Israele insiste nel dire che non rioccuperò Gaza, ma le immagini satellitari analizzate dal Washington Post e le manovre dell’Idf testimoniano l’opposto. Nessun futuro per l’Anp
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu insiste nel dire che non intende rioccupare in modo permanente la Striscia di Gaza, ma la costruzione di strade, avamposti e zone cuscinetto nei pressi dell’area che separa la zona di Gaza City dal resto della Striscia indica l’intenzione delle Forze di difesa israeliane (Idf) di restare ancora a lungo.
A parte lo smantellamento di Hamas e la liberazione degli ostaggi, finora Netanyahu non ha presentato alcun obiettivo strategico e piano postbellico per la fine della campagna che ha ridotto Gaza in macerie e lasciato Israele sempre più isolato a livello internazionale. Tuttavia, ha promesso che lo Stato ebraico manterrà il controllo di sicurezza per tutto il tempo necessario, senza indicare un orizzonte temporale. Immagini satellitari pubblicate dal Washington Post dimostrano che le Idf stanno fortificando un corridoio strategico che taglia l’enclave palestinese in due, prendendo il controllo dell’area e costruendo avamposti militari in quello che secondo diversi analisti ed esperti fa parte di un progetto per dividere Gaza in cantoni separati, più facili da controllare.
L’analisi del Washington Post si concentra sul “corridoio Netzarim”, una strada lunga circa sei chilometri che si estende dal confine israeliano fino al mare, dividendo l’enclave palestinese lungo una linea a sud di Gaza City e appena a nord del Wadi Gaza. L’area del corridoio è stata al centro della prima fase dell’offensiva israeliana, quando le Idf hanno intimato alla popolazione civile di fuggire verso sud per non essere coinvolti nei bombardamenti e nell’imminente invasione. Le immagini satellitari rivelano che negli ultimi mesi Israele ha spianato la strada e demolito edifici per istallare tre avamposti permanenti. Secondo un’analisi di Adi Ben-Nun, geografo informatico dell’Università ebraica di Gerusalemme, circa 750 edifici sono stati rasi al suolo per creare una “buffer zone” che si estende per almeno 500 metri su entrambi i lati della strada.
L’Idf non ha commentato, limitandosi a dire di non poter rispondere a domande di questo tipo su un conflitto ancora in corso. Esperti militari sostengono che l’operazione faccia parte di un rimodellamento della geografia di Gaza, su larga scala e a lungo termine. Una strategia che richiama i piani israeliani del passato (prima del disimpegno del 2005), che prevedevano la divisione dell’enclave palestinese in territori separati da checkpoint, buffer zone e insediamenti ebraici.
Il controllo del corridoio Netzarim permette alle Idf di entrare e uscire più rapidamente in tutta la parte settentrionale e centrale della Striscia, e di mantenere il controllo sul flusso degli aiuti umanitari e sul movimento degli sfollati. Una flessibilità operativa che l’Idf considera necessaria per impedire ai miliziani di Hamas di riorganizzarsi, cosa che tuttavia sta accadendo proprio nell’area di Jabalia (vicino a Gaza City), dove i soldati israeliani stanno affrontando alcuni dei combattimenti più feroci dall’inizio del conflitto nonostante gli annunci di aver “ripulito” la zona da Hamas.
Le manovre dell’Idf fanno pensare che il governo Netanyahu si stia preparando alla rioccupazione permanente dell’enclave palestinese, con una governance paragonabile a quella della Cisgiordania ma senza coinvolgere l’Autorità nazionale palestinese (Anp). Una scelta quest’ultima necessaria per assicurarsi di separare nettamente i destini dei due territori, impendendo che la discussione dello status di Gaza diventi l’occasione per riaprire le discussioni sulla creazione dello Stato palestinese.
La Cisgiordania, regione geograficamente più complessa, vasta e popolata di Gaza, attualmente è suddivisa in territori soggetti a livelli differenziati di controllo: Area C, controllo esclusivo dell’esercito israeliano; Area B, controllo congiunto delle Idf e dell’Anp; Area A, amministrazione autonoma dell’Anp. Tuttavia, anche se questa divisione risale agli Accordi di Oslo, oggi in ognuna di queste aree sono presenti insediamenti israeliani illegali e le Idf hanno il controllo di tutti i collegamenti stradali, oltre a esercitare il diritto di intervenire ovunque in Cisgiordania ogni volta che lo ritengono necessario.
Le operazioni nel corridoio Netzarim, insieme a quelle intorno a Rafah per prendere il pieno controllo del confine Gaza-Egitto (il cosiddetto “corridoio Philadelphi”), alimentano i sospetti che Israele abbia intenzione di isolare l’enclave palestinese dal resto del mondo per rioccuparla. Una posizione inaccettabile per gli Stati Uniti e la Lega Araba, che giovedì scorso si è riunita a Manama, in Bahrein, per firmare una dichiarazione ufficiale in cui si chiede lo schieramento di una forza di peacekeeping delle Nazioni Unite in Cisgiordania e a Gaza finalizzata alla soluzione a due stati.
«La guerra a Gaza è una ferita aperta che rischia di infettare l’intera regione» ha detto il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, presente al vertice. «L’unico modo permanente per porre fine al ciclo di violenza e instabilità è la soluzione a due Stati, in cui Israele e Palestina vivano fianco a fianco in pace e sicurezza, con Gerusalemme capitale di entrambi gli Stati». «Israele occuperà Gaza, includendo completamente e integralmente gli insediamenti ebraici nell’intera enclave e incoraggiando l’emigrazione volontaria dei suoi abitanti», ha detto ieri il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir, leader del partito nazional-religioso di estrema destra del governo Netanyahu, annunciando che intende trasferirsi a Gaza.
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