- Il capitalismo è diventato l’ambiente dentro il quale viviamo e ci muoviamo. In questa povertà di pensiero critico, si comprendono il valore e la portata storica del discorso di papa Francesco sull’economia, che resta uno dei pochi luoghi dove si può incontrare una riflessione critica sul capitalismo.
- L’idea di mercato che nasce da una parte della tradizione classica, della quale Francesco è interprete e continuatore creativo, è quella di una grande cooperazione intenzionale. «La parola “solidarietà” si è un po’ logorata e a volte la si interpreta male, ma indica molto di più di qualche atto sporadico di generosità».
- Il consumo è il grande protagonista della nostra era. La prevalenza del consumo sul lavoro non è un fatto inedito della nostra civiltà, perché accomuna tutte le civiltà decadenti.
Questo inizio di Ventunesimo secolo sarà ricordato anche per la fine della critica al capitalismo, che invece aveva caratterizzato buona parte del Ventesimo. Il capitalismo è diventato l’ambiente dentro il quale viviamo e ci muoviamo, e vi siamo talmente immersi da non avere più la capacità culturale di guardarlo per analizzarlo, criticarlo, rivolgergli le domande fondamentali dell’equità, della giustizia, della verità.
Anche le varie forme d’impresa responsabile, o la stessa economia del settore non profit, si concepiscono spesso all’interno dello stesso sistema capitalistico e sono a questo funzionali e sempre più essenziali.
In questa povertà di pensiero critico, si comprendono il valore e la portata storica del discorso di papa Francesco sull’economia, che resta uno dei pochi luoghi dove si può incontrare una riflessione critica sul capitalismo. La prima parola economica del suo pontificato papa Bergoglio la scrisse la sera del 13 marzo 2013, quando scelse il suo nome. Francesco è molti messaggi assieme, ma è anche un messaggio all’economia.
La prima scuola di economia nel medioevo fiorì dai francescani (Pietro Giovanni Ulivi, Duns Scoto, Angelo Clareno), e le prime banche popolari europee nacquero dai francescani: i Monti di Pietà, centinaia di istituti di credito nati tra il 1458 (Ascoli) e il concilio di Trento. Francesco d’Assisi non è solo povertà; è anche ricchezza, sebbene vista dalla prospettiva paradossale e profetica del Vangelo.
Papa Francesco ha da subito attribuito una grande importanza all’economia. Non a caso è il primo papa che ha lanciato nel 2019 un movimento mondiale di giovani economisti e imprenditori, che avrà il 22-24 settembre ad Assisi un suo momento in presenza molto importante. Ripercorriamo le tre tappe essenziali dell’economia di Papa Francesco.
Una nota di fondo. All’inizio papa Bergoglio aveva uno sguardo problematico e sostanzialmente negativo sull’economia. L’economia che uccide è stata la prima sua frase famosa sull’economia. Oggi Francesco riconosce di più l’ambivalenza dell’economia e quindi la convivenza di luce e ombra, di grano e zizzania, fino a parlare dell’economia del «buon samaritano» che cresce accanto «all’economia di Giuda» (discorso a Confindustria del 12 settembre 2022).
Uno sguardo più positivo che ispira tutti i suoi messaggi ai giovani di Economy of Francesco, uno sguardo essenziale per ogni giovane e per tutti; non si curano le patologie dell’economia che uccide senza una idea buona dell’economia che fa vivere.
Il messaggio radicale
All’indomani della sua elezione, scrive la Evangelii Gaudium, il primo documento teologico di Francesco, una sorta di mappa del suo pontificato che riguardava direttamente l’economia. Una esortazione che contiene un invito forte a cambiare direzione nella vita economica.
Una presa di posizione molto dura nei confronti dell’attuale capitalismo, e per questo si tentò di depotenziarne la portata: «La EG va letta attraverso lo sguardo di quel professore-vescovo-papa nato e cresciuto in Argentina» (Michael Novak sul Corriere della Sera).
Papa Francesco legge il capitalismo del Ventunesimo secolo come una economia dell’esclusione: «Oggi dobbiamo dire no a un’economia dell’esclusione e della iniquità. Questa economia uccide». È forte, infatti, la tendenza generale a trasformare i beni comuni in beni di club, dove la differenza tra i due sta proprio nell’esclusione. I beni comuni – dalla terra all’acqua – sono tali proprio perché non possono essere esclusi a nessuno, perché sono beni di tutti.
