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Fino all’inizio del 2020, Cina, tecnologia e cambiamenti climatici rappresentavano i principali temi di riflessione dell’Alleanza. Il Covid prima e la guerra in Ucraina poi hanno aumentato l’instabilità e riproposto problemi che sembravano superati dalla storia.
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Il Concetto strategico che sarà adottato al summit di Madrid di fine giugno traccia la visione per il prossimo decennio. Ma per capire dove sta andando l’Alleanza atlantica è necessario capire da dove arriva.
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Il 29 e 30 giugno al summit di Madrid, l’Alleanza atlantica adotterà una nuova visione per il prossimo decennio, il cosiddetto Concetto strategico. Si tratta di un documento pubblico approvato con cadenza periodica dai capi di stato dei paesi membri, volto ad analizzare le sfide dell’attuale sistema geopolitico internazionale alla sicurezza dell’area euro-atlantica e a proporre una guida, ai paesi alleati, nelle decisioni politiche e militari del futuro a medio-lungo termine. L’ultimo Concetto strategico risale al 2010: un documento che cristallizza la strategia politico-militare della Nato nell’ordine internazionale del dopo Guerra fredda e definisce i valori e i princìpi guida dell’Alleanza. Quest’ultimo Concetto strategico, tuttavia, riflette uno scenario geopolitico internazionale che non esiste più per via degli enormi cambiamenti osservati nell’ultimo decennio: di qui, l’importanza del nuovo documento che verrà presentato a Madrid.
Le tre funzioni della Nato
Per capire dove sta andando l’Alleanza atlantica è necessario capire da dove arriva. La Nato è uno dei pilastri fondanti dell’ordine internazionale liberale emerso nel secondo dopoguerra. Durante la Guerra fredda il suo ruolo e la sua esistenza hanno permesso la difesa e protezione dei sistemi, valori e princìpi democratici tra i paesi membri (e non) e, garantendo a sua volta le libertà individuali e il progresso socio-economico, la vittoria sul blocco sovietico.
La Nato è stata creata come alleanza difensiva e in quanto tale, in questa sua prima fase, il suo compito principale è consistito nel garantire la sicurezza e la difesa dei paesi membri. Questa discussione ci porta alla prima e più significativa funzione (core task) dell’Alleanza: la difesa collettiva. Funzione che riprende l’articolo 5 del Trattato di Washington, in base al quale la Nato si impegna a difendere e intervenire contro qualsiasi minaccia possa minare la sicurezza di un paese alleato o dell’Alleanza stessa.
Dalla fine della Guerra fredda, venuta meno la minaccia sovietica, la Nato si è adattata alle sfide del nuovo sistema internazionale. Non c’era più il rischio di una guerra nucleare in Europa, ma l’ex-fronte est era politicamente e socialmente instabile, mentre sono emersi altri rischi e minacce, dal terrorismo alle guerre civili fino alla catastrofi umanitarie. I paesi alleati hanno risposto a queste sfide attraverso un allargamento politico, geografico e funzionale dell’Alleanza stessa.
Da un punto di vista politico e geografico, è aumentato il numero di paesi alleati e di paesi partner, e sono aumentate anche le aree in cui la Nato è intervenuta. Dal punto di vista funzionale, l’Alleanza ha allargato le sue mansioni, e ciò è avvenuto con i Concetti strategici del 1991 e del 1999: ciascuno ha aggiunto un “core task”, ovvero quelle attività cardine che guidano l’azione dell’Allenza nel garantire la sicurezza collettiva.
Dunque alla difesa collettiva (collective defense), la Nato ha prima affiancato la gestione delle crisi e dei conflitti (crisis management) e poi la sicurezza cooperativa (cooperative security).
Se il concetto di difesa collettiva è abbastanza intuitivo, vale la pena illustrare un po’ più a fondo gli altri due.
Gestione delle crisi e cooperazione
La gestione dei conflitti consiste nell’uso di tutti gli strumenti politici e militari utili ad affrontare crisi che, in ogni loro stadio, possano impattare l’area euro-atlantica. Questo ruolo consiste nell’intervenire preventivamente per evitare l’escalation di tensioni, o durante un conflitto in corso che possa avere conseguenze dirette per la sicurezza dell’Alleanza, e nell’aiutare a consolidare un sistema stabile e democratico post-bellico, che giovi all’intera area euro-atlantica.
