La missione del premier ungherese e l’incontro con il presidente ucraino hanno ribadito le posizioni divergenti sul conflitto. L’atteggiamento del suo paese verso l’invasione è stato ambiguo sin dai primi mesi
Il giorno dopo l’inizio ufficiale della presidenza di turno dell’Ungheria del Consiglio dell’Unione europea, il presidente ungherese Viktor Orbán ha incontrato a Kiev il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
Con tutte le formalità diplomatiche del caso, i due hanno ribadito le posizioni divergenti sul conflitto. Orbán ha sottolineato l’urgenza di raggiungere subito un «cessate il fuoco», mentre Zelensky ha risposto che il suo paese, martoriato dalla guerra, cerca una «pace giusta».
Le parole mostrano due punti di vista molto distanti, dove il filorusso Orbán si affida a formulazioni che fanno rima con quelle di Putin, che chiede da mesi la cessazione delle ostilità «sulle linee attuali», ovvero con parte del territorio ucraino occupato. Richieste irricevibili per l’Ucraina.
L’atteggiamento dell’Ungheria verso l’invasione è stato ambiguo sin dai primi mesi di guerra. Mentre i governi europei si affrettavano a sanzionare la Russia e la comunità occidentale forniva armi all’Ucraina, l’Ungheria si è tirata fuori da qualsiasi possibilità di vederla coinvolta nella fornitura di armi a Kiev.
Da allora Orbán ha esercitato la sua tradizionale ambiguità tattica, ora mettendosi di traverso rispetto alle richieste dell’Ue e della Nato, ora accomodandole dopo avere ottenuto qualcosa in cambio.
L’ambivalenza della posizione ungherese ha origine nello stesso partito guidato dal premier, Fidesz, fortemente antieuropeista e filorusso, partito alla guida di un paese membro dell’Unione europea in un momento storico in cui i rapporti fra Europa e Russia sono ai minimi storici.
Un momento di tensione fra Orbán e l’Unione risale al 2022, quando a febbraio Moldavia e Ucraina avevano chiesto di diventare membri dell’Ue, ottenendo poi lo status ufficiale di candidate a giugno dello stesso anno. L’unico paese che si è opposto all’inizio dei negoziati per l’ingresso era proprio l’Ungheria, con lo stesso premier che dichiarava su Facebook di non volersi schierare dalla «parte sbagliata della storia».
Ostaggi di Budapest
Nei mesi passati i paesi europei sono stati spesso ostaggio della politica ungherese. Basta pensare al veto posto sull’erogazione di 5 miliardi di euro dal fondo di assistenza per l’Ucraina per il 2024, o alle difficoltà incontrate dall’Ue nel trovare un accordo sull’uso degli asset russi congelati per la creazione dello stesso fondo. Accordo trovato in seguito solo dopo che l’Ungheria ha ottenuto alcune concessioni.
A maggio il ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjarto, ha detto che il quattordicesimo pacchetto di sanzioni europee è contrario agli interessi economici nazionali ed è una fonte di rischio per gli approvvigionamenti energetici del paese.
Simili osservazioni sono state fatte per la proposta di un embargo europeo sulle importazioni di petrolio dalla Russia. Durante un consiglio dei ministri degli Esteri, il lituano Gabrielius Landsbergis ha notato che il 41 percento delle risoluzioni dell’Ue sull’Ucraina sono state bloccate dall’Ungheria, che sistematicamente chiede qualcosa in cambio.
I ricatti politici non hanno risparmiato la Nato. In occasione dell’elezione del nuovo Segretario generale a giugno, Orbán ha posto delle condizioni per il suo appoggio alla nomina di Mark Rutte, garantito a patto che i militari ungheresi non prendessero parte a attività Nato su territorio ucraino e che non venissero utilizzati fondi ungheresi per sostenerle.
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