In Russia è in costruzione un totalitarismo che tende a estroflettersi verso ovest perché tale è la sua natura. Contrastarlo richiede una strategia ben più complessa che aumentare la produzione bellica e confidare in sanzioni-colabrodo, cui l’Italia ha sacrificato (inutilmente?) interessi ingenti
Poiché la guerra in Ucraina sarà un tema dominante della campagna elettorale, da qui a giugno ascolteremo spesso la frase “bisogna trattare!”, scandita con tono grave ed educatamente disgustato, a lasciar intendere una superiorità morale che esime dallo spiegare che cosa occorra negoziare e come.
Premesso che quanto prima si arrivi a un cessate il fuoco tanto meglio, andrebbe tuttavia tenuto a mente il recentissimo “documento programmatico” del Consiglio mondiale del popolo russo, presieduto da Kirill, patriarca di Mosca e di «tutte le Russie». Si intitola “Il presente e il futuro del mondo russo” e si pretende «ordine rivolto alle autorità legislative ed esecutive della Russia», formula imperativa che testimonia la familiarità di Kirill con Vladimir Putin, l’alleato col quale il patriarcato ha fabbricato l’armamentario ideologico del nazionalismo gran-russo.
Guerra santa
Il testo ribadisce temi in parte già noti, ma sistematizzandoli aiuta a capire una complessità che si sottrae alle formule magiche di uso corrente in Italia. Le lezioni che potremmo trarne sono varie, e la prima dice che per arginare Putin, o più esattamente il nuovo imperialismo russo, occorrono una strategia e una consapevolezza finora drammaticamente mancate.
Secondo il “documento programmatico” l’invasione dell’Ucraina, «è una guerra santa», con la quale «la Russia e il suo popolo, difendendo lo spazio spirituale unificato della Santa Russia», assolvono un mandato divino: proteggere «il mondo dall'assalto del globalismo e dalla vittoria dell’occidente caduto nel satanismo». Deus vult.
Nel concreto l’obiettivo della «guerra santa» è ricondurre «l’intero territorio dell’Ucraina moderna (…) nella zona di influenza esclusiva della Russia. La possibilità dell’esistenza su questo territorio di un regime politico russofobico ostile alla Russia e al suo popolo, così come di un regime politico governato da un centro esterno ostile alla Russia, deve essere completamente esclusa». Dunque il governo ucraino deve sceglierlo Mosca.
Il mondo russo
Ma non è sufficiente riportare l’Ucraina alla condizione di stato vassallo per «sostenere e difendere il mondo russo». Che ha confini «significativamente più ampi dei confini statali dell’attuale Federazione russa e della grande Russia storica» e include come russi anche popoli che non avrebbero alcuna voglia di diventarlo.
«La riunificazione del popolo russo dovrebbe diventare uno dei compiti prioritari della politica estera russa. La Russia dovrebbe tornare alla dottrina della trinità del popolo russo, che esiste da più di tre secoli, secondo la quale il popolo russo è composto da grandi russi, piccoli russi (gli ucraini) e bielorussi, che sono rami di un unico popolo».
Di più: «ll concetto di “russo” comprende tutti gli slavi orientali – discendenti della Russia storica». Per ovviare alla nebulosità della categoria «slavo orientale», il “documento” ne affianca un’altra: se non sono russi in ragione della loro discendenza appartengono comunque al «mondo russo» (e come tali godranno dell’aiuto fraterno di Mosca) «tutti coloro per i quali la tradizione russa, i santuari della civiltà russa e la grande cultura russa rappresentano il più alto valore e significato della vita».
Il messaggio è per tutte le minoranze russo-parlanti sparse per l’Europa, dal Baltico alla Serbia. E in particolare per chi abita i territori in Georgia e in Moldavia nei quali i nazionalisti gran russi hanno proclamato la secessione. Una volta liquidata l’Ucraina, Mosca dovrà occuparsi di quei fratelli separati.
Istruzione e cultura
Siamo dunque a un progetto grandioso che non solo legittima il regime votandolo a una «spinta verso l’Europa» – un Drang nach westen che dovrà restituire alla Russia i suoi confini etnico-biologici – ma aspira a fondare un nuovo totalitarismo. Questo risulta chiaro quando il “documento” affronta i temi dell’istruzione e della cultura.
L’istruzione pubblica, si legge, deve essere «purificata da concetti e atteggiamenti ideologici distruttivi, principalmente occidentali (…) Un nuovo paradigma socio-umanitario basato sull’identità civile russa e sui valori spirituali e morali tradizionali russi deve essere sviluppato e introdotto nell’insegnamento delle discipline sociali e umanitarie».