La crescente cultura della privatizzazione, invece, non fa altro che togliere beni comuni alla gente, soprattutto ai più poveri, che dovrebbero avere almeno i beni comuni, non riuscendo ad avere molti beni privati essenziali: la privatizzazione dei beni comuni penalizza sempre di più i poveri.
Un punto importante della Evangelii Gaudium è la critica all’idea fondamentale degli effetti non-intenzionali del mercato, da Adam Smith in poi nota come teoria della “mano invisibile”.
La grande tradizione classica del bene comune, quella di Aristotele, Tommaso, dei francescani fino a Genovesi o a Toniolo, non ha mai pensato al bene comune come a una faccenda principalmente di effetti positivi inintenzionali di azioni individuali cercanti il proprio interesse; l’ha invece associata alle virtù private e pubbliche, e quindi alle intenzioni di bene.
L’idea di mercato che nasce da questa tradizione classica, della quale Francesco è interprete e continuatore creativo, è quella di una grande cooperazione intenzionale, un esercizio di virtù sociali, una faccenda comunitaria e personalista: «La parola “solidarietà” si è un po’ logorata e a volte la si interpreta male, ma indica molto di più di qualche atto sporadico di generosità». Per questa ragione, «non possiamo più confidare nelle forze cieche e nella mano invisibile del mercato».
Una tesi centrale della Evangelii Gaudium emerge già dai primissimi paragrafi del documento: «Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice ed opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata».
Il consumo è il grande protagonista della nostra era. La prevalenza del consumo sul lavoro non è un fatto inedito della nostra civiltà, perché accomuna tutte le civiltà decadenti.
Le culture del Diciannovesimo e Ventesimo secolo, ad esempio, non sono state culture del consumo ma culture del lavoro, della terra e del risparmio. Il boom dei consumi del Dopoguerra di molti paesi europei ha prodotto miracoli economici e civili perché era un consumo che nasceva dal lavoro, e dalla sua tipica fatica buona.
L’età attuale, invece, ha intronizzato il consumo come suo nuovo sovrano. Il lavoro vero della gente è uscito di scena, e la produzione dei beni e delle merci è sempre più eclissata, lontana, invisibile: «I meccanismi dell’economia attuale promuovono un’esasperazione del consumo, ma risulta che il consumismo sfrenato, unito all’iniquità, danneggia doppiamente il tessuto sociale».
La Evangelii Gaudium, invece, ricorda la priorità del lavoro, un lavoro che è tema dominante di questi dieci anni di pontificato: «Nel lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, l’essere umano esprime e accresce la dignità della propria vita.
Il giusto salario permette l’accesso adeguato agli altri beni che sono destinati all’uso comune». La storia dell’Europa (soprattutto di quella del sud) ci mostra che quando nelle città queste competizioni posizionali tramite i beni crescevano oltre un “punto critico” iniziava la loro decadenza, prima produttiva, poi sociale e politica.
Papa Francesco denuncia questo rischio: «La crisi mondiale che investe la finanza e l’economia manifesta i propri squilibri e, soprattutto, la grave mancanza di un orientamento antropologico che riduce l’essere umano ad uno solo dei suoi bisogni: il consumo».
Infine, un messaggio forte all’economia: Il tempo è superiore allo spazio. Il nostro sistema di sviluppo e di crescita è tutto schiacciato sul qui e ora, e così rischia di spezzarsi il legame che unisce tra di loro le generazioni.
Ridare priorità al tempo significherebbe, oggi, usare le risorse non rinnovabili della terra sapendo che le abbiamo ereditate dai padri e che dobbiamo lasciarle in eredità ai figli. Rimettere al centro il tempo significa allora giudicare le scelte di politica economica dalla prospettiva di un bambino, o di una bambina, che oggi sta nascendo in un villaggio africano o asiatico.
Laudato si’
La Laudato si’ è l’enciclica di papa Francesco che ha avuto l’impatto maggiore nell’opinione pubblica mondiale. Nella sua essenza è un grande discorso concreto di bene comune. Oggi, soprattutto in occidente, non riusciamo a vedere la questione etica del mondo proprio perché ci manca la grande categoria di bene comune – e quindi anche quella strettamente collegata di beni comuni, relegata nelle ultime pagine dei manuali di economics, ancora tutta centrata sui “beni privati” – la grande assente della nostra civiltà dei consumi e della finanza.
