Per capire la logica che muove il papa quando si tratta di nomine, forse è meglio partire da chi è stato escluso. Nell’ultima serie di nomine cardinalizie annunciate da Francesco, infatti (21 in tutto, di cui ben 20 cardinali elettori, vale a dire con meno di 80 anni e quindi con la possibilità di entrare in un eventuale conclave), brillano alcune assenze: non ci saranno neanche questa volta nuovi porporati tedeschi; anche in Italia, mancano ancora alcune designazioni importanti, anche se, da Torino a Roma, rispetto al passato, è arrivata qualche porpora “pesante”.

La Germania però è un caso quasi unico: in 11 anni e mezzo di regno infatti, il papa ha assegnato la berretta rossa a un solo cardinale elettore tedesco nel 2014 (con lui ne restano altri 2 nominati da Benedetto XVI); si tratta di Ludwig Gerhard Muller, all’epoca prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (chiamato a quell’incarico da Benedetto XVI pochi mesi prima delle sue dimissioni), una nomina quindi dovuta, visto il ruolo ricoperto dal prelato tedesco in Vaticano.

Muller, negli anni, si è poi distinto come il maggiore oppositore dell’ala tradizionalista a papa Francesco, dunque non è certo rappresentativo di quell’episcopato della Germania favorevole invece a riforme radicali nella chiesa cattolica e che anzi incalza il pontefice argentino proprio su questo terreno.

Dalle ordinazioni femminili alla messa in discussione del celibato obbligatorio, dal riconoscimento delle unioni lgbtq al ruolo dei laici all’interno delle comunità (per i quali si chiede più peso specifico nel governo a livello delle singole diocesi), alla comunione per i divorziati risposati, fino a una politica di trasparenza finanziaria e di tolleranza zero verso gli abusi, nella chiesa tedesca è stato portato avanti un processo sinodale parallelo a quello indicato dal papa capace di promuovere istanze che hanno spaventato la Santa Sede. Tanto che i vescovi tedeschi sono stati richiamati più volte da Roma affinché non proseguissero sulla strada intrapresa, il rischio di rottura con il Vaticano era insomma tangibile.

Così, per ora, la chiesa tedesca ha rallentato la sua corsa, sperando che l’assise sinodale in corso a Roma produca qualche risultato.

Certo il “no” al diaconato femminile ribadito all’inizio dei lavori dal cardinale Victor Fernandez (prefetto del dicastero per la Dottrina della fede) a nome di Francesco, non fa presagire grandi cambiamenti all’orizzonte. Si tenga conto, per esempio, di cosa diceva il documento conclusivo delle diocesi tedesche del maggio scorso in vista dell’assise sinodale in corso a Roma, a proposito della questione femminile nella Chiesa: «Da più parti si auspica un aumento della presenza di donne nelle posizioni di governo, a volte anche attraverso la definizione di citazione. Molti esprimono inoltre l’urgenza di aprire il diaconato sacramentale anche alle donne e di proseguire la discussione sulla possibilità di ammettere queste ultime all’ordinazione sacerdotale. Sono soprattutto le donne più giovani a richiedere la prospettiva specificamente femminile nell’annuncio della fede e anche nella pastorale sacramentale. Si tratta di domande strettamente ricollegate alle prospettive future della Chiesa». Dunque non stupisce che Bergoglio, che pure ha nominato più cardinali di Wojtyla, il cui pontificato è durato però più di 27 anni, non ha assegnato nemmeno una porpora alla Chiesa tedesca; evidentemente c’è qualche eccezione al criterio di rappresentatività globale adottato da papà nella formazione del collegio cardinalizio.

Un collegio “globale”

Va detto che papa Bergoglio a forza di nomine – l’80 per cento dei cardinali elettori è stato creato da lui, pari a 112 su 142 in totale – ha finito con lo stravolgere la funzione stessa dell’ufficio, da una parte rompendo con la tradizione che voleva determinare sedi diocesane cardinalizie per tradizione o, per meglio dire, antico lignaggio ecclesiale, dall’altra premiando con il riconoscimento della nomina anche sedi molto piccole, di frontiera, diocesi collocate in ambienti in cui il cattolicesimo è una minoranza estrema.

Inoltre, il papa, ha inteso col tempo, riequilibrare il peso specifico delle chiese in crescita del sud del mondo, rispetto a quelle in crisi di fede e di vocazioni del mondo occidentale. Così ha cercato di costruire un collegio cardinalizio che indubbiamente è più rappresentativo dell’universalità della chiesa cattolica. Dunque se si guarda alle prossime nomine che diventeranno operative durante la celebrazione che si terrà in piazza San Pietro il prossimo 8 dicembre, questi criteri vengono rispettati: saranno 6 i cardinali provenienti dall’America titolari di altrettante diocesi: cinque sudamericani, delle diocesi di Lima in Perù, Santiago del Cile, Guayaquil in Ecuador, Santiago del Estero in Argentina, Porto Alegre in Brasile, più un canadese, l’arcivescovo di Toronto.

Due quelli chiamati a operare in Paesi a stragrande maggioranza musulmana, diocesi di Teheran e Algeri, quindi c’è l’arcivescovo di Belgrado, quello di Tokyo più altri due porporati dell’estremo Oriente, Bogor in Indonesia e Kalookan nelle Filippine, uno in Africa, ad Abidjan nella Costa d’Avorio. Quattro gli italiani: il nuovo vicario per la diocesi di Roma, l’agrigentino Baldassarre Reina, nomina di rilievo in vista del prossimo Giubileo; quindi l’arcivescovo di Torino Roberto Repole, poi Fabio Baggio – che non è neanche vescovo – il sottosegretario del dicastero per lo Sviluppo umano integrale, dove ricopre l’incarico di responsabile della Sezione migranti e rifugiati. Ancora senza porpora restano invece Milano, Venezia, Napoli, Palermo; infine, fra i 21, c’è l’unico cardinale senza diritto di voto, l’ex nunzio Angelo Acerbi che ha 99 anni.

Non mancano dall’elenco alcune scelte molto personali di papa Francesco, sottolineate da un commento sulle nomine cardinalizie sul sito della Chiesa tedesca, in questo modo: «Come al solito con Francesco, l’elenco dei nomi riserva alcune sorprese, alcune delle quali sembrano quasi bizzarre. Ha nominato cardinali il sacerdote indiano George Jacob Koovakad (53 anni), organizzatore dei viaggi papali, e il lituano Rolandas Makrickas (54 anni), che è a capo della chiesa preferita del papa a Roma, la Basilica di Santa Maria Maggiore». Insomma, il papa, a scanso di equivoci, rimane sovrano assoluto, e su questo non c’è assemblea sinodale che tenga.

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