Ricardo Galvão è stato sollevato dal suo incarico per aver detto la verità. E la verità è scomoda. Soprattutto quando interferisce con gli interessi economici e politici di un capo di stato e del suo governo. In questo caso, la verità può essere più che scomoda: può essere pericolosa, e va nascosta a ogni costo.

Galvão è un fisico brasiliano ed è stato direttore dell’Istituto per la ricerca spaziale (Inpe) del Brasile fino al 2019, anno in cui il presidente Bolsonaro ha fatto in modo che venisse allontanato dal suo ruolo. Quest’anno Galvão è stato premiato con il Scientific freedom and responsibility award dall’American association for the advancement of science, che ne ha riconosciuto l’azione di resistenza in difesa della scienza. Lo scienziato era stato già nominato da Nature come una tra le dieci persone che hanno fatto la differenza nel mondo della scienza nel 2019. E la differenza più grande è stata non soccombere alla menzogna, alla manipolazione e all’abuso di potere.

Dal 1988 l’Inpe si occupa del monitoraggio della deforestazione e degli incendi in Brasile e fornisce dati sulle aree deforestate o degradate del paese. Anche grazie al lavoro di Inpe, le aree deforestate sono state ridotte da oltre 27mila chilometri quadrati nel 2004 a poco più di 4.000 chilometri quadrati nel 2012. Ma quando Bolsonaro è stato eletto, l’Inpe è diventato un ostacolo. Durante la campagna elettorale del 2018 era già chiaro a molti che Bolsonaro avrebbe stravolto completamente la politica ambientale del paese. La tutela sarebbe scomparsa e al suo posto il disboscamento e l’estrazione sarebbero state incoraggiate. Le politiche di protezione ambientale del governo Bolsonaro sono, di fatto, inesistenti, e il presidente ha spesso diffuso il mito negazionista per cui frenare la deforestazione in Amazzonia avrebbe «danneggiato lo sviluppo economico» del paese.

In questo contesto, la pubblicazione da parte di Inpe dei risultati scientifici avrebbe esposto l’azione anti-ambientale di Bolsonaro: i dati indicavano chiaramente che il tasso di deforestazione in Amazzonia era «in significativo aumento». Il 2 giugno 2019, uno dei funzionari più importanti dell’amministrazione di Bolsonaro attaccò i dati dell’Inpe in un’intervista alla Bbc. Il funzionario disse che i dati venivano manipolati e danneggiavano l’immagine del Brasile all’estero. Galvão ha raccontato questi fatti durante il Global congress on scientific thinking & action dell’Aspen Institute tenutosi a marzo 2021, e ha detto di aver reagito all’accusa del funzionario inviando un documento ufficiale e riservato al ministro della Scienza, tecnologia e innovazione spiegando in dettaglio il processo utilizzato da Inpe per ottenere i dati, e chiedendo supporto per aprire un dialogo diretto con il ministero dell’Ambiente brasiliano. Galvão non ottenne alcuna risposta. Il 19 luglio 2019, poi, in una conferenza stampa internazionale, Bolsonaro ha dichiarato in maniera esplicita che i dati di Inpe erano «una bugia» e che Galvão stava «forse lavorando per una ong internazionale contro gli interessi del Brasile». Per Galvão è stato «un pugno allo stomaco» della sua «anima scientifica». Era «un vile attacco ai colleghi che onestamente e duramente avevano lavorato per fornire i dati più affidabili sulla deforestazione dell’Amazzonia».

Il licenziamento

Quando a Galvão fu palese che non vi era più spazio di manovra per diffondere i risultati scientifici senza che questi fossero compromessi, decise di reagire difendendo apertamente l’accuratezza e l’integrità dei dati forniti dall’Inpe. Galvão parlò in difesa degli scienziati dell’Inpe e accusò il presidente Bolsonaro di codardia, riferisce Nature. Due settimane dopo venne licenziato.

Quando ho intervistato Galvão, mi ha confessato di essere quasi svenuto per l’accusa di Bolsonaro e ha aggiunto: «È stato davvero terribile per me (…)era davvero un’accusa molto grave, dire che uno scienziato sta mentendo sui suoi dati può significare la fine della sua carriera. (…) Mi ci è voluto un po’ di tempo per riprendermi».

