- Mosca sta deludendo i paesi che si erano astenuti all’Onu o non applicano le sanzioni occidentali.
- Tutto il mondo si chiede cosa farà la Russia, soprattutto il medio oriente affamato che ora Lavrov sta cercando di rassicurare.
- Resta il fatto che l’occidente perde influenza: oltre all’Egitto anche Turchia e Arabia Saudita vogliono aderire ai Brics che possono diventare un “anti-G7”.
L’attacco missilistico russo al porto ucraino di Odessa è ripartito dopo appena un giorno dalla firma dell’accordo sul grano con l’Ucraina mediato dalla Turchia. Anzi la Russia ha alzato il prezzo: continua a bombardare e chiede la fine di tutte le sanzioni dai suoi prodotti alimentari, minacciando di non ottemperare l’accordo.
Si tratta di una postura negoziale aggressiva. Dal canto loro i turchi hanno già messo in funzione il centro di coordinamento di Istanbul che dovrà vigilare sulle navi mercantili. Ma questa volta la Russia deve stare attenta: il mondo la guarda da vicino e non può permettersi di sbagliare. La osservano soprattutto i paesi che hanno un disperato bisogno del grano (ucraino o russo), molti dei quali si sono astenuti durante il voto di condanna dell’aggressione all’Assemblea generale delle Nazioni unite e non applicano le sanzioni.
Mosca non può deluderle: sono numerosi i paesi che contano sull’accordo per ricevere il grano ucraino ma anche quello russo parzialmente soggetto a restrizioni a causa delle sanzioni. I missili su Odessa, confermati – e reiterati – dopo un’iniziale negazione dalle autorità russe, mettono tutto lo schema a repentaglio. I prezzi del grano e delle altre granaglie sono subito rischizzati in alto, invertendo una fase di calo dovuta all’ottimismo per i colloqui di queste settimane.
Passaggio sicuro
Com’è noto Russia e Ucraina hanno recentemente raggiunto un difficile consenso sul passaggio sicuro delle navi mercantili ucraine che saranno ispezionate dalla marina militare turca con l’ausilio di quella russa. Il mar Nero può in parte riaprirsi dopo essere rimasto completamente bloccato da quattro mesi, durante i quali l’Ucraina ha accusato la Russia di operare un blocco navale mentre Mosca biasimava Kiev di aver posto le mine e di ostacolare le sue esportazioni di cibo mediante le sanzioni occidentali.
L’accordo sul grano fa sperare la comunità internazionale: si crede che possa essere il primo di una lunga serie di tregue parziali, fino al cessate il fuoco definitivo che metta fine alla guerra. Il giorno dopo l’annuncio la Russia ha lanciato alcuni missili kaliber sulle strutture portuali di Odessa. Atto deliberato? Azione dei falchi che cercano di sabotare la trattativa? Divisioni interne? Mancanza di coordinamento nei comandi? Non lo sapremo forse mai.
Mosca afferma di colpire solo le infrastrutture militari ucraine risparmiando quelle commerciali. Dal canto suo l’Ucraina continua i preparativi per armare le navi. Il nocciolo della questione sono le assicurazioni: ogni nave da carico per salpare deve avere un’obbligatoria copertura che non ci sarà finché le cose non si chiariranno.
Preoccupazione internazionale
Numerosi paesi si sono detti molto preoccupati per questa altalena di speranze e delusioni, in particolare quelli del nord Africa e medio oriente che dipendono totalmente dal grano russo e ucraino, come il Libano e specialmente l’Egitto.
Si sa che vi sono circa 20 milioni di tonnellate di grano bloccate che attendono di essere esportate pena il loro deperimento. Russia e Nazioni unite hanno firmato un memorandum d’intesa separato che revoca le sanzioni alla Russia relative alle esportazioni di grano.
L’occidente lo riconoscerà? In tournée africana (Egitto, Etiopia, Repubblica Democratica del Congo e Uganda) il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov sta cercando di rassicurare il Cairo sulle esportazioni di grano, sostenendo che i patti saranno rispettati. Abdel Fattah al Sisi lo ha ricevuto con grande cortesia tentando di rimanere in equilibrio tra le due parti in guerra e senza aderire alle sanzioni occidentali: il suo paese dipende troppo dal pane sussidiato.
A dimostrazione di questa sua posizione, recentemente l’Egitto ha annunciato il suo interesse a unirsi ai Brics, assieme ad Arabia Saudita e Turchia. I tre paesi considerati una volta filo occidentali di ferro, ora si volgono verso la Russia e la Cina. La richiesta verrà discussa al prossimo vertice previsto nel 2023 in Sud Africa.
Attualmente i Brics sono formati di Brasile, Russia, India e Cina dal 2006, a cui si è aggiunta Pretoria nel 2010. Su invito del presidente cinese Xi Jinping, che ha presieduto l’ultimo vertice Brics in formato virtuale, il presidente egiziano ha preso parte alla sessione di dialogo di alto livello sullo sviluppo globale.
In quell’occasione al Sisi ha espresso il suo interesse per l’organizzazione. Per Pechino e Mosca i Brics dovrebbero trasformarsi da organizzazione delle economie emergenti in un “anti G7”, un modello alternativo alle economie dei paesi occidentali.
L’interesse di Turchia e Arabia Saudita conferma la direzione intrapresa e mette in luce la perdita di influenza occidentale. Il presidente Xi Jinping ha assicurato che il processo delle nuove adesioni ai Brics sarà velocizzato per aumentare la rappresentatività e l’influenza dell’organizzazione.
Tuttavia in Egitto il dibattito su tale adesione è ancora aperto: se è vero che c’è urgente necessità di grano russo e di investimenti cinesi, è anche vero che molta parte dell’establishment e delle élite egiziani non desidera schierarsi definitivamente, né mettersi contro gli Stati Uniti. Il processo aperto in medio oriente dagli accordi di Abramo ha aperto una fase nuova in cui Il Cairo deve ancora trovare un suo collocamento geopolitico: è stata la prima capitale a fare la pace con Gerusalemme ma ora rischia di rimanere periferica. La guerra ucraina sta obbligando gli stati della regione ad acrobazie talvolta pericolose per non scontentare nessuno.
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