«La nostra aspettativa è che la Nato continui a lavorare nella stessa direzione». Sintetizzando, basterebbe questa frase, pronunciata dal portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov, per commentare il cambio al vertice dell’Alleanza atlantica tra Jens Stoltenberg e Mark Rutte. Frase commentata ironicamente dal nuovo segretario generale nella sua prima conferenza: «Non avrei saputo dirlo in maniera migliore».

Nessuna sorpresa, serve continuità dopo il lungo mandato del norvegese alla guida della Nato dal lontano 2014, in un periodo storico in cui l’Alleanza si è risvegliata dalla ‘morte cerebrale’ a cui sembrava destinata.

La continuità di Rutte

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Le sfide per la Nato sono cristallizzate. È stato lo stesso Rutte a elencare quelle che saranno le sue priorità di mandato: deterrenza e difesa, Ucraina, rafforzamento di partnership globali. L’ex premier olandese è consapevole dell’esigenza di seguire le orme del suo predecessore. Come sembra cosciente di non avere poteri illimitati: una figura nominata dai membri dell’Alleanza difficilmente può rendersi protagonista di sterzate.

Tuttavia, da Stoltenberg raccoglie un testimone complicato: una Nato più grande, con 32 membri grazie all’ingresso di Finlandia e Svezia, quindi più complessa da gestire e con problemi irrisolti che si trascinano da anni, come quello delle spese per la difesa. Rutte, nominato anche per questo, dovrà dimostrare fin da subito le sue abilità da negoziatore con tutti gli alleati, che si trovano sempre più spesso frammentati da interessi strategici diversi. A partire dall’azionista di maggioranza della Nato, ovvero l’inquilino della Casa Bianca.

La Nato “europea” e gli Stati Uniti

Manca poco, infatti, alle elezioni negli Stati Uniti: Rutte dovrà dialogare con chi entrerà nello Studio ovale dopo Joe Biden. Che sia Donald TrumpKamala Harris. Il ritorno del repubblicano è temuto da molte capitali europee, perché sarebbe un preludio a un cambiamento nell’approccio statunitense all’Alleanza e di conseguenza alla sicurezza del Vecchio continente. Rutte, dopo un vertice occidentale di sei anni fa, si è guadagnato l’appellativo di colui “che sussurrava a Trump”, facendo breccia con l’allora presidente Usa.

È azzardato dire che l’olandese sia stato eletto in funzione di una vittoria del tycoon, sempre più critico verso la Nato. Ma, intanto, il primo messaggio lanciato da Rutte come leader Nato è stato indirizzato proprio a Trump. Un assist non scontato, in cui ha riconosciuto i meriti dell’ex presidente americano per aver impresso una svolta all’Alleanza. «Grazie a lui abbiamo aumentato la spesa per la difesa, ma anche quello che ha detto sulla Cina è ora preso in considerazione da molti di noi», ha sottolineato.

Ad ogni modo, Trump o Harris che sia, l’olandese volerà spesso a Washington, ancor più di Stoltenberg. L’obiettivo degli Usa di far spendere di più ai membri europei della Nato per la sicurezza sarà perseguito dalla Casa Bianca a prescindere da chi sarà il presidente. Non a caso era in carica il democratico Barack Obama quando nel 2014 in un vertice in Galles fu sancita dagli alleati la promessa di aumentare la soglia delle spese militari.

La Nato di Rutte, quindi, con gli Stati Uniti che in maniera costante continuano a spingere per delegare la responsabilità della sicurezza alle cancellerie del Vecchio Continente, dovrà accelerare “un’europeizzazione” a lungo rimandata. Il che non vuol dire, per Rutte, premere per un’autonomia strategica europea. Non devono esserci duplicazioni di strutture o comandi, ma implementazione di capacità militari e industriali dell’Europa. Oggi Nato e Unione europea non possono fare a meno dell’ombrello degli Stati Uniti ma il nuovo segretario generale deve provare ad aumentare il peso dell’Europa nell’Alleanza. E conoscendo bene i meccanismi che regolano l’Ue, visto il ruolo di primo ministro dei Paesi Bassi dal 2010 al 2024, Rutte può essere più decisivo con i governi europei.