Fin dall’inizio del governo Bolsonaro, era stato chiaro a Galvão che il nuovo presidente avrebbe attaccato l’Inpe proprio perché fornisce i dati sulla deforestazione e il degrado dell’Amazzonia in maniera indipendente. L’Inpe, infatti, non solo produce i dati ma li pubblica apertamente. Anche per questo Galvão ha reagito con forza all’accusa di Bolsonaro. «Ho pensato che se avessi avuto una forte reazione, questo avrebbe reso difficile al governo continuare ad attaccare i dati di Inpe», ha spiegato Galvão durante l’intervista. Oggi i risultati scientifici di Inpe vengono ancora pubblicati ma il governo «li ignora completamente», ha aggiunto.

Da quando è stato costretto a lasciare Inpe, Galvão è tornato alla sua precedente posizione lavorativa come professore all’università di San Paolo. Nature riferisce che Paulo Artaxo, un fisico atmosferico e collega di Galvão, vede paralleli preoccupanti tra il governo di Bolsonaro e la dittatura che ha governato il Brasile tra il 1964 e il 1985, compresa la tendenza ad attaccare qualsiasi prova che non supporta i propri obiettivi politici. Il negazionismo di Bolsonaro, infatti, è un problema non solo in ambito ambientale e climatico, ma su tutto lo spettro scientifico e ha impatti diretti e gravissimi sulla salute pubblica, sui diritti e sulle vite delle persone.

A oggi, la deforestazione in Amazzonia sta aumentando. In particolare, è stato osservato un aumento sostanziale rispetto allo stesso periodo l’anno scorso. «E questo è sorprendente perché siamo nella stagione delle piogge in Amazzonia in questo momento e, di solito, la deforestazione diminuisce durante questa stagione – cosa che non abbiamo osservato quest’anno», ha spiegato Galvão durante l’intervista. Secondo alcuni dati Inpe, circa 9.762 chilometri quadrati di terra sono stati disboscati tra agosto 2018 e luglio 2019. Questo è un aumento del 30 per cento rispetto all’anno precedente, e più del doppio rispetto al 2012. L’anno scorso, invece, la deforestazione nell’Amazzonia brasiliana ha toccato il record degli ultimi 12 anni. Gli scienziati e gli ambientalisti accusano Bolsonaro di mandare il messaggio che disboscare nella foresta Amazzonica è un atto che può rimanere impunito, un atto necessario all’economia e, per questo, legittimo.

Il rischio greenwashing

Il mese scorso, Bolsonaro ha partecipato insieme ad altri leader politici al Summit sul clima convocato da Biden per la Giornata della Terra e ha annunciato nuovi obiettivi ambientali per il Brasile. Il paese si impegna per raggiungere la neutralità di emissioni entro il 2050, ha dichiarato Bolsonaro. Inoltre, ha promesso di aumentare i finanziamenti all’ambiente e di porre fine alla deforestazione illegale entro il 2030. Il giorno dopo, però, il governo Bolsonaro ha approvato un taglio significativo al bilancio del ministero dell’Ambiente: da 3 miliardi di reais a 2,1 miliardi (da circa 459 milioni di euro a circa 321), riferisce la Bbc. Secondo alcuni esperti, Bolsonaro sta tentando di negoziare con gli Stati Uniti di Biden per ricevere aiuti finanziari in cambio della “protezione” dell’Amazzonia e altre aree all’interno del paese. Ma un gruppo di 35 personaggi pubblici statunitensi e brasiliani ha espresso la propria opposizione a un accordo con il Brasile, evidenziando che rischierebbe di legittimare un governo che sta incoraggiando la distruzione ambientale.

Il presidente brasiliano ha cambiato approccio all’apparenza perché, come ha detto Galvão, «nello scenario internazionale è solo, e non può più contare su Trump». Per quanto finora efficaci (soprattutto a livello nazionale), le tattiche di negazionismo scientifico utilizzate da Bolsonaro e dal suo governo non sono più attuabili nell’ambito della politica internazionale – almeno non in maniera così evidente e sistematica. Il che, in parte, è un bene. Ma il rischio, adesso, è che la strategia di Bolsonaro passi da aperto negazionismo a greenwashing. Mentire con il medesimo risultato: una devastazione ambientale senza precedenti (e tutto ciò che ne consegue) e la perdita di innumerevoli vite.

 

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