- Fondato nel 1993, dal 2009 con un’edizione online in lingua inglese, sotto la quindicennale direzione di Hu Xijin, il Global Times è diventato il megafono della diplomazia “Wolf warrior”, della politica estera della “Nuova era” di Xi Jinping, una sfida aperta all’egemonia Usa nel Pacifico.
- Per sparare bordate contro l’Alleanza atlantica, il Global Times ha arruolato accademici, commentatori e vignettisti.
- Il messaggio del Global Times all’audience interna è: il liberalismo è sinonimo di guerre per esportare la democrazia e divisioni sociali, mentre il governo ad infinitum del partito comunista rappresenta l’unico argine al caos di un mondo esterno sempre più ostile.
Wang Guangtao, giovane ricercatore dell’università Fudan di Shanghai, non ha dubbi: «La Nato vuole allungare i suoi tentacoli dall’Atlantico su altre regioni come l’Asia-Pacifico, perciò ha bisogno di far entrare altri paesi partner e promuovere la creazione di un’altra “gang” nella regione». Per sparare bordate contro l’Alleanza atlantica, il Global Times ha arruolato accademici, commentatori e vignettisti. La metafora della Nato-piovra è la più gettonata negli articoli, ripostati su tutti i social, del tabloid edito dal Quotidiano del popolo, organo ufficiale del Comitato centrale del Partito comunista cinese.
Secondo Wang, con l’inserimento della Cina nello “Strategic concept” - il documento decennale che ne guida l’azione politica e militare - l’organizzazione nata per contenere l’Unione sovietica, «mira a costruire il prototipo di una mini-Nato asiatica» con l’aiuto di Giappone, Australia, Nuova Zelanda e Corea del sud, che interverranno al summit di Madrid, e che potrebbero tenere un quadrilaterale per discutere di quella che il segretario generale dell’Alleanza atlantica, Jens Stoltenberg, ha definito «la sfida della Cina all’ordine internazionale basato sulle regole».
Fondato nel 1993, dal 2009 con un’edizione online in lingua inglese, sotto la quindicennale direzione di Hu Xijin (in pensione dal 16 dicembre scorso, 500 mila follower su Twitter) il Global Times (Huánqiú Shíbào) è diventato il megafono della diplomazia “Wolf warrior” (dal titolo dell’omonimo blockbuster d’azione patriottico), della politica estera della “Nuova era” di Xi Jinping, una sfida aperta all’egemonia Usa nel Pacifico. Una pubblicazione di un certo interesse, perché riflette le tendenze più nazionaliste in seno al partito, destinate a rafforzarsi se lo scontro con Washington dovesse farsi più duro.
Liberalismo nel mirino
Il messaggio del Global Times all’audience interna è: il liberalismo è sinonimo di guerre per esportare la democrazia e divisioni sociali, mentre il governo ad infinitum del partito comunista rappresenta l’unico argine al caos di un mondo esterno sempre più ostile.
Le uniche voci occidentali che vengono ospitate sul giornale guidato da Fan Zhengwei (classe 1980, ex Quotidiano del popolo, fedelissimo di Xi) sono quelle “contro”, come Ulf Sandmark, sicuro che «le contraddizioni all’interno della Nato aumentano e il conflitto tra Russia e Ucraina non sta andando secondo il suo programma». A corredo dell’intervista al pacifista svedese un’immagine del catoonist pietroburghese Vitaly Podvitsky: un soldato della Nato col volto di Frankestein a cui viene trasfuso sangue da una sacca con la bandiera dell’Ue, accanto due poltrone riservate a donatori di Svezia e Finlandia, accorse a bussare alle porte dell’Alleanza dopo l’invasione russa dell’Ucraina.
Anche se Washington le ha coinvolte nello Indo Pacific Economic Framework, secondo Wang è improbabile che Tokyo, Seoul, Canberra e Wellington mettano in pericolo i loro commerci con la Cina per assecondare le strategie della Nato.
In realtà se è vero che la maggior parte dei paesi della regione intende mantenere buone relazioni sia con gli Stati uniti sia con la Cina, è altrettanto evidente l’apprensione suscitata dall’assertività militare di Pechino, soprattutto in due alleati chiave di Washington: il Giappone, che parla di “minaccia cinese” e l’Australia, che tuttavia hanno agende diverse da quelle dei loro vicini. La principale preoccupazione di sicurezza della Corea del sud ad esempio è il nucleare nordcoreano: su questo tema il presidente Yoon Suk-yeol parteciperà mercoledì pomeriggio a un incontro a tre con il suo omologo Usa Joe Biden e con il premier nipponico Fumio Kishida.
Le forze nel Pacifico
La Cina, alle prese con una prima modernizzazione delle forze armate che dovrebbe essere completata nel 2027, teme l’interessamento della Nato all’area sede dal 1947 del primo e maggiore comando militare unificato statunitense, lo U.S. Indo-Pacific Command, già sede di alleanze bilaterali Usa, della nuova partnership con Australia e Regno unito (Aukus) e del redivivo Quad con Giappone, India e Australia.
Nel documento sottoscritto assieme a Vladimir Putin il 4 febbraio scorso Xi Jinping si è espresso contro «l’ulteriore allargamento della Nato», che ha invitato «ad abbandonare il suo approccio ideologico da Guerra fredda e a rispettare la sovranità, la sicurezza e gli interessi degli altri stati». E giovedì scorso, aprendo il XIV vertice dei Brics, ha denunciato che «alcuni paesi tentano di espandere le alleanze militari, costringendo altri paesi a schierarsi, e di perseguire il dominio a spese dei diritti e degli interessi degli altri».
Il tono dell’ultimo editoriale non firmato, pubblicato ieri, è come al solito sopra le righe. Titolo: “La fortuna non assiste mai chi provoca la Cina”. Le politiche anti-Cina non potranno rappresentare una “opportunità” per nessun paese secondo il Global Times, che chiosa citando Sancio Panza, che avvertì che «chi va per lana torna invece tosato».
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