Il nuovo segretario della Nato, l’ex primo ministro olandese Mark Rutte, è arrivato giovedì 3 ottobre a Kiev per una visita a sorpresa, la prima da quando lunedì ha assunto ufficialmente il nuovo incarico. Durante la conferenza stampa seguita all’incontro con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, Rutte ha ribadito che il cammino del paese verso l’alleanza è «irreversibile».

La visita rappresenta un nuovo attestato di solidarietà da parte dell’alleanza nei confronti dell’Ucraina e un segnale che le difficoltà del paese non sono state dimenticate in Europa, anche mentre l’attenzione generale torna a focalizzarsi sul Medio Oriente.

«Sappiamo che farsi invitare nell’alleanza non è facile», ha detto Zelensky, «ma è il nostro obiettivo e faremo di tutto per raggiungerlo». Affinché un paese divenga membro della Nato serve l’unanimità di tutti i membri dell’alleanza, un risultato complicato da ottenere per una nazione in una situazione complessa come l’Ucraina. Privatamente, numerosi diplomatici sono scettici sulle possibilità dell’Ucraina di entrare nell’alleanza nel breve termine.

La richiesta

Le sirene sono tornate a suonare sulla capitale ucraina e su numerose regioni nella notte che ha preceduto l’arrivo del segretario Nato. Dozzine di droni russi hanno colpito anche Kiev, mentre quelli ucraini facevano lo stesso con la base aerea russa di Voronezh.

Di fronte a questi nuovi attacchi, Zelensky ha chiesto ancora una volta che i paesi membri dell’alleanza intervengano per abbattere missili e droni russi nello spazio aereo ucraino, come già avviene con i «missili iraniani» diretti contro Israele. Una frecciata mirata al fatto che Stati Uniti e altri paesi alleati sono intervenuti direttamente per proteggere Israele dagli attacchi aerei iraniani, mentre una simile azione viene giudicata troppo rischiosa nel caso ucraino.

L’assenza di una risposta chiara a questa richiesta da parte di Rutte conferma la crescente distanza tra Kiev e i suoi alleati, nascosta sotto le formalità diplomatiche. Nella sua lunga visita a Washington, conclusasi la settimana scorsa, Zelensky aveva presentato alla Casa Bianca il suo “piano per la vittoria”, una richiesta di escalation nella quantità di aiuti militari e di un calendario misurabile in mesi per l’ingresso di Kiev nell’alleanza.

Giovedì 3 ottobre, un portavoce del dipartimento di Stato ha detto che il piano contiene «passi produttivi» e ha aggiunto che Washington sta ancora studiando il documento (conosciuto nei suoi punti principali, ma non svelato nei dettagli). Parole che non segnalano certo una condivisione entusiasta, soprattutto dopo che diverse fonti anonime dell’amministrazione Biden avevano confessato il loro scetticismo nei confronti di un piano ritenuto irrealistico.

Una nuova ritirata

Nel frattempo il ministero della Difesa russo ha annunciato la completa occupazione di Vuhledar, la strategica città del Donetsk da cui gli ucraini si sono ritirati nella giornata di lunedì dopo averla difesa per oltre due anni. L’occupazione di Vuhledar segna un nuovo tassello nella completa occupazione della regione da parte delle forze armate russe, a cui però continuano a mancare una serie di centri abitati di medie dimensioni, come Kramatorsk e Sloviansk, che saranno difficili da conquistare.

Zelensky intanto deve fare i conti con un rovescio che segna la più grave sconfitta morale ucraina da diversi mesi a questa parte. «Le vite umane sono più importanti degli edifici», ha detto per spiegare la decisione di ritirare la 72esima brigata, l’unità ormai esangue che difendeva la città e rischiava di essere circondata.

Un’affermazione che non ha mancato di suscitare ironie tra i commentatori ucraini, che nell’ultimo anno hanno visto difendere diverse città anche quando gli stessi alleati dell’Ucraina suggerivano di abbandonarle. «Vuol dire che gli edifici di Bakhmut erano fatti d’oro?», ha scritto un utente riferendosi a uno degli scontri più lunghi e controversi del conflitto.

© Riproduzione riservata