L’esplosione dell’ospedale di Gaza e l’appello di Hezbollah scatenano decine di manifestazioni in Libano, Giordania, Tunisia, Cisgiordania e Iran
«Che mercoledì sia un giorno di rabbia senza precedenti», ha detto il gruppo paramilitare libanese Hezbollah dopo il bombardamento dell’ospedale al Ahli a Gaza martedì sera, invitando i sostenitori a scendere in piazza per esprimere la rabbia contro Israele e contro la visita del presidente Joe Biden a Tel Aviv. Secondo Hezbollah l’attacco all’ospedale «rivela il vero volto criminale di questa entità e del suo sponsor, gli Stati Uniti, che hanno la responsabilità diretta e completa di questo massacro».
Dopo l’appello di martedì sera centinaia di manifestanti stanno protestando in Libano, Giordania, Tunisia, Cisgiordania e Iran mirando soprattutto alle ambasciate. È la seconda volta dal 7 ottobre che viene indetto il giorno della rabbia, la prima volta era stato proclamato da Hamas venerdì 13 ottobre.
Il Libano al centro delle rivolte
In Libano le proteste sono iniziate martedì sera in varie città. Centinaia di persone si sono trovate davanti all’ambasciata americana ad Awkar e hanno protestato lanciando pietre e dando fuoco a un edificio dopo la mezzanotte. Altri si sono radunati di fronte all’ambasciata francese a Beirut. Ci sono state manifestazioni anche nelle città meridionali di Sidone e Tiro.
Le proteste sono continuate oggi, in particolare a Beirut e ad Awkar. «Ci sono decine di migliaia di nostri sostenitori pronti con il dito sul grilletto per andare al martirio. A Biden, Netanyahu e agli ipocriti europei diciamo: attenzione. Qualsiasi errore commettiate con la nostra resistenza riceverete una risposta fragorosa più forte della vostra», ha detto oggi Hashem Safieddine, il capo del consiglio esecutivo di Hezbollah durante una manifestazione nella periferia di Beirut. L’allerta nel paese è alta. Il Dipartimento di stato americano questa mattina ha autorizzato la partenza volontaria e temporanea dei familiari del personale governativo americano. Anche l’Arabia Saudita ha invitato coloro che si trovano in Libano a «lasciare immediatamente il territorio».
Anche in Cisgiordania le proteste sono iniziate ieri sera. I manifestanti hanno chiesto le dimissioni del presidente palestinese Mahmoud Abbas, considerato troppo poco critico nei confronti di Israele. Il fulcro delle proteste è stato piazza al-Manara, a Ramallah, ma scontri con le forze di sicurezza sono scoppiati anche nelle città di Nablus, Tubas e Jenin. Osama Hamdan, il portavoce di Hamas, ha incitato i palestinesi residenti in Cisgiordania a «sollevarsi contro il nemico sionista e a scontrarsi con esso in tutte le città, i villaggi e i campi». Secondo l’agenzia palestinese Wafa, tra ieri notte e oggi sono stati arrestati 65 palestinesi in quella zona.
In Giordania oggi circa 5mila manifestanti si sono radunati davanti all’ambasciata israeliana ad Amman con l’intento di assaltarla. In queste ore le forze di sicurezza stanno cercando di disperdere la folla. Già ieri in serata i manifestanti avevano tentato l’assalto. Le ambasciate sono state l’obiettivo principale anche a Teheran, in Iran, dove, secondo il notiziario statale Rna, i manifestanti urlavano «morte alla Francia, all’Inghilterra, all’America e ai sionisti». Anche altre città iraniane, Esfahan e Qom, sono state interessate dagli scontri.
La situazione in Tunisia ed Egitto
In Tunisia ci sono state, secondo l’agenzia di stampa statale Tap, «proteste di massa» martedì e stanno continuando anche in queste ore. Ieri in migliaia si sono trovati su Avenue Bourguiba, a Tunisi, davanti all’ambasciata francese a sostegno del popolo palestinese. La folla ha chiesto l’espulsione dal paese dell’ambasciatore francese e di quelli dei paesi occidentali che giustificano Israele. Oggi centinaia di studenti, sindacalisti e attivisti si sono nuovamente trovati davanti all’ambasciata.
Instanbul e Ankara sono state il centro delle proteste in Turchia. Secondo l’Agence France Press, 63 persone sono rimaste ferite durante gli scontri davanti al consolato israeliano a Istanbul nella giornata di ieri. Le forze di sicurezza hanno utilizzato cannoni ad acqua e spray al peperoncino per disperdere i manifestanti, che però si sono fatti comunque strada con la forza nei pressi del consolato israeliano.
La rivolta del giorno della rabbia non ha risparmiato l’Egitto. «Se chiedo al popolo egiziano di scendere in piazza, saranno milioni», ha detto il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi. In queste ore in migliaia stanno manifestando in diverse città del paese.
Secondo il Guardian, ci sono state proteste anche a Ta'izz, nel sud ovest dello Yemen, nella capitale marocchina Rabat e in quella irachena Baghdad. In particolare, in Iraq i manifestanti hanno cercato di attraversare un ponte che conduce a un’area in cui si trovano uffici governativi e ambasciate, ma le forze di sicurezza li hanno bloccati.
Intanto, le ambasciate di Israele e Stati Uniti a Buenos Aires sono state evacuate dopo aver ricevuto delle minacce via mail: «Bomba dall’ambasciata. Ebrei vi uccidiamo tutti». Un’operazione di polizia è attualmente in corso per verificare la presenza di materiale esplosivo.
La situazione è più tranquilla in Europa, solo a Berlino ci sono state tensioni. Una sinagoga sulla Brunnenstrasse è stata attaccata con bombe molotov in mattinata senza causare danni e ci sono stati scontri nella notte tra alcuni musulmani e la polizia nei quartieri di Neukoelln, Kreuzberg e presso la storica Porta di Brandeburgo. Due agenti sono rimasti feriti.
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