Il team di esperti di Amnesty International ha esaminato i filmati dello sparo che ha colpito una giovane ragazza di 19 anni ed è emerso come la polizia del Myanmar stia utilizzando proiettili veri per sedare le proteste scaturite in seguito al golpe militare
La polizia birmana avrebbe usato proiettili veri per sedare le proteste che da giorni imperversano nel paese dopo il colpo di stato del 1º febbraio perpetrato dai militari. Ad affermarlo è un rapporto elaborato dagli esperti del Crisis evidence lab di Amnesty International.
Secondo l’organizzazione umanitaria le prove video e i fotogrammi circolati sui social dimostrano l'uso da parte della polizia di mitragliatrici contro i manifestanti che pacificamente esprimevano il loro dissenso nei confronti del potere militare.
I filmati esaminati mostrano l’esatto momento in cui una ragazza di 19 anni cade a terra dopo il forte rumore di uno sparo esploso durante le proteste nella capitale Naypyitaw. Insieme agli altri manifestanti, la giovane ragazza si era riparata dagli idranti sotto la tettoia di una fermata dell'autobus quando è stata raggiunta dallo sparo.
Secondo i media, la 19enne ha perso varie funzioni cerebrali nonostante indossasse un casco come protezione e ora ha poche possibilità di rimanere in vita.
«Questa prova contraddice anche le affermazioni dei militari del Myanmar, secondo cui gli agenti di sicurezza non portavano armi letali» dichiara Amnesty. Infatti, la True News Information Unit dell'esercito birmano ha dichiarato che le forze di sicurezza hanno dispiegato solo armi non letali.
In realtà, le immagini mostrano un membro della polizia che brandisce un clone di Uzi BA-94 o BA-93, una variante prodotta in Birmania della nota mitragliatrice.
«I materiali pubblicati sui social media che abbiamo verificato mostrano che la polizia ha preso di mira i manifestanti, senza alcun rispetto per la loro vita o sicurezza. Il loro abominevole uso della forza letale contro i manifestanti è illegale e deve essere indagato in modo indipendente, approfondito e tempestivo», ha dichiarato Sam Dubberley, responsabile del Crisis Evidence Lab di Amnesty International. «L'uso inutile ed eccessivo della forza da parte delle forze di sicurezza del Myanmar deve cessare immediatamente. Mentre le proteste continuano, è vitale che il diritto del popolo di esprimere pacificamente le proprie rimostranze sia rispettato», ha aggiunto.
Il colpo di stato e le proteste
Da giorni decine di migliaia di birmani sono scesi nelle strade delle città più grandi del paese come Yangon e Mandalay. Le forze di polizia hanno immediatamente utilizzato proiettili di gomma, gas lacrimogeni e cannoni ad acqua per disperdere la folla. È stato anche limitato l’uso di Facebook, dove i giovani manifestanti, gli insegnanti e i sindacati organizzavano le proteste.
Il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni unite, dove gli Stati Uniti sono tornati come membro osservatore dopo l’uscita dell’amministrazione Trump, ha in programma una sessione speciale per discutere sulla situazione in Myanmar.
Nel frattempo il presidente americano, Joe Biden, ha annunciato di aver inflitto delle sanzioni nei confronti del paese e ha condannato fermamente l’utilizzo della violenza da parte delle forze di sicurezza. Anche il Regno Unito sta valutando eventuali sanzioni, mentre i manifestanti birmani nei giorni scorsi si sono radunati davanti l’ambasciata cinese a Yangon, accusando il governo di Pechino di sostenere i golpisti per aver messo il veto alla risoluzione Onu di settimana scorsa che condannava il colpo di stato.
I militari hanno promesso nuove elezioni democratiche una volta finito lo stato di emergenza. Con il colpo di stato sono stati arrestati tutti i membri del partito di governo (la Lega nazionale democratica) e la leader, nonchè premio nobel per la pace Aung San Suu Kyi. Quest’ultima è accusata di aver importato illegalmente dei walkie talkie all’interno del paese e ora rischia fino a tre anni di detenzione. San Suu Kyi ha già trascorso circa 15 anni agli arresti domiciliari durante le sue lotte contro i precedenti governi militari prima della travagliata transizione democratica iniziata nel 2011 e ora messa nuovamente in discussione.
I militari hanno motivato il colpo di stato con dei presunti brogli elettorali alle ultime elezioni in cui aveva vinto il partito della leader San Suu Kyi, nonostante il comitato elettorale ha negato alcun tipo di interferenza con il risultato finale del voto.
Nel frattempo, il capo del nuovo governo militare del Myanmar ha esortato i dipendenti pubblici di tornare al lavoro e alle persone di fermare i raduni di massa per evitare la diffusione del Covid-19.
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