Perché siamo tanto preoccupati della guerra in Ucraina e vorremmo fermarla subito? Perché la vediamo avvicinarsi a casa nostra, come un fuoco nella foresta, inarrestabile, incontrollabile. Coloro che dicono “la Russia potrebbe invaderci se non l’arrestiamo” e invocano la risposta armata hanno la medesima sensazione. La differenza sta nel non rendersi conto che “il mezzo è il messaggio”: cioè che è la guerra stessa ciò che avvicina la guerra, fino alla porta di casa.

La guerra è un ingranaggio che la fortifica, la moltiplica, la eternizza, la diffonde come un contagio. La guerra non arresta la guerra ma la rinfocola e la rende permanente. Non dovremmo dividerci con diffidenza e sospetto sulle ragioni: in questo siamo certi di pensarla più o meno tutti allo stesso modo (salvo pochissime eccezioni): l’aggressione russa è un dato inconfutabile, così come l’eroica resistenza ucraina. Anche il ragionamento storico sulle origini della crisi – che può pur essere difforme - non muta la questione essenziale e cioè che Putin ad un certo punto abbia optato per la guerra vera.

Subito dopo però ci dividiamo sul cosa fare: c’è chi pensa che occorra continuare a combattere e c’è chi ritiene che vada preferito un altro terreno, quello del negoziato. Tale differenza risiede sostanzialmente nell’analisi dello strumento “guerra”: per i primi si tratta della «politica con altri mezzi» (per usare la famosa definizione) e cioè di uno strumento come un altro, terribile e orribile certamente ma pur sempre uno strumento manipolabile a volontà.

Un ingranaggio perverso

Per chi vuole negoziare invece la guerra non è uno strumento ma è un ingranaggio perverso che si nutre di sé stesso e che si svincola dalle decisioni umane, sovrastandole e strumentalizzandole. Per i primi la guerra potrebbe portare a dei risultati, anche solo come resistenza all’aggressore. Per i secondi la guerra è all’opposto del tutto inutile: non porta ad alcun risultato se non quello di produrre le ragioni per la guerra successiva. Infine per i primi la guerra di chi sta nel giusto è una guerra legittima; per i secondi la guerra deturpa anche chi sta nel giusto, abbassandolo al livello dell’ingiusto aggressore e rendendoli alla fin fine simili.

Immanuel Kant scriveva: «Ogni guerra produce più malvagi di quanti ne intende eliminare». C’è anche una separazione sul tema della vittoria: per i primi desiderabile, auspicabile, risolutiva; per i secondi impossibile e comunque deprecabile perché promotrice di odio e di altre guerre (un po’ come è accaduto con la “fine della storia” e la vittoria occidentale nella guerra fredda….).

Un’ulteriore distanza tra le due posizioni sta nell’opposto giudizio sul negoziato. Per i primi il negoziato avviene solo dopo una vittoria o una decisiva svolta militare sul campo: si tratta di un modo per definire giuridicamente o sanzionare ciò che è già avvenuto sul terreno. Per questo si basa sui rapporti di forza: negoziare troppo presto assomiglierebbe ad una “resa” (anche se poi è impossibile stabilire quando).

Per i secondi invece il negoziato è una palestra di trasformazione che va messa in campo al più presto: può cambiare le parti, le loro decisioni e i loro programmi, addirittura la loro natura. In altre parole il negoziato non come una sanzione di fatti accaduti o dei rapporti di forza sul campo ma come creatore di una nuova realtà.

A tale possibilità i primi non credono e tendono ad essenzializzare l’avversario, descrivendolo immutabile nelle sue cattive decisioni. I secondi invece pensano che tutto possa cambiare e che nessuno (neanche il peggior regime) faccia a meno della realtà del convivere in un mondo complesso.

Tra queste due posizioni si può discutere anche animatamente ma è comunque possibile rispettarsi (senza definirsi ipocriti e infantili ad esempio) e trovare una composizione. La guerra in Ucraina (così come quella a Gaza) è troppo grave e dura da troppo tempo per essere trattata alla leggera quasi fosse una qualunque polemica politicistica.

Vediamo cosa accade: spinte e controspinte con immense perdite umane senza una vera soluzione che possa venire dal terreno perché ciascuna delle parti spinge il limite sempre un po’ oltre.

Anche chi credeva fermamente nella vittoria – da entrambi i lati – ora è più scettico o prudente e si adatta ad una guerra lunga. Siamo tutti molto preoccupati soprattutto a causa delle perdite ucraine: un paese dissanguato e depresso che, dopo l’esaltazione propagandistica dell’estate scorsa, non vede più quali siano le prospettive politiche di questo conflitto. L’unica cosa che davvero è diversa tra le due posizioni sta nella realtà: finora si è seguito bene o male la via dei primi e non si è fatto nulla per negoziare.

Forse è venuto il momento di provare, anche mentre si combatte. “Fight and talk” è infatti una delle modalità negoziali più note.

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