- La Repubblica popolare cinese cerca nuovi sbocchi in un mondo dove gli Stati Uniti promuovono il decoupling o riportano anelli delle catene di approvvigionamento globali su territori vicini o comunque “amici”.
- Per la “fabbrica del mondo” queste tendenze costituiscono una sfida enorme, perché la sua capacità produttiva, ingigantita dagli iper investimenti dei decenni passati, è troppo più grande della domanda interna.
- L’improvviso smantellamento della politica “contagi zero” risponde soprattutto alle priorità economiche individuate dalla leadership uscita dal XX Congresso del partito comunista.
«La politica industriale ha subìto una svolta: mentre prima era incentrata sull’efficienza, ora è focalizzata sulla sicurezza e sulla competizione strategica».
Zhou Xian, ricercatore del Centro di ricerca sullo sviluppo del governo di Pechino, ha riassunto così il cambiamento epocale che costringe la Repubblica popolare cinese a cercare nuovi sbocchi in un mondo dove gli Stati Uniti promuovono il decoupling, la separazione tecnologica dalla Cina e gli altri paesi avanzati puntano sul reshoring e sul friendshoring, cioè a riportare anelli delle catene di approvvigionamento globali su territori vicini o comunque “amici”.
Per la “fabbrica del mondo” (circa un terzo delle merci sfornate ogni anno sul pianeta) queste tendenze costituiscono una sfida enorme, perché la sua capacità produttiva, ingigantita dagli iper investimenti dei decenni passati, è troppo più grande della domanda interna.
Dunque, malgrado la strategia lanciata da Xi sia quella della “doppia circolazione interna e internazionale” (guónèi guójì shuāng xúnhuán), a causa delle ripercussioni della pandemia e delle tensioni geopolitiche la Cina nell’immediato dovrà anzitutto riprendere a investire nelle global supply chains, per mantenere un ruolo centrale al loro interno e frenare gli impulsi al decoupling.
«Le compagnie cinesi devono spingersi di più all’estero. Altrimenti, rischiamo di perdere la leadership nelle reti globali di produzione», ha spiegato Zhou in un’intervista al quotidiano shanghaiese The Paper.
Allo stesso scopo il governo ha annunciato di voler facilitare gli investimenti stranieri in Cina.
Covid declassato
L’improvviso smantellamento della politica “contagi zero” risponde soprattutto alle priorità economiche individuate dalla leadership uscita dal XX Congresso del partito comunista.
E ieri l’esecutivo, dopo aver declassato il Covid-19 a “malattia infettiva di classe B”, ha reso noto che dall’8 gennaio 2023 (dopo quasi tre anni di isolamento) la Cina riaprirà a tutti, senza restrizioni.
Verranno ripristinati i collegamenti aerei internazionali e ai visitatori verrà richiesto solo un test Pcr all’ingresso. I manager delle compagnie cinesi si stanno imbarcano (soprattutto alla volta dell’Europa) per cercare di recuperare i clienti persi in quasi tre anni di chiusure.
La scorsa settimana, la Commissione centrale per gli affari economici e finanziari guidata dal principale consigliere economico di Xi, il vice premier Liu He, ha suggerito il modello di sviluppo da seguire: quello che combina tecnologie internazionali, produzione cinese e mercato globale.
La stessa agenzia ha promesso di attirare più investimenti stranieri a cui dare maggiore accesso al mercato cinese, sempre con l’obiettivo di mantenere la Cina agganciata alla cooperazione globale su tecnologia e ricerca.
La Cina che torna a respirare scommette sulla collaborazione con l’Unione europea. Dopo la visita del mese scorso a Pechino del cancelliere tedesco, Olaf Scholz – che si è portato dietro gli amministratori delegati delle maggiori multinazionali teutoniche – Xi Jinping attende per l’inizio dell’anno nuovo Emmanuel Macron.
In una conferenza stampa di fine anno Wang Yi ha sostenuto che i due leader intendono imprimere «una maggiore autonomia strategica» all’Ue che, secondo il ministro degli esteri cinese, «è la prova che la Cina e l’Europa sono partner, non rivali, e che rappresentiamo un’opportunità l’una per l’altra, non una minaccia».
Tempi duri a Wall Street
Sulle relazioni sino-russe Wang ha sostenuto che «mentre alcuni paesi stanno cercando di far rivivere la mentalità della Guerra fredda e fabbricare la falsa narrazione della democrazia contro l’autoritarismo, Cina e Russia approfondiranno la fiducia reciproca strategica e la cooperazione, cementando il loro partenariato strategico globale».
All’inizio del nuovo anno a Pechino è atteso anche Antony Blinken, il segretario di Stato che ha il compito di dare un seguito al lungo faccia a faccia tra Xi e il presidente Usa, Joe Biden, del 14 novembre scorso a Bali.
L’obiettivo di Pechino è quello di mantenere aperte le linee di comunicazione tra le rispettive leadership politiche e militari. Secondo Wang, «le relazioni Cina-Usa sono precipitate in serie difficoltà perché gli Stati Uniti hanno continuato ostinatamente a vedere la Cina come il loro principale concorrente e a impegnarsi in un palese blocco, repressione e provocazione della Cina».
In questo senso a Pechino leggono anche la legge appena approvata dal Congresso Usa per rendere più rapido il delisting, l’espulsione da Wall Street delle compagnie cinesi.
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