Ampliando le proprie mansioni alla gestione delle crisi, la Nato ha così dato un contributo importante alla stabilità dell’Europa centro-orientale dopo il crollo dell’Unione sovietica. Nel dibattito odierno sull’espansione della Nato, va infatti ricordato che quell’espansione fu anche il risultato del lavoro di stabilizzazione dell’Europa centrale e orientale. Progressivamente, la Nato ha però svolto crisis management anche altrove, e in maniera non solo politica, ma anche militare: è il caso dei Balcani, dell’Afghanistan, della Libia e dell’Iraq. Ed è evidente come i risultati non siano stati sempre quelli sperati.
La terza funzione, cooperative security, riguarda invece la volontà e la necessità di creare e ampliare i rapporti e le relazioni politico-militari con paesi terzi, non membri Nato, per cooperare attraverso una rete di partnership che aiutino a garantire la sicurezza internazionale e prevenire le instabilità o i conflitti nelle aree periferiche dell’Alleanza. L’Organizzazione conta ora quaranta paesi partner, dalla Bosnia-Herzegovina al Giappone, dalla Colombia al Pakistan, fino a molteplici paesi in nord Africa e medio oriente.
Tre sfide decennali
Dal 2010 a oggi, le sfide che hanno intaccato la sicurezza euro-atlantica sono state numerose, dal terrorismo agli attacchi cibernetici, dall’uso di armi chimiche alle migrazioni di massa. Tuttavia, la Nato – e più in generale tutto l’occidente – sta attraversando un momento di svolta per via di tre cambiamenti che stanno intaccando la struttura stessa e le dinamiche centrali del sistema internazionale: la crescita cinese, lo sviluppo tecnologico, i cambiamenti climatici.
Grazie a una trasformazione socio-economica senza precedenti nella storia dell’umanità, la Cina rappresenta oggi la seconda economia del mondo. Questa crescita eccezionale nasconde due implicazioni strategiche di notevole importanza per la Nato, relative agli sviluppi militari e tecnologici. La Cina conta oramai forze armate moderne. Se guardiamo al numero di navi da guerra, la sua flotta è la più grande al mondo, e nel prossimo decennio, Pechino mira a raggiungere Russia e Stati Uniti come arsenale nucleare. La Cina ha poi sfruttato la sua crescita tecnologica per sviluppare capacità in domini di primaria importanza, quali lo spazio, il cyber e le nuove tecnologie (dal 5G al cloud) che avranno un ruolo rilevante nei conflitti di domani.
Questi sviluppi vanno ad intaccare direttamente la sicurezza dei paesi Nato. Pensiamo alla sicurezza collettiva. Questa si basa in maniera preponderante sulle capacità di deterrenza nucleare americana, ma se queste devono preoccuparsi in maniera crescente dell’ampliamento dell’arsenale nucleare cinese, è ovvio che in un futuro non troppo remoto l’ombrello nucleare potrebbe non essere sufficiente.
Allo stesso modo, la crescita cinese, che all’estero si manifesta tra gli altri tramite la Belt and road initiative, potrebbe causare instabilità in Africa, medio oriente o Balcani. Instabilità che avrebbe luogo proprio a ridosso dei confini della Nato e di cui i paesi dell’Alleanza dovrebbero preoccuparsi. Infine, la capacità di attuare politiche di sicurezza cooperativa in uno scenario geopolitico altamente competitivo è ovviamente più ridotta. Le stesse partnership esistenti potrebbero essere messe in discussione.
Sviluppo tecnologico
Negli ultimi dieci, quindici anni, il mondo ha osservato un’accelerazione tecnologica senza precedenti, sotto diversi punti di vista. L’ascesa dei colossi del big tech, le opportunità offerte dall’intelligenza artificiale e l’innovazione resa possibile dal 5G, oltre ad avere un impatto diretto sulle nostre vite, stanno anche cambiando le gerarchie industriali e accelerando la competizione strategica con nuove rivalità e nuove sfide, che vanno oltre la semplice disinformazione o gli attacchi cibernetici.
