A pochi giorni di distanza dal piano annunciato da Donald Trump per il futuro di Gaza, fortemente criticato dal resto dei leader internazionali, il premier Benjamin Netanyahu lancia la sua provocazione. «I sauditi possono creare uno stato palestinese nel paese, hanno tanta terrà lì da loro», ha detto in un’intervista al media israeliano Channel 14. Il primo ministro israeliano ha anche bocciato l’idea di uno stato palestinese, prerogativa di Riad per l’accordo di normalizzazione tra i due stati: «C’era uno stato palestinese, si chiamava Gaza, guidato da Hamas, era uno stato palestinese, e guardate cosa abbiamo avuto il più grande massacro dai tempi dell'Olocausto», ha detto Netanyahu.

La proposta, come quella di Trump, è irricevibile da parte dei paesi arabi. Ma per evitare che qualcuno possa cedere alle pressioni l’Egitto ha intensificato la sua attività diplomatica con i paesi vicini. Ieri il ministro degli Esteri Badir Abdulaty ha tenuto colloqui telefonici sul tema con i suoi omologhi di Giordania, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.

Ostaggi

Gli annunci di questi giorni hanno avuto anche un rallentamento nelle negoziazioni per la tregua. Questo fine settimana è atteso un altro scambio di prigionieri tra Hamas e Israele ma l’organizzazione palestinese non ha ancora consegnato i nomi dei tre ostaggi che dovrebbero essere liberati oggi. Dall’inizio della tregua, entrata in vigore lo scorso 19 gennaio, sono stati liberati 18 ostaggi. A Gaza ne rimangono ancora 66, compresi i corpi di 34 di loro che secondo l’Idf sono morti in questi 15 mesi.

Il portavoce dell’organizzazione Abed Latif al Qanua ha accusato Israele di «ritardi nell’attuazione del protocollo umanitario riguardante gli aiuti e la ricostruzione». Da quando è cessato il fuoco sono entrati nella Striscia 12mila camion con aiuti umanitari, ma mancano i mezzi per aiutare i soccorsi a scavare tra le macerie. «Impedire l'ingresso di attrezzature e macchinari pesanti necessari per rimuovere 55 milioni di tonnellate di macerie, influirà senza dubbio sulla capacità della resistenza di estrarre da sotto le macerie i prigionieri morti (ostaggi)», fa sapere Hamas. Da quando sono cessati i bombardamenti sono stati ritrovati oltre 10mila cadaveri.

Fronte libanese

L’ex ministro della Difesa israeliano ha rivelato su X alcuni dettagli riguardo all’operazione d’intelligence militare del 17 settembre scorso con la quale sono stati fatti esplodere a distanza centinaia di cerca persone utilizzati dai milizia di Hezbollah per evitare di essere intercettati nelle comunicazioni. In totale erano stati ferite circa quattromila persone e sono stati uccisi 42 tra cui anche bambini. I dispositivi sono esplosi in luoghi pubblici, nelle case o nei negozi coinvolgendo anche civili che si trovavano vicino ai miliziani. «L'operazione cercapersone è stata preparata anni prima della guerra ed era pronta per scattare l'11 ottobre», ha scritto Gallant.

L’ex ministro ha anche smentito Netanyahu che ha detto – sempre nell’intervista a Channel 14 – di aver voluto aspettare perché i dispositivi, l’11 ottobre, erano nei magazzini e non nelle mani di Hezbollah. «Contrariamente a quanto detto, il giorno in cui ho proposto di attaccare Hezbollah, i terroristi avevano già migliaia di cercapersone in mano», ha scritto su X Gallant rimarcando che se partita prima l’operazione avrebbe colpito migliaia di miliziani in più. 

Nel frattempo, l’esercito israeliano ha bombardato il sud del Libano. L’Idf ha affermato di aver colpito «due siti militari in territorio libanese che contenevano armi di Hezbollah, in violazione dell'accordo di cessate il fuoco».

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