Eppure la nostra epoca ha conosciuto e conosce ancora nella propria carne che cosa siano i mali comuni: guerre mondiali, pericolo atomico, pandemie, il terrorismo globalizzato. Abbiamo imparato che cosa significhi essere anche un corpo quando cadevano e cadono ancora le bombe sulle case dei ricchi e su quelle dei poveri, quando la follia suicida omicida uccideva manager e operai, quando la peste (e il virus) colpivano il Griso, Fra Cristoforo e Don Rodrigo. Ma dall’esperienza del male comune non abbiamo imparato la sapienza del bene comune.
Il grande tema che ispira tutto l’impianto dell’enciclica è il rapporto uomo-terra, letto come relazione di reciprocità con pari dignità, reciprocità tra esseri umani e reciprocità tra noi e la terra. Una sola e la custodia: custodia dell’altro uomo (Caino: «Sono forse io il custode di mio fratello?»), e custodia della terra. Dove non c’è la custodia il fratricidio prende il posto della fraternità e la terra viene macchiata dal sangue. Ed è per questa ragione che «l’ecologia integrale» di cui parla la Laudato si’ può nascere solo da un «umanesimo integrale».
Alcuni commentatori, sedicenti amanti del libero mercato – senza spiegare che cosa intendano né per «mercato» né per «libero» – hanno scritto e scrivono che papa Francesco è contro il mercato e contro la libertà economica, e quindi antimoderno e magari marxista. In realtà, se leggiamo il testo senza occhiali ideologici, troviamo cose molto importanti sul mercato e sull’economia. Francesco ci ricorda che il mercato e l’impresa sono preziosi alleati del bene comune se non diventano un tutto. Il mercato e una dimensione della buona vita sociale, essenziale oggi a ogni bene comune. Ma le parole delle economie non sono né le uniche né le prime.
Il buon samaritano
Un terzo luogo dove guardare per capire l’economia di Francesco è la Fratelli tutti (2020). Fratelli tutti affida la fondazione biblica del suo discorso quasi esclusivamente alla parabola del buon samaritano del Vangelo di Luca. Una scelta importante e forte, che chiarisce subito che la fraternità di Francesco è fraternità universale centrata sulla vittima.
Francesco sceglie di guardare il mondo accanto alle vittime, e da lì lo ama e lo giudica, fin dal suo primo viaggio che volle fare a Lampedusa. Anche a costo di trascurare altre dimensioni fondanti della fraternità, come la reciprocità. Una parabola non parla di fratelli di sangue, non nomina mai la parola fraternità per rivelarci la prossimità. «Chi è il mio prossimo?», è la domanda dello scriba che genera uno degli incipit più stupendi di tutta la letteratura: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico…».
L’anima di questo racconto sta nel contrasto tra prossimità e vicinanza: chi si china sulla vittima diventando suo prossimo, il samaritano, è il meno vicino alla vittima tra i passanti per quella strada, perché non giudeo e appartenente a un popolo scomunicato. Il levita e il sacerdote, coloro che in quel mondo erano gli addetti alla cura e all’assistenza, erano molto più vicini a quella vittima eppure passano oltre. Chi si si prende cura dell’uomo mezzo morto non lo fa perché era suo vicino ma perché decide di diventare prossimo.
Fratelli si nasce, prossimi si diventa scegliendo di diventarlo. Scrive Francesco: «Questa parabola è un’icona illuminante, capace di mettere in evidenza l’opzione di fondo che abbiamo bisogno di compiere per ricostruire questo mondo che ci dà pena.
Davanti a tanto dolore, a tante ferite, l’unica via di uscita è essere come il buon samaritano… Non c’è più distinzione tra abitante della Giudea e abitante della Samaria, non c’è sacerdote né commerciante; semplicemente ci sono due tipi di persone: quelle che si fanno carico del dolore e quelle che passano a distanza».
Il prossimo, il fratello e la sorella del Vangelo non sono il vicino. È questa una dimensione essenziale di questa nuova e diversa fraternità. In questo punto decisivo di Fratelli tutti il papa trova un alleato (nascosto) nel premio Nobel per l’economia l’indiano Amartya Sen, uno dei pensatori contemporanei più influenti e originali.