In primo luogo, per la prima volta nel corso degli ultimi cinquecento anni, l’occidente non può dare per scontato il suo primato tecnologico. In secondo luogo, a differenza della Guerra fredda, la globalizzazione favorisce anche i competitori come la Cina e dunque non può essere sfruttata in maniera strategica per rafforzare la propria crescita tecnologica. A questo si sommano considerazioni più attuali sulle funzioni della Nato.
Adempiere ai suoi obblighi di sicurezza collettiva è più difficile quando il cambiamento tecnologico apre nuove vulnerabilità, come nel caso degli attacchi cyber o dei missili ipersonici. Non si tratta solo di investire più risorse, ma anche di favorire l’innovazione, che è difficile di per sé, e ancora di più in ambito militare.
Il cambiamento tecnologico, per ragioni analoghe, rende più difficili anche le funzioni di crisis management e cooperative security. Nel primo caso, la disinformazione può fomentare crisi etniche o religiose ma può anche diffondere capacità militari che rendono più ardua la gestione delle crisi. I talebani in Afghanistan hanno mostrato come l’accesso a esplosivi e semplici dispositivi elettronici possa rendere impervio combattere guerre moderne. Si pensi alla difficoltà di intervenire in una crisi con avversari armati di strumenti più avanzati, quali capacità che rendono segregato uno spazio aereo.
Per quanto riguarda la sicurezza cooperativa, una sua componente centrale concerne il sostegno dei partner della Nato allo sviluppo di capacità militari. Ma con un rapido cambiamento tecnologico si pone un dilemma di difficile soluzione, tra aiutare i partner ed evitare che alcune tecnologie vengano diffuse facilmente in giro per il mondo.
Cambiamenti climatici
Nel campo degli studi strategici c’è una netta divisione tra chi guarda a temi tradizionali, come le guerre, e chi si concentra su temi emergenti, come il cambiamento climatico. In realtà, il cambiamento climatico rappresenta una sfida epocale e trasformativa anche per un’organizzazione come la Nato, votata a temi di sicurezza tradizionale. L’aumento delle temperature, lo scioglimento dei ghiacciai, l’innalzamento del livello del mare e il cambiamento nella salinità degli oceani, sono solo alcuni degli effetti del surriscaldamento globale che vanno a impattare direttamente e indirettamente sulla sicurezza euro-atlantica.
Per esempio, la deterrenza nucleare si basa, tra l’altro, su una componente sottomarina. I sottomarini vengono identificati tramite le emissioni acustiche dei sonar. Ma il cambiamento climatico, alterando temperature, correnti e salinità degli oceani, interferisce con la propagazione acustica subacquea e quindi sulla performance dei sonar, a sua volta impattando la deterrenza nucleare. Allo stesso modo, la siccità o le inondazioni in alcune aree del mondo possono causare grandi migrazioni di massa, aumentando la possibilità di conflitti.
Infine, alcuni dei paesi partner della Nato sono particolarmente esposti al cambiamento climatico che, in diversi casi, rappresenta la principale minaccia (diretta o indiretta) alla loro sicurezza. Per sostenere dunque questi partner, la Nato dovrebbero sviluppare capacità specifiche, anche per la gestione delle emergenze umanitarie, e fornire supporto, per esempio in termini di infrastrutture, civili e militari.
Come si vede, la Nato si trova dunque potenzialmente chiamata a gestire una molteplicità di sfide e minacce in zone, contesti e domini differenti. Le risorse, come insegna l’economia di base, sono però sempre scarse.
Covid e guerra in Ucraina
Fino a inizio 2020, Cina, tecnologia e cambiamento climatico rappresentavano i tre principali temi su cui al quartier generale della Nato si ragionava per affrontare le sfide del prossimo decennio. Negli ultimi due anni, però, due nuovi shock hanno aggiunto ulteriore instabilità e incertezza: la pandemia da Covid-19 e la guerra in Ucraina.
