- In Moldavia l’industria delle mele sostiene in varia misura quasi il 10 per cento della popolazione. La guerra di Putin ha mandato in crisi le catene di approvvigionamento: venivano esportate quasi tutte in Russia attraverso il territorio ucraino.
- Ora i carichi fanno un lungo giro attraverso Romania, Ungheria, Slovacchia, Polonia e Bielorussia per raggiungere il territorio russo, oppure passano per la Turchia e poi salpano sul Mar Nero. Ma costi e tempi sono insostenibili e il settore si sta aprendo a nuovi mercati.
- Dall’inizio della guerra il settore delle mele, tradizionalmente legato a Mosca, esporta fra il 15 e il 20 per cento in meno verso la Russia.
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Poland is third largest apple producer in the world. Here: Harvesting of apples in a fruit orchard family company. Photo CTK/Grzegorz Klatka (CTK via AP Images)
Una montagna di 120mila tonnellate di mele bloccate nei frigoriferi e nei magazzini dopo l’inizio dell’invasione di Vladimir Putin, che ha mandato a carte quarantotto le catene di approvvigionamento del mercato pre-bellico della Moldavia. Il paese più povero d’Europa, schiacciato fra l’Ucraina e le appendici orientali della Romania, in mancanza di uno sbocco sul mare esportava circa il 97 per cento delle sue mele in Russia, sfruttando i collegamenti ferroviari e stradali messi a disposizione da Kiev. Ma resi impercorribili con l’inizio della guerra.
Così la piccola Repubblica prevalentemente agricola con capitale Chişinău, attraversata da quasi mezzo milione di profughi dall’inizio dell’invasione, si è trovata ancora una volta a dover fare i conti con la sua posizione geopolitica al guado fra Russia e UE.
Ha dovuto escogitare nuove soluzioni fantasiose per continuare a esportare le mele verso il mercato russo, una direttrice comunque in flessione del 15-20 per cento dall’inizio della guerra, e darsi da fare per trovare nuovi mercati.
Mele divenute caso nazionale
La reazione alla crisi del settore rivela in controluce lo scivolamento del Paese verso direttrici commerciali alternative a quella di Mosca, la cui influenza strategica nel paese va erodendosi fin dai primi anni Novanta con la caduta dell’Unione Sovietica.
Ma andiamo con ordine. Nell’industria delle mele lavorano secondo le stime circa 50mila moldavi. Questo significa che, considerando una media di quattro persone per nucleo familiare, fino a 200mila persone dipendono in varia misura dai proventi del settore, senza contare l’indotto.
Una cifra equivalente a quasi il dieci per cento della popolazione (sui due milioni e mezzo), concentrata nelle regioni settentrionali dove ci sono i meleti. I numeri raccontano insomma da sé perché la crisi sia velocemente assurta a caso nazionale.
«Nelle prime settimane di guerra l’impatto sull’industria è stato davvero drammatico, le esportazioni si sono immediatamente dimezzate», dice Fala Iurie, direttore esecutivo dell’Associazione di produttori ed esportatori di frutta moldavi.
«I treni trasportavano le nostre mele verso la Russia, e da lì anche verso altri paesi sotto la sua sfera d’influenza, come il Kazakistan, l’Uzbekistan, la Mongolia e la Bielorussia. Con la guerra le loro monete nazionali, con cui pagavano le importazioni, hanno perso molto valore, ma soprattutto la logistica è diventata impossibile».
Ora nuove, arzigogolate soluzione fugano l’incubo di vedere 120 mila tonnellate di mele andare a male nei magazzini. Racconta sempre Iurie: «Il principale percorso ora è che le mele vanno a ovest verso la Romania, poi a nord attraverso Ungheria, Slovacchia e Polonia, e infine tornano a est approdando in Bielorussia e Russia. Ci sono state proteste al confine fra Polonia e Bielorussia – degli ucraini che hanno bloccato le strade accusando i camionisti di aiutare Putin ad aggirare restrizioni e sanzioni – ma ora sono quasi del tutto finite».
