In molti contestano la richiesta d’arresto per il premier israeliano. Ma nessuno entra nel merito delle accuse né si domanda: il leader di un paese democratico si è comportato come un capo terrorista?
Nessuno ci può giudicare. La famosa canzone di Caterina Caselli è diventata un coro recitato a ogni latitudine. La classe politica è spesso sottomessa alla finanza senza apparenti reazioni, ma rivendica un primato sui giudici sconfessando così l’essenza stessa della democrazia che prevede la divisioni dei poteri e l’indipendenza tra legislativo, esecutivo e giudiziario.
Così la richiesta d’arresto per Benjamin Netanyahu, il premier d’Israele (e per il suo ex ministro della Difesa, Yoav Gallant) da parte della Corte penale internazionale registra l’affannosa corsa alla solidarietà a prescindere per il leader senza nemmeno entrare nel merito delle accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità, l’uso della fame come metodo di guerra, l’uccisione, la persecuzione e altri atti disumani, gli attacchi intenzionali contro la popolazione civile.
Tutti solidali
Joe Biden e Donald Trump, finita la loro contesa, sono accomunati nella stessa definizione di «scandaloso» usata per il provvedimento. La Russia nemmeno commenta essendo il proprio zar Vladimir Putin inseguito da analoga sanzione restrittiva. Viktor Orbán apre le porte dell’Ungheria all’inquisito. S’avanza con la solita prosopopea Matteo Salvini che lo incoraggia a venire in Italia «sarebbe il benvenuto», dimenticando che il nostro paese ha aderito alla Corte penale al punto che il ministro della Difesa Guido Crosetto, pur a denti stretti, ha confermato che saremmo costretti a obbedire ai magistrati, e il ministro degli Esteri Antonio Tajani, tra mille distinguo, si è salvato in calcio d’angolo chiamando in causa una concertazione con gli alleati.
Sofferta e prolissa la posizione di Francia e Germania pur nell’accettazione della decisione delle toghe. Sullo sfondo, lo stracciarsi le vesti di gran parte dei media.
Doppio standard
Non c’è da sorprendersi se una larga fetta del “mondo altro” che non sia occidente ci accusi sovente di doppio standard nelle valutazioni degli accadimenti internazionali. La questione Netanyahu ne è la cartina di tornasole lampante.
Nessun dubbio sulla legittimità di una risposta militare di Israele a quel grumo di Shoah che è stato il 7 ottobre. Ma c'è risposta e risposta. Uno degli argomenti più usati dai difensori senza se e senza ma di Bibi è che non si possono mettere sullo stesso piano i capi terroristi e i leader di un paese democratico.
Quando la domanda corretta, in un processo che comunque non si farà mai, sarebbe: il leader di un paese democratico si è comportato come un capo terrorista? In capo a tredici mesi e mezzo di conflitto, il sospetto è che l'ipotesi dell'accusa vada quanto meno verificata.
Sono entrate in tutte le case via televisione le immagini dei massacri di civili che hanno raggiunto cifre iperboliche. Carneficine spesso giustificate dalla considerazione che ci fosse qualche miliziano di Hamas confuso con la popolazione civile. Come se questo potesse bastare a emendare da ogni colpa.
O la chiusura delle frontiere ai tir degli aiuti umanitari, un milione e mezzo di persone ridotte alla fame, costrette a spostarsi a capriccio da una parte all'altra della piccola Striscia a seconda delle esigenze dell'esercito. Per concludere che è tutto legittimo bisognerebbe postulare che tutti gli abitanti della terra desolata chiamata Gaza sono perciò terroristi, dagli infanti ai vegliardi passando per le donne. E se ci siamo purtroppo abituati da alcuni decenni al concetto di “danni collaterali”, qui si è andati molto oltre senza che non sia stata fatta nessuna distinzione in nome delle esigenze superiori di Israele. Ripetiamo: è il comportamento del governo di uno stato democratico?
All’origine dell’antisemitismo
Benjamin Netanyahu ha usato come un disco rotto il solito argomento onnicomprensivo dell'antisemitismo. Sarebbe antisemita ovviamente Karim Khan il procuratore della Corte e screditato per un presunto scandalo sessuale emerso, ma guarda un po’, da quanto è iniziato il suo lavoro.
Eppure il premier di Israele dovrebbe interrogarsi su quanto l’antisemitismo sia purtroppo cresciuto, soprattutto tra le nuove generazioni, a causa del suo operato. Suo e di alcuni personaggi con cui si accompagna, come i suoi ministri Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir, che non hanno fatto mistero della loro volontà di sterminio di tutti i palestinesi (ma sono ahiloro limitati dalla comunità internazionale), di non voler riconoscere né ora né mai uno stato palestinese e di voler annettere l’intera Cisgiordania dove sono quotidiane le azioni violente dei coloni in nome del diritto messianico che rivendicano sulla terra tra il Mediterraneo e il Giordano. E il tutto senza che Netanyahu abbia mai sentito il bisogno di prendere le distanze da queste manifestazioni di razzismo estremo.
«Ci sarà pur un giudice a Berlino», è l'espressione usata da Bertold Brecht nella volontà di credere che si possa alfine avere giustizia. I giudici non godono di grande popolarità in questa fase storica. Né a Berlino, né a Washington, né a Budapest, né a Roma. Né all'Aia.
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