- Non si capisce se Mosca e Kiev abbiano realmente potuto vedere le proposte. Un dettaglio non da poco per un piano che dovrebbe essere sottoposto a entrambi per avere legittimità politica.
- Per Repubblica, dovrebbe essere stato il segretario dell’Onu Antonio Guterres a spedirlo nelle due capitali, o almeno «è possibile che lo abbia condiviso con i due belligeranti».
- Il piano di pace italiano è stato formalizzato dalla Farnesina, in stretto collegamento con palazzo Chigi. Il premier Mario Draghi non ha mai fatto riferimento all’iniziativa.
Il 18 maggio Repubblica ha anticipato in esclusiva un piano per la pace promosso dal ministero degli Esteri italiano. La proposta ha avuto una particolare eco in Italia. Secondo Repubblica, il piano «ha messo in moto la diplomazia».
Ma a distanza di una settimana dall’anticipazione, le proposte italiane consegnate da Luigi Di Maio al segretario generale dell’Onu non sono mai arrivate sul tavolo dei due paesi belligeranti. E ieri lo stesso Di Maio ha minimizzato la rilevanza del documento, definendolo «un lavoro embrionale».
Il 24 maggio Repubblica ha titolato in prima pagina «Mosca valuta il piano italiano per la pace». Eppure Dmitrj Peskov, portavoce del Cremlino, ieri ha dichiarato di non aver ancora visto le proposte italiane, anzi, ha detto: «Speriamo di riceverle e di poterle esaminare».
Di fatto i russi ne hanno sentito parlare solo tramite i media italiani. Il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, Dmitri Medvedev, ha sottolineato che si tratta di un documento ufficioso: «Secondo la stampa italiana», ha detto, è stato presentato questo piano «che però sembra preparato non da diplomatici ma da politologi locali, che hanno letto dei giornali provinciali e operano soltanto sulla base delle notizie false ucraine». Per Medvedev è «un puro flusso di coscienza slegato dalla realtà».
Anche l’altro paese belligerante, l’Ucraina, «non conferma nemmeno di avere ricevuto il piano italiano», come ammette sempre Repubblica. Tre giorni prima, il 21 maggio il giornale però sosteneva che il piano di pace fosse «sul tavolo del presidente ucraino» pronto a essere valutato da Zelensky «insieme ai suoi collaboratori». Non si capisce quindi se Mosca e Kiev abbiano realmente potuto vedere le proposte. Un dettaglio non da poco.
La mossa dell’Italia
Quello che sappiamo, sempre da Repubblica, è che Di Maio ha consegnato il documento al segretario generale dell’Onu Antonio Guterres nella visita al Palazzo di vetro il 18 maggio.
«Guterres ha fatto molte domande, senza sbilanciarsi, dicono persone che hanno assistito all’incontro, ma i segnali sono considerati positivi», spiegava Repubblica il 19 maggio.
E per Repubblica, dovrebbe essere stato Guterres stesso a spedirlo ai due governi, o almeno «è possibile che lo abbia condiviso con i due belligeranti», scrive il giornale il 24 maggio. Di sicuro c’è solo che l’Italia si è affidata all’Onu per farlo giungere sulle scrivanie di Zelensky e Putin. Solo che non è ancora successo.
Ulteriore difficoltà: l’Ucraina non ritiene fondamentale il ruolo dell’Onu nelle trattative o abbia dato una delega in questo senso, anzi. Lo dimostrano le reazioni al viaggio di Guterres a Mosca, avvenuto a fine aprile, quando da Kiev hanno sottolineato come il segretario dell’Onu non fosse autorizzato a parlare al Cremlino per conto dell’Ucraina.
Il ruolo di Draghi
Il piano è stato «elaborato alla Farnesina, in stretto coordinamento con palazzo Chigi», a quanto scrive Repubblica il 18 maggio. Se Di Maio ne ha parlato alla conferenza stampa finale della presidenza italiana al Consiglio d’Europa, il premier Mario Draghi non lo ha menzionato durante l’informativa alla Camera dello scorso giovedì.
La stessa dinamica si è ripetuta il 21 maggio, quando Draghi ha telefonato a Volodymyr Zelensky. I due hanno parlato soprattutto dell’aiuto italiano per lo sminamento delle acque del mar Nero, di un ulteriore pacchetto di sanzioni europee contro Mosca e dello sblocco dei porti. Nessun riferimento alle proposte di pace italiane.
Forse perché Zelensky non ne era al corrente, oppure per le criticità che il piano contiene. Secondo le proposte, la pace deve essere raggiunta tramite quattro passi: «Il cessate il fuoco, la possibile neutralità dell'Ucraina, le questioni territoriali - in particolare Crimea e Donbass - e un nuovo patto di sicurezza europea e internazionale».
Territori e confini
Solo che Draghi, come ricorda il quotidiano sempre il 19 maggio, ha «sottolineato più volte: nessuna imposizione all’Ucraina». Secondo quanto dice Repubblica, però, nel piano per il Donbass si prevede «un’autonomia praticamente totale delle aree contese e una gestione della sicurezza autonoma». Uno scenario inaccettabile al momento per Kiev: Zelensky rifiuta categoricamente di riconoscere l’autonomia di Crimea e Donbass.
A ribadire, per ultima, che «l’integrità territoriale dell’Ucraina non deve essere discussa», è stata la viceministra degli Esteri ucraina Emine Dhzaparova, come riportato dalla stessa Repubblica il 24.
Dhzaparova, in occasione di un evento alla Luiss, ha anche risposto a una domanda sui piani di Roma, in maniera molto diplomatica: «Accogliamo con favore qualsiasi iniziativa che possa portare la pace», definendo però «non sostenibile», qualsiasi idea che preveda confini diversi per l’Ucraina da quelli precedenti all’invasione.
Tra l’altro anche nel quarto punto del programma della Farnesina, si prospetta il ritiro delle truppe russe dai territori occupati. Per Repubblica «l’obiettivo è quello di riportarle quantomeno allo status quo ante il 24 febbraio 2022».
Medvedev sul tema però è stato esplicito: «Le repubbliche del Donbass hanno preso la decisione finale sul loro status e non torneranno mai più» all’Ucraina. Insomma, il nodo delle questioni territoriali è il più difficile da sciogliere.
Insieme, certo, al primo step delle proposte di Roma: quello del cessate il fuoco «da negoziare mentre si combatte», sempre secondo Repubblica. Che per arrivare alla pace serva il silenzio delle armi non è un’idea innovativa, il problema è come farlo accettare a chi le armi le imbraccia. Ucraina e Russia, infatti, al momento allontanano tale ipotesi.
Nonostante le dichiarazioni formali di entrambe le capitali che accolgono di buon grado l’intervento di «onesti mediatori», per usare le parole di Peskov (e ci sarebbe da chiedersi cosa significa «onesti mediatori» per la propaganda del Cremlino) la situazione non cambia. Difficile che al momento lo possa fare il piano della Farnesina.
Anche perché raramente un progetto che implichi un ruolo di mediazione importante in un conflitto da parte di un paese viene annunciato prima ancora che i principali attori coinvolti ne siano quantomeno messi a conoscenza. «Di certo, serve a posizionare Roma nella partita diplomatica», sosteneva Repubblica quando ha pubblicato l’anticipazione di un piano elaborato all’insaputa di tutti gli attori coinvolti.
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