La pandemia ha causato milioni di morti e contagiati, ha scosso e fermato le nostre società, rappresentando uno degli eventi più dirompenti dell’epoca moderna. Le sue conseguenze immediate hanno mostrato le vulnerabilità e le debolezze strutturali delle nostre società ed economie iperconnesse, eppure incapaci di affrontare e gestire shock di tipo sanitario.
Gli effetti a lungo termine di questa pandemia toccheranno tre tematiche principali da affrontare. In primo luogo, emerge una nuova necessità sociale, economica e sanitaria: occorre infatti una maggiore enfasi sui piani e sulle misure di resilienza. In secondo luogo, i lockdown forzati in tutto il mondo hanno accelerato ancora di più il processo di digitalizzazione delle nostre vite, personali e professionali, alzando di conseguenza i rischi di attacchi cyber. Infine, le misure economiche e finanziarie adottate dai governi nazionali e dai principali enti internazionali hanno creato importanti debiti pubblici nazionali, che dovranno essere ripagati, prima o poi. E i debiti si ripagano alzando le tasse, e dunque comprimendo la crescita economica, o tagliando le spese. In entrambi i casi, la spesa militare potrebbe essere a rischio.
L’invasione russa dell’Ucraina dello scorso febbraio chiede però maggiori investimenti nella difesa. Ma la guerra ha prodotto anche effetti più complessi. La crescita dei prezzi dell’energia richiede una transizione energetica più rapida. La crisi alimentare dovuta al blocco di export di grano e fertilizzanti ucraini destabilizza Africa e medio oriente.
Grazie al probabile ingresso di Finlandia e Svezia la Nato può rafforzarsi ulteriormente, ma gestire tutte queste crisi congiunte rappresenta una vera sfida per gli anni a venire. L’aggressività russa chiede maggiori sforzi verso la difesa collettiva, mentre la crisi alimentare impone più attenzione verso la gestione delle crisi fuori dai confini dell’Alleanza. Obiettivi, strategie e piani vanno identificati, sviluppati ed eseguiti in un contesto geopolitico complesso, per via della crescita cinese, dell’accelerazione tecnologica, del cambiamento climatico, e di un contesto macroeconomico sfavorevole. L’inflazione e l’aumento dei tassi di interesse necessitano di scelte nette.
Verso il 2030
Molti degli assunti su cui l’Alleanza ha operato non solo nel corso dell’ultimo decennio, ma fin dalla sua creazione, sono stati messi in discussione negli ultimi anni. Pensiamo alla Russia, che fino al 2010 era vista come partner strategico. O pensiamo al primato tecnologico, che veniva dato per assodato fino a pochi anni fa.
La domanda per la sicurezza aumenta esponenzialmente ma i paesi Nato hanno risorse finite e, soprattutto, queste sfide, avendo effetti differenti per direzione e intensità su ogni paese, rendono più difficile trovare una sintesi coerente ed efficace tra gli alleati.
Mentre durante la Guerra fredda l’Organizzazione si focalizzava solo sulla difesa collettiva, nei tre decenni passati, l’attenzione dell’Alleanza si è spostata altrove. La guerra in Ucraina ha ricordato ai più scettici come il rischio di conflitto in Europa sia reale. Allo stesso tempo però, molte delle sfide e delle minacce degli ultimi decenni non sono scomparse. Anzi, proprio la guerra e la pandemia le stanno esacerbando.
Il documento che verrà presentato al vertice di Madrid identificherà alcuni punti cardine, che poi andranno eseguiti. Se tracciare la rotta è fondamentale, sarà ancora più importante tenerla. La Nato, come organizzazione atlantica, dovrà quindi riuscire a navigare in un mondo sempre più attratto dal centro di gravità nell’oceano Pacifico. Allo stesso tempo, sarà necessario garantire la sicurezza di alleati e partner, nonostante gli enormi cambiamenti in corso e futuri, che mineranno sia il consenso interno che il panorama esterno.
* Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono le posizioni della Nato o del Nato Defense College. L’articolo riassume parte della ricerca che i tre autori hanno di recente pubblicato per il Nato Defense College intitolata “Strategic Shifts and NATO’s New Strategic Concept”.
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