La guerra tra la Russia e l’Ucraina dura ormai da quasi due mesi e un cessate il fuoco sembra al di là da venire. Anzi l’ipotesi di un’ulteriore escalation del conflitto resta sul tavolo, una probabilità presa sempre più in considerazione sia dai due paesi belligeranti sia dagli alleati della Nato che stanno aiutando Kiev.

Stando ai report delle intelligence occidentali, si studia ormai ogni punto di caduta: quella di una guerra lunga a medio o bassa intensità nel Donbass, un nuovo tentativo dei russi – una volta riorganizzatisi – di marciare sulla capitale per instaurare un governo fantoccio, fino al rischio di un “incidente” (un attacco chimico di Mosca, operazioni contro i convogli stranieri che inviano armi all’esercito di Volodymyr Zelensky) che convinca la Nato a intervenire direttamente.

Le forze nucleari

A Washington, Londra, Berlino e Parigi non escludono nemmeno il rischio di un conflitto nucleare. Il rischio resta molto basso, ma i timori che Putin messo all’angolo schiacci il pulsante sono concreti.

Ne sono prova alcuni rapporti segreti della Nato che Domani è riuscito a leggere. Analizzano con dovizia di particolari le forze nucleari della Russia, la nuova dislocazione di missili balistici sul territorio e le basi della logistica nucleare, compreso «il munizionamento nucleare e le attività connesse alla loro gestione».

Non solo. La Cia e gli inglesi dell’MI6 hanno realizzato recentemente report aggiornati sugli uomini chiave della cosiddetta “triade nucleare”, cioè i sistemi di lancio delle testate da terra, dall’aria e dal mare, per valutare i profili soggettivi dei generali e ipotizzare – in caso di ordine dal Cremlino – l’esistenza o meno di margini per un’insubordinazione di chi deve spingere l’ultimo bottone.

La triade

Secondo i report datati marzo 2022 la Federazione russa, uno dei cinque stati nucleari riconosciuti dal trattato di non proliferazione, «ha il più ampio arsenale di testate nucleari del pianeta». Sono circa settemila, di cui, si legge ancora, «4.497 risultano in arsenale, mentre le rimanenti sono in attesa di essere smantellate».

A settembre 2018, analizzando i dati scambiati tra Usa e Russia nell’ambito degli accordi sulla riduzione delle armi di distruzione di massa (l’ultimo si chiama New Start), Mosca ha dichiarato il possesso di 517 lanciatori strategici, con 1.420 testate dispiegate. Una forza di fuoco bastante a ridurre in polvere mezzo mondo.

Ora, al di là delle dichiarazioni e delle minacce della propaganda, la dottrina militare russa – modificata a giugno 2020 – contempla l’uso della forza nucleare in funzione di deterrenza, cioè solo in risposta ad attacchi nemici mediante l’uso di armi di distruzione di massa. Ma anche a semplici armi convenzionali, nel caso «l’esistenza stessa della Russia venisse messa in pericolo».

Una valutazione politico militare che ha grandi margini di interpretazione. Per legge la decisione dell’utilizzo di testate nucleari spetta al presidente, oggi Vladimir Putin, «che emana l’ordine – in qualità di comandante supremo delle Forze armate – allo stato maggiore generale della Difesa – responsabile dello status delle armi della triade nucleare – e che a sua volta invia il comando di lancio alle unità competenti».

Oltre Putin, come è noto l’ok a eventuali attacchi militari deve passare anche per il capo di stato maggiore Valerij Gerasimov, da nove anni a capo dell’esercito russo ma ora finito, secondo alcuni servizi di informazione occidentale, in disgrazia a causa della disastrosa campagna militare finora condotta dall’ex armata rossa.

Altro generale chiave della triade nucleare è Sergej Karakayev, comandante delle Srf, acronimo delle forze missilistiche strategiche. Nato nel 1961 nella regione di Kuscevskij, a quattro ore di macchina da Mariupol, è stato a capo della 27a armata e detiene oggi il controllo dei missili balistici intercontinentali terrestri. «Karakayev gestisce circa 280 sistemi operativi che possono montare fino a 900 testate nucleari», spiega uno dei rapporti Nato, che fa una mappa dettagliata (vedi cartina) della posizione delle undici divisioni missilistiche sparse per la Russia.

L’eroe di Putin

Altro nome attenzionato dagli analisti dell’alleanza militare occidentale, e del tutto sconosciuto al grande pubblico, è quello del tenente generale Sergey Kobylash, capo dell’Aviazione a lungo raggio (detta anche Lra). Il suo comando controlla 40 bombardieri strategici, «che possono trasportare 200 missili da crociera aria-terra a lungo raggio e bombe». Gli aerei partono da Engels, nel centro dell’enorme paese, e dalla base a Ukrainka, a est del paese. L’intelligence americana considera Kobylash un falco e un fedele servitore del presidente nonostante sia nato a Odessa, quando l’Ucraina era sovietica.

