Joe Biden ha detto che l’avvicinamento tra Russia e Cina non ha ancora portato al trasferimento di armi, una «linea rossa» per l’amministrazione americana. Finlandia, Svezia, Norvegia e Danimarca intendono creare una «difesa aerea comune» per contrastare le minacce russe
Joe Biden, in conferenza stampa congiunta col primo ministro canadese Justin Trudeau, ha detto che la Cina «non ha ancora fornito armi alla Russia». Biden rimane, però, cauto sul punto. Non smentisce, infatti, le informazioni diffuse dall’intelligence americana, secondo cui «non si può escludere che ciò avvenga in futuro».
La dichiarazione di Biden fa eco a quella del suo segretario di Stato, Antony Blinken, che aveva precedentemente definito i rapporti tra Russia e Cina «un matrimonio di convenienza» in cui non era ancora stata passata «la linea rossa» della fornitura di armi.
Il presidente americano ha aggiunto che, contrariamente allo «scarso impegno» che implica la relazione sino-russa, gli Stati Uniti hanno «significativamente» espanso la propria rete di alleanze, con un chiaro riferimento alle future adesioni di Finlandia e Svezia alla Nato e al rafforzamento delle relazioni di sicurezza nell’Indo-Pacifico.
La nuova «difesa aerea comune»
L’invasione russa dell’Ucraina, dopo aver indotto Finlandia e Svezia a intraprendere il percorso di adesione all’alleanza, spinge ora Svezia, Norvegia, Finlandia e Danimarca a unire le proprie difese aeree.
I quattro paesi nordici hanno, infatti, firmato una lettera d’intenti per la creazione di una «difesa aerea comune nordica» pensata per contenere le minacce della vicina Russia. La messa in comune delle capacità aeronautiche anticiperebbe l’integrazione operativa di Svezia e Finlandia con i futuri alleati nordatlantici, un passo essenziale verso l’interoperabilità e l’uniformità degli standard operativi.
Il comandante dell’aeronautica danese, Jan Dam, ha detto che, combinando le proprie forze, i quattro paesi avrebbero un’aeronautica «paragonabile a quella di un grande paese europeo». La mossa segnerebbe un’ulteriore conseguenza indesiderata dell’invasione russa, motore di un riallineamento europeo lungo la direttrice nordatlantica.
Lo stallo di Bakhmut
Anche in questo caso contrariamente agli auspici di Putin, sul campo si configura una situazione sempre più vicina allo stallo. Nel quotidiano aggiornamento dell’intelligence britannica si legge, infatti, che «l’offensiva russa su Bakhmut è in gran parte bloccata». La città, secondo Yvgeny Prigozhin, capo del gruppo Wagner, controllata per il 70 per cento dai russi, ha visto entrambi gli schieramenti subire ingenti perdite, al punto da comprometterne le capacità di combattimento.
Valerii Zaluzhnyi, comandante delle forze armate ucraine, ha scritto su Facebook che l’«enorme sforzo» profuso dai difensori di Bakhmut ha contribuito a «stabilizzare» la situazione tattica del centro urbano, dove, secondo le stime occidentali, potrebbero aver perso la vita 30mila soldati russi.
Per la Difesa britannica, all’arrestarsi dell’avanzata russa contribuisce anche la tensione tra i vertici del ministero della Difesa e del gruppo mercenario in merito alla fornitura di munizioni e al blocco al reclutamento dei galeotti russi. Lo stesso Prigozhin ha detto che 5mila detenuti reclutati dal gruppo mercenario sono stati rilasciati dalle autorità alla scadenza del contratto di lavoro con Wagner.
Alla luce della situazione tattica, sempre più bloccata, è ragionevole assumere che le operazioni russe stiano assumendo un carattere «difensivo», con lo scopo di consolidare il fronte a sud di Bakhmut per rimediare agli «scarsi risultati» dell’offensiva generale iniziata a gennaio. A tal proposito, Dmitry Medvedev, ex presidente russo e sodale di Putin, ha detto che le truppe di Mosca si stanno preparando all’annunciata controffensiva primaverile ucraina, che potrebbe iniziare a breve col favore di un clima più mite rispetto a quello degli ultimi mesi.
Contro la Corte penale internazionale
Prosegue, sul fronte interno alla Russia, la campagna di delegittimazione della Corte penale internazionale (Cpi) dell’Aia, il cui mandato d’arresto nei confronti di Vladimir Putin ha generato l’indignazione del presidente della Duma, Vyacheslav Volodin.
Volodin ha scritto su Telegram che l’ordinamento russo dovrebbe proibire ogni attività della Cpi in Russia e punire «chi fornisce assistenza e supporto alla Corte». Il politico invita alla reciprocità nei confronti degli Stati Uniti, che al pari della Russia non hanno ratificato lo Statuto di Roma e che, secondo Volodin, impediscono alla Corte di processare i propri cittadini.
Il riferimento, probabilmente, è a un controverso provvedimento emanato da George Bush nel 2002, mediaticamente soprannominato l’”Hague Invasion Act”, secondo cui, per esempio, gli Stati Uniti si riservano, in linea di principio, il diritto all’uso della forza per liberare un proprio cittadino incarcerato per decisione della Cpi, e, più in generale, all’attitudine non cooperativa delle recenti amministrazioni repubblicane nei confronti della Corte. L’amministrazione di Barack Obama aveva provato, senza successo, ad abrogare l’atto legislativo per aprire un nuovo corso nei rapporti con la Cpi.
Armi tattiche in Bielorussia
La stessa reciprocità è quanto Putin ha rivendicato come legittimazione del dispiegamento di armi tattiche nucleari in Bielorussia, annunciato ieri ai media russi. Per ospitare le testate, entro luglio verrà completato un sito di stoccaggio.
Putin ritiene che ciò non costituisca una violazione del trattato Start e del trattato per la non proliferazione nucleare, poiché anche gli Stati Uniti, nell’ambito del cosiddetto nuclear sharing Nato, hanno dispiegato armi tattiche in diversi paesi europei. La decisione è la risposta al trasferimento di munizioni anticarro all’uranio impoverito all’Ucraina da parte del Regno Unito, nonché, secondo Putin, la risposta a una pressante richiesta del regime di Minsk.
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