Diventa perciò necessaria «una revisione critica delle teorie e delle scuole scientifiche occidentali (principalmente nelle scienze sociali e umane) per determinare se sono coerenti con la visione del mondo della Russia sovrana e se sono utili o distruttive per rafforzare l’autoconsapevolezza del popolo»; e una «revisione dell’insieme delle conoscenze umanitarie, delle teorie e dei concetti generalmente accettati sulla base della loro correlazione con il sistema di idee e valori morali della civiltà russa».
Grande spazio per i nuovi Zdanov: «Tutta la cultura russa, soprattutto quella di massa, deve lavorare per creare nella società il culto della famiglia, delle famiglie numerose, della fedeltà coniugale, della paternità responsabile e dell'attrattiva della vita familiare».
Nazionalismo rigido
Alla lunga può vincere un nazionalismo così rigido? È fuori tempo massimo, arcaico, esposto ai varchi aperti da internet. E soprattutto è controproducente. Trasformare in totem nazionale l’imprecisata identità russa espone a contraccolpi un paese con duecento minoranze, ovviamente a disagio in una gerarchia etnica che le relega ai margini della stato-civiltà, umanità inferiore per discendenza, religione, storia. Mentre minaccia l’altrui integrità territoriale, Mosca sta minando la propria.
Inoltre il suo civilizationism manca dell’appeal che riuscì a esercitare nel mondo l’Urss attraverso l’universalismo palingenetico del marxismo-leninismo. E mette in allarme tutti gli stati limitrofi, nei quali minoranze russo-parlanti potrebbero offrire pretesti al neo-imperialismo russo.
Infine: anche in patria il Kirill-punitismo risulta sgradito a un segmento di popolazione probabilmente molto più vasto di quanto non appaia. Segnali forti di dissenso o di rivolta sono arrivati perfino dalla chiesa ortodossa, non solo quella ucraina, ormai solo in teoria sottomessa al patriarca, ma anche quella russa.
Ma prima di compiere per intero la parabola degli ultranazionalismi slavi (vedi Grande Serbia, e com’è finita) la Russia di Putin-Kirill può riuscire a fare male non solo a sé stessa.
Dispone di un imponente arsenale militare. Fruisce della simpatia strumentale di tante autocrazie. E soprattutto: chi in Europa dovrebbe arginarlo è un vecchio belzebù spelacchiato, l’occidente. Che sia un po’ sordo e quasi cieco lo dimostra lo spettacolo che offre in queste settimane: mentre in Ucraina comincia l’offensiva russa di primavera, nel Congresso e nella Ue si tergiversa sugli aiuti militari a Kiev.
In questo caso il dum Romae consulitur Saguntum expugnatur potrebbe ricordarci che le esitazioni di Roma e la conseguente caduta dell’alleata Sagunto per mano di Annibale non condussero alla pace ma a un conflitto più esteso, la seconda Guerra punica.
Ammesso comunque che le armi arrivino per tempo, le difese ucraine resistano e infine si convinca Mosca a trattare, gli europei dovrebbero tenere a mente che premiare l’invasore riconoscendogli la sovranità su Crimea e Donbass non placherà la fame di territori ritenuti “russi” dal nazionalismo Kiril-putinista. Semmai l’aizzerà, dimostrando come la riunificazione di tutte le Russie, o considerate tali, è un obiettivo realistico.
Maccartismo de’ noantri
Quel che dovrebbe esserci chiaro è che il conflitto tra Europa e Russia non si esaurirà con una pace, sicuramente ingiusta ma sperabilmente dignitosa, tra Mosca e Kiev. In Russia è in costruzione un totalitarismo che tende a estroflettersi verso ovest perché tale è la sua natura. Contrastarlo richiede una strategia ben più complessa che aumentare la produzione bellica e confidare in sanzioni-colabrodo, cui l’Italia ha sacrificato (inutilmente?) interessi ingenti.
Sarà importante, per esempio, neutralizzare chi da noi fa il gioco di Putin. Cioè chi ne scimmiotta inconsapevolmente lo schema civilizationist, e al dunque tribale, per il quale occidentali e russi sarebbero portatori di “culture” inconciliabili. Chi vorrebbe tagliare qualsiasi rapporto accademico e artistico con russi. Chi spaccia per traditore quanti cercano di dimostrare alla società civile russa che l’Europa è ostile a un’ideologia, non a un popolo.
L’ultima volta che abbiamo visto all’opera questi nostri piccoli Putin, schiamazzavano contro l’ambasciatore Giorgio Starace. Lasciando per fine mandato la sede di Mosca Starace ha definito «dissennata» la guerra e ha rivendicato l’impegno «a favorire il dialogo con la società civile russa, che, nonostante tutto, continua a guardare all’Italia come a un punto di riferimento culturale».
Apriti cielo! Articoli irati, un’interrogazione parlamentare. È il maccartismo de’ noantri. Urge spiegare che McCarthy e i suoi furono, con la loro rozzezza ottusa, tra i più efficaci propagandisti del comunismo.
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