Donald Trump ha alzato il livello dello scontro verbale e politico contro Joe Biden e Kamala Harris, accusati di armare i nemici dell’ex presidente con la loro retorica, perché teme che il secondo progetto di attentato sventato in Florida finisca come il primo: nel dimenticatoio.

Dopo gli spari di luglio in Pennsylvania, dove davvero Trump ha rischiato la vita, l’opinione comune era che l’episodio avrebbe dato una spinta decisiva alla sua campagna, permettendogli di capitalizzare sul vittimismo e conferendogli l’aura invincibile del martire. Non c’era bisogno di sbraitare contro il clima d’odio: sarebbe bastato mostrarsi con l’orecchio incerottato e dire che Dio aveva deviato la pallottola per salvargli la vita.

Quello che è successo, invece, è che nel giro di qualche settimana l’attentato è stato digerito ed è totalmente scomparso dal dibattito politico. Il passaggio da evento decisivo a ricordo sbiadito è stato rapidissimo, e il motivo è in fondo semplice: non era un fatto politico.

L’attentatore era un giovane disturbato senza particolari idee politiche, non era il terminale di una congiura, non aveva organizzazioni alle spalle né frequentazioni in gruppi radicali, non abbiamo indicazioni che fosse ossessionato in particolare da Trump, aveva cercato online vari candidati e personaggi noti, e si era risolto per puntare il fucile contro il candidato repubblicano perché faceva un comizio vicino a casa sua. Un altro bersaglio avrebbe ugualmente soddisfatto i suoi perversi e indecifrabili propositi.

La scomparsa del fatto dall’orizzonte della discussione ha talmente innervosito il clan di Trump che c’è voluto un intervento della moglie Melania per portarlo in superficie. In un drammatico video con sfondo nero, evidentemente concepito dallo stesso direttore della fotografia di Salvini, ha denunciato il «pesante silenzio» attorno alla vicenda e ha promosso le ipotesi di complotto che circolano nel mondo Maga: «C’è sicuramente di più in questa storia e dobbiamo scoprire la verità».

Ora l’obiettivo della campagna è evitare che lo stesso processo di rimozione si riproponga anche per il secondo progetto di attentato, quello sventato in Florida. Ma è assai probabile che finirà presto per scomparire dalla discussione e dalla memoria. Innanzitutto, perché la minaccia era più lontana rispetto all’attacco in Pennsylvania.

Ryan Wesley Routh si è appostato per dodici ore con un’arma semiautomatica nei pressi del campo da golf dov’era Trump aveva l’intenzione di colpire, ma è stato individuato e fermato prima che potesse farlo, tanto che è imputato per crimini legati al possesso illegale di armi da fuoco.

Ma la questione più rilevante è che le informazioni che stanno emergendo sull’imputato lo descrivono come una persona disturbata e politicamente confusa. Certo, ha scritto che Trump, che in una prima fase aveva avuto la sua fiducia e il suo voto, è un «idiota» e ha criticato aspramente la sua posizione sull’Ucraina, lui che dopo l’invasione si era precipitato a Kiev con l’intento di arruolarsi. Ma leggere queste affermazioni come un movente politico può essere fuorviante.

Bisogna tenere presente che Routh ha scritto queste cose in un farneticante libro autopubblicato che si intitola La guerra che l’Ucraina non può vincere: l’errore fatale della democrazia, l’abbandono del mondo e il cittadino globale – Taiwan, Afghanistan, Corea del Nord e la fine dell’umanità. Nel testo si trova di tutto, e il suo contrario.

Il potenziale attentatore voleva accamparsi con la tenda nel centro di Kiev per dare un segnale di solidarietà al popolo ucraino, coltivava il progetto di portare sul fronte contro la Russia guerriglieri afghani fuggiti dal regime dei Talebani, voleva farli entrare comprando passaporti falsi in Pakistan, è stato sistematicamente respinto da tutte le organizzazione che reclutavano foreign fighters, ha criticato Trump per avere fatto saltare l’accordo nucleare con l’Iran, si offriva sui social come mediatore con Kim Jong-Un, ha sostenuto la ex deputata democratica Tulsi Gabbard, ora accolita di Trump, ha millantato di far parte di una fantomatica legione straniera al soldo di Taiwan e sostenuto un’infinità di altre cose sconclusionate.

Vederlo come un attentatore animato da una chiara volontà politica, trasformata in un progetto omicida sobillato dalla retorica anti Trump significa ignorare il resto del suo curriculum di stramberie e instabilità, che lo inseriscono invece nel profilo dell’attentatore disturbato, tragicamente comune negli Stati Uniti. Il fatto è essenzialmente impolitico, e perciò tenderà a scomparire dall’agone elettorale. Con grande scorno di Trump.

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