«Congratulazioni per il più grande ritorno della Storia!». Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, non nasconde il suo entusiasmo per la rielezione del suo amico Donald Trump a presidente degli Stati Uniti. In un messaggio su X, l’ha definita ieri «un’enorme vittoria» che rinsalda l’alleanza tra i due Paesi.

Non è mai stato un mistero che Netanyahu preferisse vedere Trump alla Casa Bianca. L’amicizia e le affinità tra i due sono note da tempo. In più, con il licenziamento del ministro della Difesa Yoav Gallant, avvenuto lo stesso giorno in cui si è votato negli Usa, Netanyahu e i suoi alleati religiosi e di estrema destra hanno due importanti vincoli in meno alla loro visione sulla gestione e sugli obiettivi dei conflitti in corso.

Rappresentando l’opinione dell’apparato militare israeliano, Gallant ha ripetutamente spinto il premier ad accettare un cessate il fuoco a Gaza a fronte della liberazione degli ostaggi ancora prigionieri nella Striscia, a permettere l’insediamento di un’amministrazione palestinese al posto di Hamas e ad iniziare le trattative per una tregua in Libano.

In Israele, dove anche la maggioranza dell’opinione pubblica vede con favore la vittoria di Trump, la vicepresidente e candidata democratica Kamala Harris era percepita in totale continuità con le politiche di Joe Biden: pressioni per un cessate il fuoco a Gaza e in Libano e per una maggiore erogazione di aiuti umanitari ai civili della Striscia, a fronte della minaccia di sospensione dell’invio di armi da parte americana.

Peraltro, l’amministrazione uscente, che ha sempre sostenuto la necessità di far nascere uno Stato palestinese nei Territori Occupati, ha anche più volte sanzionato i coloni accusati di violenza contro i palestinesi in Cisgiordania.

Il primo mandato

Trump potrebbe avere un approccio diverso. La sua prima amministrazione ha riconosciuto l’annessione delle alture del Golan da parte di Israele del 1981, considerate invece dall’Onu come territorio siriano occupato sin dalla conquista israeliana nel 1967.

Trump ha inoltre favorito la firma degli Accordi di Abramo, che hanno normalizzato le relazioni tra Israele ed Emirati Arabi, Bahrein, Sudan e Marocco. Ha spinto anche per una normalizzazione con l’Arabia Saudita. Ha trasferito l’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, riconoscendo di fatto quest’ultima come la capitale israeliana nella sua interezza, inclusa quindi la parte est della città, contesa dai palestinesi. Ha ritirato gli Usa dall'accordo sul nucleare iraniano (Jcpoa) e ha fatto uccidere in un raid in Iraq il comandante delle milizie iraniane al-Quds, Qasem Soleimani, architetto del sistema di proxy della Repubblica islamica.

Con queste credenziali, non sorprende che i sondaggi mostrassero una preferenza degli israeliani per Trump, ma soprattutto che Netanyahu stesso, anche grazie all’estromissione di Gallant dal governo, possa ora presumere di avere più libertà nella gestione dei conflitti in Medio Oriente.

Nondimeno, date le tendenze ondivaghe di Trump, rimangono molti punti interrogativi sulle politiche che adotterà nei confronti di Israele, fanno notare gli studiosi Avishay Ben Sasson-Gordis, Ted Sasson e Jesse Weinberg dell’Istituto per gli studi sulla sicurezza nazionale (Inss) di Tel Aviv.

Il presidente eletto ha detto di voler vedere la fine della guerra a Gaza prima del suo insediamento il 20 gennaio, senza però delineare quale sia la sua visione per il post-guerra. Viste le esperienze passate, gli studiosi dell’Inss non si aspettano che Trump usi la leva degli aiuti militari per influenzare la condotta israeliana della guerra.

Cosa può succedere

Dato il suo appoggio agli Accordi di Abramo e all’"accordo del secolo” con i palestinesi, esiste la possibilità che Trump possa appoggiare la soluzione dei due Stati, molto probabilmente con sostanziali annessioni di territori da parte di Israele. Tuttavia, vista la reazione dei coloni alla sua elezione – una loro importante organizzazione ha già escluso la creazione di uno Stato palestinese ora che Trump è stato eletto – rimane molto difficile prevedere che cosa succederà. Sicuramente il governo israeliano si aspetta di ricevere meno pressioni in tal senso da Washington, come pure un maggior appoggio della nuova amministrazione in sede Onu, i cui organi hanno formulato varie accuse contro lo Stato ebraico.

Riguardo alla postura nei confronti dell’Iran, vari analisti si aspettano che Trump usi una retorica ancora più accesa nei confronti di Teheran. Tuttavia, l’aggressività di Trump potrebbe fermarsi lì e non sfociare in un'azione militare nei confronti delle infrastrutture nucleari iraniane, per evitare che gli Usa siano trascinati in una nuova guerra in Medio Oriente.

Avendo sia Trump che Netanyahu vari problemi con la giustizia nei rispettivi Paesi, tanto da sembrare un tratto definitorio delle relazioni tra i due, che si sentono “perseguitati" dai giudici, il nuovo presidente, al contrario di Biden, potrebbe ignorare i tentativi del governo israeliano di limitare a proprio favore il potere dei tribunali.

Vari interrogativi, dunque, ma anche la certezza che a Gerusalemme si stia brindando per i risultati delle elezioni americane.

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