La mobilitazione dopo la morte degli ostaggi non scalfisce il premier. Sfida alla comunità internazionale e al ministro della Difesa Gallant: ora la tenuta del governo dipende dal sostegno dei partiti ultraortodossi
«Il conseguimento degli obiettivi della guerra passano per il Corridoio Filadelfia. Venti anni fa mi sono dimesso dal governo Sharon proprio su questo punto: dobbiamo controllare l'asse al confine tra Gaza e l'Egitto, è una questione politica fondamentale».
Mentre centinaia di migliaia di lavoratori di ogni settore incrociano le braccia, raccogliendo l’invito del più grande sindacato israeliano, Histadrut, ad unirsi alle proteste dei familiari degli ostaggi, Benjamin Netanyahu non sembra voler accogliere le richieste del ministro della Difesa Yoav Gallant. Domenica scorsa, il ministro si era già scontrato duramente col premier e con la componente estremista del governo proprio sulla necessità di abbandonare la richiesta di controllo militare del corridoio Filadelfia, a sud di Gaza, per giungere a un cessate il fuoco e alla liberazione degli ostaggi. Ma Bibi non sembra volerci sentire da quell’orecchio, a costo di isolarsi sempre più dalla comunità internazionale e precipitare nel consenso interno.
A cominciare dal movimento nato attorno al comitato per le famiglie degli ostaggi, che ieri ha organizzato una serie di manifestazioni molto partecipate in tutto il Paese per chiedere a gran voce di accettare un accordo con Hamas sul cessate il fuoco a Gaza, che possa permettere di salvare gli ostaggi ancora vivi nella Striscia.
Lo sciopero
I manifestanti a Gerusalemme sono arrivati davanti alla residenza del premier Benjamin Netanyahu che, però, non sembra intenzionato per ora a sposare una linea meno intransigente. Anzi, sia il capo del governo che i suoi due ministri di estrema destra, Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, hanno accusato il sindacato e i manifestanti di fare il gioco di Hamas.
Smotrich ha anche ottenuto un’ingiunzione dai tribunali israeliani per far cessare lo sciopero nelle prime ore del pomeriggio.
«Affermare che l’appello per il ritorno dei rapiti che stanno morendo a Gaza aiuta Sinwar ha lo scopo di far dimenticare all’opinione pubblica che è stato sotto la gestione del primo ministro, col trasferimento di milioni di dollari ad Hamas, che è avvenuto il più grande disastro per il popolo ebraico dopo l’Olocausto. È meglio che investa i suoi sforzi nel riportare indietro i nostri figli e le nostre figlie, vivi e non in sacchi neri» ha risposto il presidente di Histadrut Arnon Bar-David.
«È spiacevole ammetterlo, ma Netanyahu spingerà per un accordo solo quando le strade saranno in fiamme. Ora, ha più paura di Ben-Gvir e Smotrich che delle famiglie degli ostaggi» ha raccontato un ministro del Likud, il partito di Netanyahu, ad Haaretz. I due ministri spingono per una continuazione del conflitto, pressioni alle quali Netanyahu ha sinora ceduto.
Tuttavia, la tenuta del governo non dipende solo dalle richieste di Ben-Gvir e Smotrich, ma anche dall’appoggio dei partiti ultraortodossi che in parlamento hanno abbastanza voti per far cadere l’esecutivo.
Il rabbino Elhanan Danino, padre di Ori, uno dei sei ostaggi assassinati poco prima che i soldati dell’Idf raggiungessero il luogo dove erano tenuti prigionieri, ha dichiarato in un’intervista al sito ultraortodosso Kikar di aver avuto la sensazione che il governo non abbia fatto di tutto per riportare gli ostaggi a casa.
«Ho chiesto ad Aryeh Deri [leader del partito ultra-ortodosso Shas] perché solo Ben-Gvir e Smotrich possono minacciare e lui non può minacciare che se non ci sarà un accordo si scioglierà il governo».
Yair Lapid, capo di uno dei partiti di opposizione, ha chiesto in una lettera aperta ai parlamentari del Likud, di Shas e dell’altro partito ultraortodosso di governo Ebraismo della Torah Unito, di esigere un accordo sugli ostaggi, pena lo scioglimento della coalizione.
Le critiche degli Usa
E a premere su Netanyahu sono anche gli Stati Uniti. Il presidente Joe Biden ha dichiarato di essere molto vicino a presentare una proposta finale sugli ostaggi e ha criticato Netanyahu perché non starebbe «facendo abbastanza» per arrivare ad un accordo.
La questione è diventata ancora più urgente e sensibile per l’amministrazione americana: tra gli ultimi ostaggi giustiziati da Hamas c’era il ventitreenne Hersh Goldberg-Polin, che era anche cittadino statunitense, diventato simbolo della sofferenza degli ostaggi e delle loro famiglie,
I genitori di Goldberg-Polin si sono spesi in prima persona per il figlio diventando volti noti della campagna per la liberazione degli ostaggi. Recentemente hanno anche partecipato alla convention del partito democratico di Chicago, galvanizzando la folla con la loro testimonianza.
Lunedì pomeriggio, una processione di migliaia di persone è partita da casa Goldberg-Polin a Gerusalemme per accompagnare il feretro di Hersh al cimitero per la sepoltura.
Al funerale ha parlato anche il presidente di Israele Isaac Herzog. «Chiedo scusa da parte dello Stati di Israele non avervi protetto in quel terribile disastro del 7 ottobre e per non essere riusciti a portarvi a casa sani e salvi».
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