Le spese della difesa

La fatidica soglia del 2 per cento del Pil da destinare alle spese della difesa è uno dei dossier su cui Rutte dovrà utilizzare tutte le sue capacità da negoziatore. Nel decennio di Stoltenberg gli alleati che l’hanno raggiunta sono passati da tre a 23, secondo le stime dello scorso giugno. A scavallare, solo negli ultimi tempi, il 2 per cento sono stati anche i Paesi Bassi che fino a qualche mese fa erano guidati proprio da Rutte. Un ritardo rinfacciato in conferenza al nuovo segretario generale che ha ammesso l’errore del suo paese.

Se da una parte il suo passato può essere motivo di scarsa credibilità agli occhi delle nazioni più restie a raggiungere la soglia, dall’altra Rutte può sfruttare la sua esperienza diretta per convincerli. Tra questi, c’è l’Italia, ferma a circa l’1,5 per cento. «È un problema che devono affrontare molti governi», ha detto Rutte il suo primo giorno di lavoro alla Nato rispondendo a una domanda di un giornalista italiano sul bilancio, ma «bisogna assicurarsi che le priorità possano essere finanziate».

Il sostegno e l’adesione dell’Ucraina

Una maggiore capacità bellica dei paesi Nato è richiesta anche per sostenere lo sforzo di Kiev nel conflitto contro la Russia. Il supporto occidentale all’Ucraina rimane centrale per Rutte, che giovedì è volato a incontrare Volodymyr Zelensky. «Il posto dell’Ucraina è nell’Alleanza», ha detto l’olandese, confermando il ritornello degli ultimi tempi: il percorso di Kiev verso la Nato è irreversibile. Ma prima bisogna concentrarsi sulla guerra: l’adesione per adesso rimane in stallo, parlane «è difficile in questa fase», ha ammesso Rutte. Non si registreranno accelerazioni sull’ingresso, mentre il sostegno militare all’Ucraina continuerà, con Rutte, a essere netto, anche per dare un segnale ai paesi baltici e alle altre nazioni del fianco est non convinte fino in fondo della sua nomina.

Indo-Pacifico e Mediterraneo

Ma non ci sarà solo l’Ucraina e la Russia di Putin. Parlando di partnership globali, Rutte allargava l’orizzonte. Il nuovo segretario generale si concentrerà per esempio sull’Indo-Pacifico, regione su cui negli ultimi anni Stati Uniti, Regno Unito e Francia hanno puntato gli occhi in chiave anti-Cina. La designazione di Rutte è stata sponsorizzata proprio da questi paesi, quindi nel prossimo futuro ci si aspetta una convergenza sempre più forte della Nato con alcuni partner dell’area. Per gli uffici in Asia bisognerà aspettare, ma intanto nella prossima ministeriale dell’Alleanza del 17-18 a Bruxelles per la prima volta parteciperanno anche i rappresentanti del gruppo Ip4, ovvero Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda, per «forgiare un approccio condiviso alle sfide comuni». Cioè contrastare l’asse tra Russia, Cina e Corea del Nord.

Il contrasto alle ambizioni di Mosca e Pechino non passa, però, solo da Asia o Europa dell’est. Il Mediterraneo allargato è stato snobbato dalla Nato mentre la presenza economica e militare russa e cinese aumentava. Oltre a lodare la scelta di Stoltenberg di nominare lo spagnolo Javier Colomina come rappresentante per il vicinato meridionale (decisione che aveva fatto infuriare il ministro Guido Crosetto), Rutte non ci si è soffermato molto. Ma se vuole arginare le aspirazioni di Cina e Russia dovrà fare i conti con il fianco sud, quindi tenere in considerazione gli interessi dei paesi che vi si affacciano e su questo, in parte, discostarsi dal suo predecessore. L’Italia ci spera.

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