Classe 1965, l’ex pilota militare ha partecipato in Cecenia a una quindicina di missioni contro i ribelli di Grozny, ma è diventato un mito a Mosca durante la guerra in Ossezia del Sud del 2008: secondo la propaganda russa (riportata dai servizi segreti della Nato), durante un bombardamento a bassa quota a una colonna militare di truppe della Georgia, il caccia di Karakayev fu colpito al motore sinistro da un missile, costringendo il pilota a tornare verso la sua base. Sopra l’aeroporto, però, «fu colpito da un secondo missile che mise fuori uso anche il motore destro, l’aereo perse la spinta. Il colonnello Kobylash è riuscito comunque a portare l’aereo fuori dalla città, rischiando la sua vita».

Prima che il caccia precipitasse, il russo è riuscito a espellersi, paracadutandosi in un luogo impervio dove fu recuperato il giorno dopo. A fine 2008, Putin gli ha consegnato l’encomio di “eroe della Federazione russa”, promuovendolo nel 2016 a capo dell’Aviazione nucleare a lungo raggio.

Fedelissimo di Putin e del ministro della Difesa Sergej Shoigu è, secondo un altro report della Nato, anche l’ammiraglio Nikolai Anatolyevich Yevmenov, altro vertice della triade nucleare: è infatti il capo della marina militare russa, dove sono incardinate le forse navali strategiche (Snf) composte da dieci sommergibili strategici, «di cui nove hanno missili nucleari a bordo». Yevmenov secondo una fonte Usa sentita da Domani «ha un profilo che sembra discostarsi da quello del protagonista “Caccia a Ottobre rosso”», il capitano-disertore Marco Ramius interpretato da Sean Connery che nel film tradisce i russi consegnando agli americani un sommergibile Typhoon nuovo di zecca.

Nato a Mosca, cresciuto durante la Guerra fredda nelle accademie sovietiche, come Kobylash anche Yevmenov è considerato un fedele esecutore degli ordini del presidente. Non a caso il suo nome compare nell’elenco delle sanzioni decise dall’Unione europea a febbraio 2022, perché insieme ad altri «è responsabile del sostegno attivo e dell’attuazione di azioni e politiche che minano e minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina».

Il generale che ha quasi perso ieri l’incrociatore Moskva («bombardato da noi», dicono gli ucraini) guida una flotta di sottomarini che possono trasportare fino a 145 missili balistici, che a loro volta possono montare fino a 650 testate nucleari. I sommergibili sono divisi in due flotte: quella del Nord a Severomorsk che includono cinque classi Delta IV e una classe Borey, e la squadra del Pacifico di stanza a Vladivostok, che conta una Delta III e due Borey. Una flotta che fa paura per il potenziale atomico, ma infinitamente meno imponente di quella che la marina sovietica poteva vantare negli anni Ottanta, quando i sottomarini nucleari erano una trentina.

Le atomiche “sporche”

Le analisi dell’intelligence non sono concentrate solo sulla triade. Perché se il lancio di un missile balistico intercontinentale come i vecchi Satan o di un SS27 Sickle (entro fine dell’anno o inizio 2023 Putin spera che possano essere pian piano sostituiti con i Satan II, con disturbatori radar che ne renderanno difficile l’ingaggio) resta opzione improbabile, un attacco a medio raggio attraverso i missili Iskander-M (che ha una gittata di 400 km, contro i 10-12mila degli intercontinentali) o con bombe tattiche spaventa molto di più.

«La Russia ha allargato il concetto classico di deterrenza strategica», spiegano ancora i rapporti, «includendo l’impiego di armi nucleari non strategiche e tattiche. Queste ultime sono impiegate per ingaggiare obiettivi al li là delle linee nemiche per ridurre la capacità militare del nemico, arrestarne l’avanzata».

Ma quante sono le atomiche tattiche, che hanno una potenza assai inferiore a quelle strategiche e che potrebbero essere usate – per questo motivo – più alla leggera nel caso l’esercito russo non riuscisse a piegare la resistenza ucraina? Le intelligence occidentali non lo sanno: la Nuclear Posture Review, il piano che annualmente descrive l’approccio dell’amministrazione statunitense in carica in merito alle armi nucleari, stima che le bombe nucleari tattiche russe siano circa duemila, ma visto che i trattati internazionali non ne limitano il numero attualmente «non ci sono mezzi per quantificarle» con precisione.

Inoltre non si conoscono le basi dove sono custodite, anche se dovrebbero essere, come le testate della triade, in capo alla 12° Gumo, l’organismo di Mosca responsabile della gestione e della sicurezza di tutto il munizionamento nucleare della Russia. La Gumo ha sparpagliato i suoi depositi su tutto il territorio della federazione, dall’exclave di Kaliningrad tra Polonia e Lituania (il Cremlino ha fatto capire che un eventuale ingresso di Finlandia e Svezia dentro la Nato comporterà un dispiegamento di missili nucleari nel Baltico) alla penisola orientale della Kamchatka.

Possibilità di intercettare e neutralizzare un attacco nucleare tattico sembra essere, dicono gli esperti, assai scarso: «Le ambiguità create dalle armi nucleari non strategiche e quelle tattiche», chiude il report, «comporta una notevole difficoltà nel mantenere un’adeguata situational awareness sulle attività russe, riducendo il warning circa il loro possibile utilizzo».

 

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