Abbandonata dagli alleati e dalla comunità internazionale, aggredita dal vicino Azerbaijan sostenuto dalla Turchia, la piccola Armenia è pronta a firmare una storica resa. Il primo ministro ha annunciato una «decisione dolorosa» e nella notte una folla ha circondato il palazzo del governo
Due giorni dopo l’invasione dell’Armenia iniziata dall’esercito dell’Azerbaigian i due paesi hanno raggiunto un cessate il fuoco. Giovedì i combattimenti, costati fino ad ora quasi 200 morti, si sono fermati e per il momento l’accordo sembra reggere. Il cessate il fuoco è stato raggiunto dopo che ieri sera il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha annunciato di essere pronto a prendere una «decisione dolorosa», ma necessaria, un messaggio che è stato interpretato da molti come un segnale che l’Armenia è pronta ad abbandonare il Nagorno-Karabakh, la regione autonoma dell’Azerbaigian abitata da armeni e protetta dal governo di Yerevan il cui status è fonte di scontri e tensione tra i due paesi da oltre tre decenni.
Nella notte, migliaia di persone guidate da alcuni deputati dell’opposizione hanno circondato il palazzo del governo per protestare contro quella che molti considerano una resa. Alcuni cancelli dell’edificio sono stati divelti e altre proteste sono in corso oggi, mentre l’opposizione ha iniziato le procedure per ottenere una mozione di sfiducia nei confronti del governo.
L’attacco
Lo scontro degli ultimi giorni è il più grave tra i due paesi dal 2020, quando nel corso di un conflitto di sei settimane l’esercito dell’Azerbaigian è riuscito a occupare più di metà del territorio della regione contesa del Nagorno-Karabakh. L’Azerbaigian è uno dei principali esportatori di gas della regione del Caucaso. Grazie ai proventi della vendita di idrocarburi e con l’appoggio della Turchia, ha costituito negli ultimi anni un esercito nettamente superiore a quello armeno. Con dieci milioni di abitanti, l’Azerbaigian ha una popolazione tre volte superiore a quella dell’Armenia.
A differenza del conflitto di due anni fa, che ha riguardato soprattutto il Nagorno-Karabakh, riconosciuto da tutti i trattati internazionale come parte dell’Azerbaigian, questa volta l’esercito azero ha lanciato il suo attacco contro l’Armenia vera e propria. Secondo il governo di Yerevan, al momento del cessate il fuoco circa 130 chilometri quadrati di territorio armeno erano occupati militarmente.
Dopo il primo giorno di combattimenti, l’Armenia ha invocato l’articolo quattro del trattato di sicurezza collettiva che impegna i suoi alleati, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Bielorussia, a difendere uno stato membro dell’accordo sotto attacco. Ma dall’organizzazione non è arrivata alcuna forma di supporto e ieri il suo segretario ha escluso non solo un intervento militare, ma anche la possibilità di inviare una forza di pace al confine tra i due paesi.
Secondo numerosi analisti, l’Azerbaigian ha deciso di lanciare l’attacco in questo momento confidando che con l’esercito russo bloccato in ucraina, nessun alleato sarebbe andato in soccorso dell’Armenia.
La resa
Dalle prime ore del conflitto, la comunità internazionale, Russia, Stati Uniti ed Europa, ha fatto pressioni sui due paesi affinché raggiungessero un cessate il fuoco. Ma le truppe azere, forti del sostegno della Turchia e della loro superiorità militare, hanno proseguito la loro avanzata anche mercoledì.
Di fronte a una situazione disperata, nel tardo pomeriggi il primo ministro armeno Pashinyan ha annunciato che era pronto a prendere una decisione difficile per fornire «sicurezza e una pace stabile per i 29.800 chilometri quadrati di territorio armeno». Una dichiarazione che è sembra una chiara indicazione della sua volontà di abbandonare le rivendicazioni sul Nagorno-Karabakh e dei suoi circa 100mila abitanti di lingua armena in cambio del rispetto dei confini dell’Armenia vera e propria.
Poco dopo l’annuncio, è arrivato il cessate il fuoco entrato poi in vigore alle 20 di ieri sera, le 22 in Italia. In seguito alle vaste proteste popolari contro la decisione, Pashinyan ha precisato che nessuna decisione definitiva era stata presa e che, oltre al cessate il fuoco, nessun documento era stato firmato.
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