- È un messaggio in bottiglia quello che papa Francesco ha lasciato questa mattina ai giovani riuniti nella palestra della scuola san Dionigi in Atene. La cultura classica torni al centro delle loro aspirazioni.
- Il pontefice paragona i giovani migranti a Telemaco, figlio di Ulisse, che intraprende una viaggio alle radici paterne per innestare il suo futuro: «Non lasciatevi paralizzare dalle paure, sognate in grande! E sognate insieme!»
- L’affondo più duro è quello verso i social, che negano le relazioni umane dando un’illusione di socialità. Il papa ha invitato i giovani a riconsiderare la dimensione fisica dei loro legami
È un messaggio in bottiglia quello che papa Francesco ha lasciato questa mattina ai giovani riuniti nella palestra della scuola san Dionigi in Atene, al termine del suo 35esimo viaggio a Cipro e in Grecia.
Crisi di fede, solitudine, social e coraggio i temi da lui toccati in un quadro generazionale che, ora più che mai, risente della fragilità esacerbata dalla pandemia. Eppure, per il papa il modo per uscirne non è fuori, ma nelle radici di quella terra, pregne di filosofia e tradizione classica.
La telemachía dei migranti
Il papa parla utilizzando un lessico classico. Cita la filosofia nata, come la fede, dallo «stupore» per il mondo: «Il cuore della fede non è un’idea o una morale, ma una realtà, una realtà bellissima che non dipende da noi e che lascia a bocca aperta: siamo figli amati di Dio!» dice, e il suo è un invito diretto ad Aboud Gabro, il ragazzo 18enne partito con la famiglia dalla Siria stretta nella morsa della guerra civile: «Avevo solo 9 anni e non capivo niente, a parte la paura di nostra madre, che ci abbracciava, e l’angoscia di mio padre, che dopo aver raccolto poche cose in una valigia, aspettò per ore vicino alla porta sperando che Dio ci aiutasse, perché tutto volgeva al peggio. La fine di quel giorno ci trovò abbracciati e in preghiera, vivi ma consapevoli di una nuova durissima realtà davanti a noi» ricorda con la voce rotta da una tragedia che ancora conta vittime.
La sua storia pesa sull’emergenza politica, che ai confini dell’Ue ha preso la forma di sterminate tendopoli fra le isole dell’Egeo settentrionale, installate con il finanziamento dell’Europa. Soltanto a Lesbo sono stanziati 2.487 rifugiati, secondo le cifre stilate dall’Alto commissariato Onu per i rifugiati, sebbene la maggior parte di loro non contempli la Grecia come punto d’approdo, ma di passaggio.
La storia di Aboud colpisce il papa, che lo paragona a Telemaco, il figlio di Ulisse che si mette alla ricerca del proprio padre. Attraverso lui, Francesco invita a superare le reali paure: «La salvezza sta in mare aperto, sta nello slancio, nella ricerca, nell’inseguire i sogni, quelli veri, quelli ad occhi aperti, che comportano fatica, lotta, venti contrari, burrasche improvvise. Ma non lasciarsi paralizzare dalle paure, sognare in grande! E sognare insieme! Come per Telemaco, ci sarà chi cercherà di fermarvi. Ci sarà sempre chi vi dirà: lascia perdere, non rischiare, è inutile. Sono gli azzeratori di sogni, i sicari della speranza, gli inguaribili nostalgici del passato».
Fraternità da stadio
Papa Francesco inserisce il suo accorato appello ai giovani dentro la massima delfica «Conosci te stesso» e quella dialettale «l’amico è un altro me» per ricordare loro che non c’è mai conquista di civiltà nello spazio di esclusione dell’altro.
Da qui, il pontefice esprime tutta la sua perplessità per quelle cause giovanili impostate come unidirezionali: «Spesso negli stadi, nelle manifestazioni, nelle strade si espongono striscioni per supportare la propria parte, le proprie idee, la propria squadra, i propri diritti» ammette, opponendovi, invece, l’afflato dei giovani incontrati nel suo recente viaggio in Slovacchia: «Lo striscione di quei giovani diceva una cosa nuova: che è bello sentirsi fratelli e sorelle di tutti, sentire che gli altri sono parte di noi, non gente da cui prendere le distanze. Sono contento di vedervi qui tutti insieme, uniti pur provenendo da Paesi e storie tanto diverse! Sognate la fraternità!» è il suo appello.
Il riferimento è, ancora una volta, all’enciclica Fratelli Tutti, stella maestra del suo viaggio a Cipro, lì dove a ridosso della «green zone» che divide l’Europa dai territori occupati dalla Turchia nel 1974, la fraternità è una sfida.
Da ciò, il compito alle nuove generazioni di sdoganare quelle che il tempo cronicizza come resistenze: «Servire gli altri è la via per conquistare la gioia! Dedicarsi agli altri non è da perdenti, è da vincenti; è la via per fare qualcosa di veramente nuovo nella storia. Ho saputo che in greco “giovane” si dice “nuovo” e nuovo significa giovane».
I prigionieri del cellulare
Davanti a una platea di giovani, papa Francesco torna a parlare del mondo digitale, conservando il tono critico già espresso, in forma embrionale, nella Fratelli tutti: «Non accontentarti di incontri virtuali, cerca quelli reali, soprattutto con chi ha bisogno di te: non cercare la visibilità, ma gli invisibili» dice il papa alla 26enne Ioanna Vidale: «Tanti oggi sono molto social ma poco sociali: chiusi in sé stessi, prigionieri del cellulare che tengono in mano.
Ma sullo schermo manca l’altro, mancano i suoi occhi, il suo respiro, le sue mani. Lo schermo facilmente diventa uno specchio, dove credi di stare di fronte al mondo, ma in realtà sei solo, in un mondo virtuale pieno di apparenze, di foto truccate per sembrare sempre belli e in forma. Che bello invece stare con gli altri, scoprire la novità dell’altro!».
Secondo cifre Ue, in Grecia la disoccupazione giovanile rasenta il 24,5 per cento. In uno scenario così critico, quello virtuale può diventare un binario parallelo dove transitano risentimento e frustrazione. Il papa avverte e dà la medicina: ritornare alle relazioni significa riappropriarsi della realtà. E di se stessi.
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