- Nonostante le differenze religiose con il resto d’Europa, in Egitto il Natale è una festività profondamente sentita dalla popolazione.
- La comunità cristiana ortodossa copta conta circa dieci milioni di persone: nonostante il grande numero, si tratta di una minoranza di fedeli (circa il 10 per cento) se si guarda alla popolazione complessiva del paese a prevalenza musulmana.
- A differenza di quanto accade in Europa, il Natale in Egitto si tiene il 7 gennaio. I festeggiamenti iniziano nel tardo pomeriggio del 6 con una messa che dura diverse ore, fino a mezzanotte. Questo perché i copti seguono il calendario Giuliano.
La cattedrale di San Marco del Cairo è gremita di persone. Le donne sono sedute vicine e indossano un leggero velo sul capo. Insieme agli uomini intonano i canti religiosi. Le loro voci riecheggiano nel vuoto delle navate. Davanti a loro il patriarca ortodosso copto Teodoro II benedice con il vino rosso il qurban, il pane preparato in chiesa e distribuito ai fedeli durante la santa messa di Natale.
I presenti si accalcano in fila e strepitano per prenderne un pezzo. Un rito che si ripete ogni anno all’interno della cattedrale, sede di residenza del patriarca e punto di ritrovo di gran parte della comunità copta che vive nel centro del Cairo. Al suo interno sono presenti anche alcune reliquie di Marco l’evangelista trasportate direttamente dalla Basilica di San Marco a Venezia.
Nonostante le differenze religiose con il resto d’Europa, in Egitto il Natale è una festività profondamente sentita dalla popolazione. La comunità cristiana ortodossa copta conta circa dieci milioni di persone: nonostante il grande numero, si tratta di una minoranza di fedeli (circa il 10 per cento) se si guarda alla popolazione complessiva del paese a prevalenza musulmana.
Nonostante ciò, anche nella sponda sud del Mediterraneo, cene, ritrovi famigliari e tradizioni culinarie scandiscono i mesi di dicembre e gennaio. Ma a differenza di quanto accade in Europa, il Natale in Egitto si tiene il 7 gennaio. I festeggiamenti iniziano nel tardo pomeriggio del 6 con una messa che dura diverse ore, fino a mezzanotte. Questo perché i copti seguono il calendario Giuliano e, diversamente da quello Gregoriano adottato in Europa, il giorno di Natale ricade tredici giorno dopo il consueto 25 dicembre che rimane comunque un giorno di festa.
Il digiuno religioso
L’altra differenza principale tra il Natale cristiano e quello dei copti ortodossi è che dal 25 novembre al 6 gennaio quest’ultimi seguono il digiuno della santa natività, durante il quale i fedeli si attengono a una rigorosa dieta vegana. Per 43 giorni non consumano nessun prodotto di origine animale come carne, uova, latte o formaggi. La durata si basa sui quaranta giorni che Mosè avrebbe digiunato prima di ricevere da Dio i dieci comandamenti, al quale si aggiungono tre giorni come commemorazione del miracolo dello spostamento della montagna Mokattam che sorge nella parte orientale del Cairo e dove oggi c’è il suggestivo monastero di San Simone incastonato tra le pietre.
I riti liturgici e il cibo hanno spesso un legame profondo, soprattutto nella chiesa, e per i copti ortodossi vale lo stesso. Durante la messa di Natale viene offerto ai fedeli il qurban previa benedizione. Si tratta di un pane soffice che viene cucinato in chiesa con un’estetica ben precisa: ha una forma rotonda che richiama il sole e al centro è raffigurata una grande croce circondata da altre dodici come rappresentazione dei dodici discepoli.
Prelibatezze culinarie
Una volta conclusa la messa si torna a casa e i tavoli vengono imbanditi con diversi piatti tipici della tradizione culinaria egiziana, una cucina che ha caratteristiche comuni con quella di altri paesi dell’area sud del Mediterraneo come il Libano, la Grecia o la Siria.
