- Parla di Europa papa Francesco in Grecia, e lo fa nella culla della democrazia. Oggi visita il campo profughi di Lesbo, ma il pontefice fa una lezione di storia in uno dei paesi più colpiti dalla crisi.
- Parlando di immigrazione, il pontefice ricorda che non c’è accoglienza senza integrazione. Il messaggio è rivolto all’Europa che, a fronte di corposi stanziamenti alle frontiere, non riesce a superare la minaccia dei nazionalismi e sovranismi.
- Anche la chiesa deve riscoprirsi umile. Le dimensioni – ricorda Francesco – sono nel dna delle comunità cristiane. Partire da ciò aiuterebbe a superare le manie di potere di cui è affetta la chiesa europea continentale.
Parla di Europa papa Francesco in Grecia, e lo fa nel punto dove è nato il concetto di democrazia, l’Acropoli di Atene. Giunto ieri a cinque anni dalla sua visita lampo nel campo profughi di Lesbo, che visiterà oggi, il pontefice fa una lezione di storia in uno dei paesi più colpiti da una crisi economica cronica, aggravata dalla pandemia: secondo dati Ue, la recessione in Grecia tocca oltre l’otto per cento del Pil, a cui si aggiunge il più alto tasso di disoccupazione tra gli stati europei. Ma «la speranza è un diritto universale», ricorda Francesco davanti ai vescovi e religiosi riuniti ieri nella cattedrale di san Dionigi di Atene, ricordando quanto i primi passi evangelici di san Paolo nella penisola siano stati difficili se, poco tempo dopo la sua predicazione, dovette renderne conto davanti al consiglio dell’Areopago.
Democrazia
Papa Francesco invita a leggere il suo viaggio in Grecia con gli occhi della politica. Non le mediazioni di palazzo, ma quella che definisce «la buona politica. Perché la politica è cosa buona e tale deve essere nella pratica, in quanto responsabilità somma del cittadino, in quanto arte del bene comune». Per questo, il suo primo messaggio appena giunto ad Atene è rivolto all’Europa: «Il temporeggiare europeo perdura: la Comunità europea, lacerata da egoismi nazionalistici, anziché essere traino di solidarietà, alcune volte appare bloccata e scoordinata. Se un tempo i contrasti ideologici impedivano la costruzione di ponti tra l’est e l’ovest del continente, oggi la questione migratoria ha aperto falle anche tra il sud e il nord». È un affronto forte, rivolto dal paese che più risente del peso di essere in una periferia comunitaria, soggetto secondo il papa a quanto chiama «arretramento della democrazia», conseguenza di una cattiva politica: «La politica è cosa buona e tale deve essere nella pratica, in quanto responsabilità somma del cittadino, in quanto arte del bene comune. Affinché il bene sia davvero partecipato, un’attenzione particolare, direi prioritaria, va rivolta alle fasce più deboli» sottolinea il pontefice nel palazzo presidenziale di Atene, menzionando lo stralcio di un discorso di Alcide de Gasperi all’indomani della fine della Seconda guerra mondiale: «Si parla molto di chi va a sinistra o a destra, ma il decisivo è andare avanti e andare avanti vuol dire andare verso la giustizia sociale». Di fronte alla presidente della Repubblica ellenica, Katerina Sakellaropoulou, Francesco detta un cambio di passo rispetto a «l’autoritarismo sbrigativo e le facili rassicurazioni proposte dai populismi che appaiono allettanti».
Nel migrante c’è Ulisse
Per Francesco, nel paese che conta sempre più nuovi centri di accoglienza e identificazione, manca l’integrazione. Il papa va, dunque, nelle pieghe del paradosso europeo, disponibile a finanziare l’accoglienza, non a renderla più umana. Pochi mesi fa, l’Ue ha stanziato nel paese oltre 270 milioni di euro per la costruzione di nuovi centri di accoglienza sulle isole egee: il fatto che – come a Lesbo – i luoghi deputati siano delle isole dimostra il rischio di una reclusione forzata in queste strutture, secondo quanto hanno già osservato i più scettici come la commissaria europea per i Diritti umani, Dunja Mijatović. Il papa oppone a questa realtà la natura stessa del paese di Omero: «Mi piace ricordare che quando Ulisse approdò a Itaca non fu riconosciuto dai signori del luogo, che gli avevano usurpato casa e beni, ma da chi si era preso cura di lui. La sua nutrice capì che era lui vedendo le sue cicatrici. Le sofferenze ci accomunano e riconoscere l’appartenenza alla stessa fragile umanità sarà di aiuto per costruire un futuro più integrato e pacifico. Trasformiamo in audace opportunità ciò che sembra solo una malcapitata avversità!» ha detto, senza mezzi termini, il papa. Sgombrando il campo dai fraintendimenti, per Francesco è possibile non solo costruire una società più giusta e partecipativa, ma anche individuare le avvisaglie delle vere minacce. In primis, la pandemia, che in Grecia ha spaccato anche le confessioni religiose. Perché se l’invito della chiesa ellenica è quello a vaccinarsi, in un paese che fatica ad avere una popolazione adeguatamente schermata dalle infezioni, il problema si concretizza con le iniziative di singoli sacerdoti e monaci, che decidono di non vaccinarsi e invitano i fedeli a non farlo: «Va sempre privilegiato il diritto alla cura e alle cure per tutti, affinché i più deboli, in particolare gli anziani, non siano mai scartati» ha ricordato il papa.
La chiesa paolina
In Grecia, il pontefice porta a compimento la sua visione di una chiesa paolina: una comunità in cammino e pronta a mettersi in gioco, lontana dai compromessi di potere: «Veleni mondani ci hanno contaminato, la zizzania del sospetto ha aumentato la distanza e abbiamo smesso di coltivare la comunione [...]. Con vergogna – lo riconosco per la Chiesa Cattolica – azioni e scelte che poco o niente hanno a che vedere con Gesù e con il Vangelo, improntate piuttosto a sete di guadagno e di potere, hanno fatto appassire la comunione» ha denunciato il papa nel suo incontro con l’arcivescovo di Atene, l’ortodosso Ieronymos II. La sua diagnosi della chiesa continentale europea è dura ed avviene poco dopo le dimissioni dell’arcivescovo di Parigi, monsignor Michel Aupetit, che lui stesso aveva collocato in una delle più importanti diocesi europee. Ripercorrendo la storia dell’apostolo Paolo, papa Francesco ricorda che la chiesa è tale se è piccola: «Essere Chiesa piccola ci rende segno eloquente del Vangelo, del Dio annunciato da Gesù che sceglie i piccoli e i poveri, che cambia la storia con le gesta semplici degli umili. A noi, come Chiesa, non è richiesto lo spirito della conquista e della vittoria, la magnificenza dei grandi numeri, lo splendore mondano. Tutto ciò è pericoloso. È la tentazione del trionfalismo. A noi è chiesto di prendere spunto dal granello di senape, che è infimo, ma umilmente e lentamente cresce».
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