Dopo aver ricordato il rapporto che sussiste tra le tre grandi parole della democrazia moderna – libertà, uguaglianza, fraternità – Francesco entra poi direttamente in alcuni dei grandi temi della dottrina sociale della chiesa, del suo pontificato e dell’economia di oggi.
Il primo riguarda il rapporto tra proprietà privata e la destinazione universale dei beni. La chiesa ha sempre ricordato che il diritto alla proprietà privata dei beni è secondo rispetto ad un principio più fondativo, cioè che i beni che possediamo sono dono. Nel corso della storia dell’occidente la proprietà privata è cresciuta molto all’orizzonte, fino a essere dichiarata “sacra”, mentre la destinazione universale dei beni sì è progressivamente eclissata negli ordinamenti giuridici moderni.
Importante allora che il papa nel riporre al centro il principio di fraternità riponga accanto ad esso il principio di destinazione universale dei beni, perché mentre la proprietà privata è il principio cardine della libertà individuale, la destinazione universale è pietra angolare di un umanesimo della fraternità.
Legato a questo ristabilimento della priorità nell’ordine dei principi sui beni, c’è il discorso che troviamo nell’enciclica sugli imprenditori: «L’attività degli imprenditori effettivamente è una nobile vocazione orientata a produrre ricchezza e a migliorare il mondo per tutti».
Se i beni hanno una destinazione universale come vocazione primitiva e fondamentale, allora anche i beni dell’impresa, della finanza e quel bene particolare che si chiama talento imprenditoriale hanno una distinzione universale che precede l’uso per il solo benessere individuale.
Popolo, popolare e populismo
Altro tema, classico e nuovo di Francesco, è la distinzione tra popolo, popolare e populismo. Francesco qui è molto critico contro quei leader che si servono del popolo per il proprio successo invece di servire il popolo.
Ha parole durissime, che sono tra le parti più forti e vive del testo, dove non è difficile riconoscere il suo tipico genere letterario: «Il disprezzo per i deboli può nascondersi in forme populistiche, che li usano demagogicamente per i loro fini, o in forme liberali al servizio degli interessi economici dei potenti. In entrambi i casi si riscontra la difficoltà a pensare un mondo aperto dove ci sia posto per tutti, che comprenda in sé i più deboli e rispetti le diverse culture».
Francesco è molto duro con il populismo perché è un grande amante del popolo e vuole difenderlo dalle manipolazioni ideologiche: «I gruppi populisti chiusi deformano la parola “popolo”, poiché in realtà ciò di cui parlano non è un vero popolo. Infatti, la categoria di “popolo” è aperta. Un popolo vivo, dinamico e con un futuro è quello che rimane costantemente aperto a nuove sintesi assumendo in sé ciò che è diverso».
Questa enciclica segna anche la fine della dottrina della “guerra giusta”, che arrivava alla vigilia dell’invasione dell’Ucraina. Da anni si attendeva una parola chiara e forte su questo pezzo di dottrina cristiana che strideva troppo con le parole sulla pace di Francesco e di molti suoi predecessori.
E finalmente è arrivata: «Oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile “guerra giusta”. Mai più la guerra!». E in nota aggiunge: «Sant’Agostino, che elaborò un’idea della “guerra giusta” che oggi ormai non sosteniamo». Ci vuole la forza profetica di un papa-profeta per mettere in discussione persino San Agostino.
Due mercanti
Concludo con le ultime parole che Papa Francesco ha rivolto alla Confindustria, che riassume molte delle sue idee sull’economia: «Il buon samaritano poteva essere un mercante: è lui che si ferma sulla vittima, se ne prende cura, e poi lo affida a un altro mercante, un albergatore. Dentro una delle parabole più alte del Vangelo troviamo quindi due mercanti. E questo deve essere un messaggio stupendo per tutti voi. I “due denari” che il samaritano anticipa all’albergatore sono molto importanti: nel Vangelo non ci sono soltanto i trenta denari di Giuda. Per dirci che il denaro, lo stesso denaro, può essere usato, ieri e oggi, per tradire e vendere un amico o per salvare una vittima. Lo vediamo tutti i giorni, quando i denari di Giuda e quelli del samaritano convivono negli stessi mercati, nelle stesse borse valori, nelle stesse piazze. L’economia cresce e diventa umana quando i denari dei samaritani diventano più numerosi di quelli di Giuda».
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