La seconda soluzione è quella navale. Le mele viaggiano via terra verso Istanbul e gli altri porti turchi sul mar Nero, attraversando Romania e Bulgaria, e si imbarcano per i porti russi del Krasnodar, come quello di Novorossijsk. Come Chişinău, anche Ankara non ha imposto sanzioni contro la Russia, e comunque si presta solo come luogo di transito.
Le Nazioni Unite, direttamente coinvolte nella crisi delle mele moldave, hanno convinto il grande esportatore turco Engin Tarim a farsi carico di un po’ della frutta, che poi verrebbe esportata in India insieme ad altri carichi di sua produzione.
A caccia di nuovi mercati
«Il problema è che il trasporto costa quattro volte più di prima, e i tempi sono cinque volte più lunghi», dice però Iurie, rispetto alle nuove direttrici di export. Ecco allora che il governo moldavo va anche a caccia di nuovi mercati. Le mele stanno trovando nuovi compratori in medio oriente, nella regione dell’Asia Pacifico, in nord Africa e in Romania.
«Progressivamente, è prevedibile che questo settore agricolo, storicamente legato alla Russia, vada sganciandosi da Mosca aprendosi a nuovi scenari», prevede il dirigente delle esportazioni.
Già in precedenti occasioni nella propria storia la Moldavia ha fatto di necessità virtù, lavorando a diversificare le proprie direttrici commerciali, soprattutto agricole, durante fasi di crisi politica.
Nel 2006 e poi nuovamente nel 2013, la Russia ha imposto divieti alle importazioni di vino moldavo, una delle industrie più importanti del paese, per punire la scelta delle autorità di Chişinău di avanzare il processo di integrazione con l’Unione europea (l’accordo di associazione siglato con Bruxelles risale al 2014).
Se una volta circa tre quarti del vino moldavo veniva esportato in Russia, oggi la cifra è scesa al 6-7 per cento, mentre il grosso della produzione viene esportata verso occidente. Un effetto simile hanno avuto le restrizioni e i dazi russi sui prodotti agricoli, imposti da Mosca a più riprese utilizzando argomenti di carattere sanitario ma unanimemente interpretati come misure di pressione politica.
Le mele, i cui standard non sarebbero all’altezza di quelle europee, sono rimaste ancorate ai mercati russi, ma dall’inizio della guerra gli export verso Mosca sono scesi dal 97 al 75-85 per cento. I contadini pensano sia l’inizio di un processo di trasformazione del mercato.
L’incognita del futuro
E nel frattempo tirano un sospiro di sollievo per il superamento della fase acuta della crisi. Delle 120mila tonnellate rimaste bloccate nei magazzini nelle prime settimane di guerra, ne rimangono circa 30mila, grazie alle nuove soluzioni e ai consumi del mercato interno.
Per gli agricoltori però i problemi sono solo iniziati. Con i costi dei fertilizzanti e della benzina alle stelle, e lo stato non in grado di distribuire aiuti, la raccolta stagionale di ciliegie, albicocche, prugne, uva da tavola e altri prodotti agricoli si preannuncia una nuova sfida.
A meno di importanti svolte sul piano delle trattative di pace fra Kiev e Mosca, gli autisti di camion continueranno a rifiutarsi di attraversare l’Ucraina per recapitare frutta e verdura in Russia.
Lo scorso 3 marzo il governo europeista di Chişinău ha ufficializzato la propria richiesta di ingresso nell’Unione europea, proprio sull’onda dello shock per l’invasione di Putin.
L’influenza di Mosca rimane però molto forte – il paese dipende quasi al cento per cento dalle sue forniture di gas, e nella regione separatista della Transnistria deve fare i conti con la presenza di un contingente russo di oltre duemila soldati. La battaglia per rendersi autonomo, una mela alla volta, rimane molto in salita.
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