- Al momento della riapertura della Knesset, che rimette in moto la tano contestata azione di governo, la cronaca israeliana, nuovo campo di battaglia del conflitto fra liberali e antiliberali che sta attraversando l’occidente, ci offre un ulteriore spunto di riflessione sul lato in cui rischia di pendere lago della bilancia.
- Il pomo della discordia è l’annunciata modifica alla legge del ritorno, già di per sé contestata dall’estero perché l’unica a stabilire una differenza formale di diritti fra ebrei e non.
- In palio c’è la transizione verso un modello imperiale con al centro un ceppo dominante, così come lo ha teorizzato Viktor Orbán, sempre più ispiratore di Netanyahu.
Al momento della riapertura della Knesset che rimette in moto la tano contestata azione di governo, la cronaca israeliana, nuovo campo di battaglia del conflitto fra liberali e antiliberali che sta attraversando l’occidente, ci offre un ulteriore spunto di riflessione sul lato in cui rischia di pendere lago della bilancia.
Oltre a creare danni sul fronte interno, a mettere a rischio il posizionamento internazionale dello stato, a renderlo più debole agli occhi dei nemici esterni (inedito l’attacco orchestrato dall’Iran da più fronti in queste settimane: Gaza, Libano, Siria), l’attuale governo Netanyahu sta creando una frattura profonda con la diaspora, anzitutto americana. Un vero fallimento per chi, ancora in tempi recenti, si proponeva come leader dell’ebraismo mondiale.
L’ultima frontiera del dissenso riguarda l’annunciata modifica alla, già di per sé contestata perché l’unica a stabilire differenze formali fra ebrei e non, legge del ritorno, che, dal 1970, prevede la possibilità di trasferirsi in Israele per chiunque abbia un nonno ebreo.
La settimana scorsa, invitato all’assemblea generale della Federazione ebraica del nord America, che denuncia una limitazione della possibilità di compiere l’alyà (la “risalita” di un ebreo in Israele) in un momento in cui sono al picco storico gli attacchi antisemiti negli Usa (vedere il bell’articolo di Valeria Costa sul sito di Domani), il deputato del Partito sionista religioso Simchà Rothman, già presidente della commissione Giustizia dove si sta discutendo la contestata riforma giudiziaria, ha tentato, in modo assai raffazzonato, di dare una patina razionale alla proposta.
Componente identitaria
Non sfugge però a nessuno che la finalità di questa modifica sia portare in Israele una componente ebraica identitaria, che con più facilità si tradurrebbe in loro elettorato. Se mai la legge passasse, sarebbe un elemento di distacco rispetto ai binari seguiti nei settantacinque anni della vita dello stato.
La clausola in discussione conservava in sé un chiaro intento morale, in quanto plasmata sulla definizione nazista, per cui ebreo era, appunto, chi aveva almeno un nonno di religione ebraica. Un’assunzione di responsabilità verso chiunque avesse potuto essere discriminato, internato o ucciso in quanto ebreo durante il regime hitleriano.
Come a dire: se eri ebreo per loro, lo sei anche per noi. Il progetto di legge appare, dunque, come una presa di distanza dal momento fondativo dell’Israele moderno, fissandone l’origine in un non meglio precisato luogo metafisico.
Oltre questo, appare un’ulteriore presa di distanza dal sionismo classico confluito nella Dichiarazione d’indipendenza del 1948 dove, sulla scorta del profeta Geremia, Israele è riconosciuto come la patria di ogni ebreo del mondo. Ci si chiede poi, e qui entriamo nell’ambito della realpolitik, che razza di strategia sia riguardo l’eterno scontro demografico che si combatte fra israeliani e palestinesi, con continui colpi bassi dall’una e dall’altra parte.
Dopo il crollo dell’Urss, per stare a un esempio recente, si adottò la tattica inversa, sorvolando assai sulle definizioni ristrette. La strategia del governo sembra, inoltre, scontrarsi con quanto insegnatoci dal demografo italo-israeliano Sergio Della Pergola: un Israele grande come potrà mantenersi ebraica vista la percentuale crescente di popolazione araba?
Elementare Watson: privandola dei diritti riconosciuti agli altri, in ossequio a un modello neo-imperiale con al centro un ceppo dominante, ricalcato su quello orbaniano. In pratica, rinunciando a essere democratico e avviandosi, negli scenari più foschi, verso quell’apartheid in questi decenni sventolata come arma di propaganda dai nemici di Israele. A rendere la decisione ancor più grave, tutto questo avviene nel quadro della guerra russo-ucraina, che ha visto aumentare il tasso di antisemitismo in entrambi i paesi, come prassi col riacutizzarsi dei nazionalismi. La riforma della “clausola del nonno” rischierebbe di rendere difficile il trasferimento di migliaia di persone di origine ebraica. Il paradosso dei nazionalismi che indeboliscono la nazione.
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