stesso capitano li riporta indietro», racconta Erminia Rizzi, operatrice legale in diritto dell’immigrazione ed asilo a Bari.
«Abbiamo report diretti anche di persone scese a terra ma che non vengono registrate: queste riammissioni e respingimenti avvengono in maniera illegittima, con procedure informali», aggiunge.
Le prigioni
Sul traghetto Superfast II, i richiedenti asilo vengono ammanettati nel garage dove vengono raccolti i rifiuti. Da una foto scattata durante uno dei respingimenti, Domani è riuscito a verificare l’esatto luogo dove l’equipaggio avrebbe ammanettato uno degli afgani respinti lo scorso anno dal porto di Bari.
In un altro dei traghetti della flotta Superfast, i richiedenti asilo sono trattenuti all’interno di una struttura metallica, situata a livello del garage su uno dei ponti inferiori della nave. Durante i mesi estivi, il caldo è insopportabile. Sul pavimento un cartone e una bottiglia d’acqua. Sul muro parole in curdo scarabocchiate.
Sul traghetto Asterion II, invece, altri due afghani respinti da Venezia hanno confermato il luogo della “prigione” nella quale sono stati rinchiusi durante il viaggio. All’esterno, il muro è tappezzato di foto di rinomate località estive. Praticamente senza rendersene conto, ogni passeggero che sale sulla scala mobile dal garage la attraversa all’arrivo.
All’interno ci sono due materassi. C’è persino un vecchio bagno rotto. Le testimonianze dell’equipaggio hanno permesso di identificare il luogo dove vengono trattenuti.
Le navi Asterion II, Superfast I e Superfast II, sulle quali abbiamo documentato e fotografato le “prigioni” utilizzate per il rimpatrio dei richiedenti asilo dall’Italia alla Grecia, appartengono a Superfast Ferries, che a sua volta è controllata da Attica, il più grande gruppo di trasporto passeggeri greco e uno dei dieci più grandi in Europa.
In una mail ufficiale il gruppo Attica ha ribadito che avrebbe indagato su quelle che ha descritto come accuse prive di fondamento. Nella stessa email, il gruppo ci ha “consigliato” di non pubblicare queste «false accuse».
«Vi invitiamo innanzitutto ad assicuravii di non associarlo in alcun modo, esplicitamente o implicitamente, al Gruppo Attica e/o ad alcuna delle sue società associate e le loro navi», conclude la replica, nella quale il gruppo si riservava «tutti i diritti».
E di fronte alle prove, il questore locale di Bari ha negato la complicità italiana. «Noi consegniamo il migrante all’equipaggio del traghetto, e poi viene consegnato al capitano», ha ribadito il questore Giovanni Signer, insediato a Bari da Novembre 2022.
Nega anche il governo italiano che continua a dichiarare che le riammissioni dai porti dell’Adriatico verso la Grecia rientrano nell’ambito dell’accordo di riammissione bilaterale tra i due paesi adottato nel 1999. Un accordo mai ratificato in parlamento.
A seguito della sentenza della corte Europea del 2014, è stata avviata una procedura di supervisione di fronte al comitato dei ministri del Consiglio di Europa. Il governo italiano, in un action report inviato al Consiglio di Europa lo scorso ottobre, ha sostenuto di aver adottato tutte le misure necessarie per evitare il ripetersi delle violazioni contestate e ha chiesto la chiusura definitiva della procedura. Il Consiglio d’Europa non si è ancora espresso a riguardo e una valutazione è prevista entro la metà di aprile.
(Hanno collaborato all’inchiesta Stavros Malichudis e Jack Sapoch)
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