Uno dei piatti “forti” e che si trova in tutte le tavole degli egiziani nella cena di Natale è indubbiamente la fattah. Si serve su un recipiente alto, dato che il piatto è composto a più strati, ed è molto sostanzioso. Alla base c’è del pane secco e duro (una buona maniera per “riciclare” gli avanzi dei giorni precedenti) che viene spezzettato prima di essere imbevuto con del brodo di carne caldo (si preferisce l’agnello ma va bene anche il manzo). Dopodiché si aggiunge del riso in bianco e si mescola con il pane. Alla base mista di riso e pane unto con il brodo con il brodo di carne si aggiunte altro riso bianco fino a riempire l’intero recipiente e infine si versa in “testa” il sugo di pomodoro. Come condimento un bel soffritto d’aglio con aggiunta di aceto. Come se non bastasse, come secondo si mangia la carne bollita, quella usata per preparare il brodo.
Ad accompagnare la fattah ci sono diverse salse, contorni e altri piatti come ad esempio le foglie di vite ripiene di riso (molto diffuse anche in Grecia e in tutta l’area mediorientale). La cena si conclude con una serie di dolci di cui l’Egitto vanta una modesta varietà. Il dolce più tradizionale nella cena di Natale è il kahk, che spesso viene portato in dono dagli invitati.
Il kahk è un biscotto friabile che si può trovare anche nei negozietti etnici che ci sono in giro per Roma dove vengono preparati artigianalmente. È un dolce che non si pone barriere religiose e infatti è consumato anche dai musulmani a conclusione del mese sacro di Ramadan durante il giorno dell’Eid el Fetr, con il quale si interrompe il digiuno durato un mese.
L’impasto è a base di acqua, farina, burro e lievito e può essere condito in tanti modi diversi. Una variante prevede anche l’utilizzo nell’impasto di qualche goccia di acqua alle rose per aromatizzare di più il biscotto che viene infine servito con una spolverata di zucchero a velo e accompagnato, se si è a casa o nei ristoranti, da una tazza di shay (tè). Al loro interno i kahk possono contenere ripieni diversi. C’è chi li condisce con noci tritate e cannella, chi invece ci mette pistacchi e miele, e altri invece utilizzano i datteri. Altre versioni simili vengono cucinate non solo in Egitto ma anche nel vicino Sudan.
Il terrore
La tradizione e il cibo, però, devono fare i conti con la realtà. Negli ultimi anni la violenza contro i cristiani copti è aumentata esponenzialmente tanto da implementare i servizi di sicurezza al di fuori delle chiese durante la messa di Natale e nei luoghi di ritrovo della comunità. Più volte l’Isis e jihadisti affiliati ad altri gruppi terroristici hanno colpito nel mese natalizio.
L’11 dicembre del 2016 la deflagrazione di una bomba in una chiesa nel quartiere Abassiya del Cairo ha causato 25 morti e 49 feriti. Un anno più tardi, il 29 dicembre del 2017 due uomini armati hanno fatto irruzione nella chiesa copta di San Mena, nella periferia sud della capitale e hanno sparato contro i fedeli uccidendo nove persone tra cui un poliziotto. Qualche mese prima, invece, durante le celebrazioni pasquali due attentati hanno provocato 44 morti e 118 feriti. Uno dei due attacchi è avvenuto nella chiesa di San Giorgio a Tanta, dove una bomba ha causato 27 vittime. L’altro attentato si è verificato nella chiesa di San Marco nella città costiera di Alessandria e ha provocato 17 morti.
Al di là degli attentati, più volte la comunità copta ha subìto discriminazioni e violenze, come documentato da giornalisti e attivisti locali. Tra questi c’è anche Patrick Zaki, lo studente egiziano dell’università di Bologna accusato di aver diffuso fake news per aver pubblicato articolo in cui venivano denunciate le violenze subite dai copti. Per quell’articolo, Zaki, così come tanti altri prigionieri politici egiziani (se ne stimano 60mila) ha trascorso un natale in carcere (quasi due). Luoghi di detenzioni dove vengono violati i diritti umani ma anche dove tradizioni, dolci e altre prelibatezze non sono contemplate.
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