Il potente trafficante di migranti è stato ucciso domenica all’uscita dall’accademia di Janzour. Dopo una lunga scalata nell’universo criminale credeva di essere al sicuro
Stava uscendo dall’Accademia Navale di Janzour da solo, senza autista né scorta, a bordo della sua Toyota Land Cruiser non blindata, quando domenica pomeriggio gli è stata scaricata addosso una raffica di proiettili di mitragliatrice: è morto così Bidja, al secolo Abdul Rahaman al Milad, l’ufficiale della Guardia Costiera libica noto a livello internazionale come il trafficante numero uno di esseri umani in Libia.
Già nel 2015 Bidja ha iniziato a gestire il traffico di esseri umani stivando centinaia di migranti nei casolari di campagna alla periferia della sua città natale, Zawiya, 50 chilometri a ovest di Tripoli. Allo stesso tempo imponeva il pizzo come guardacoste agli altri trafficanti che organizzavano i viaggi della speranza attraverso Mediterraneo.
Uno schema perfetto che garantiva al clan di guadagnare dal traffico dei migranti ma anche dall’Europa per il lavoro di “poliziotti” del mare. L’Italia nel 2017 con il Memorandum di Intesa a firma dell’allora ministro dell’Interno, Marco Minniti, delegò ai guardacoste libici il ruolo principale nel contrasto alla migrazione irregolare nel Mediterraneo centrale. Ma poi anche nella Libia anarchica gradualmente si sono formate alleanze più solide di quelle da ribelli armati di quartiere.
Come tanti mafiosi, Bidja ha provato l’impresa della scalata sociale da esecutore materiale delle torture a mandante nei palazzi. Una transizione forse obbligatoria nel suo caso, dopo che è finito al centro di un’inchiesta giornalistica nel 2016 che svelò il suo ruolo centrale nel traffico di esseri umani.
Tanto che al rientro dalla sua visita ufficiale a maggio del 2017 in Italia per un corso di formazione organizzato dal ministero dell’Interno di Roma sulla gestione della migrazione irregolare, le Nazioni Unite inserirono il suo nome nella blacklist dei trafficanti di esseri umani.
Tuttavia, Roma e Bruxelles continuarono per anni a lavorare con la Guardia Costiera libica e quindi con Bidja, dicendo che nulla potevano per il principio di rispetto della sovranità nazionale. Fino a quando nel 2020 l’allora ministro dell’Interno del governo di base a Tripoli, Fathi Bashaga, decise che la testa di Bidja fosse un pegno necessario per ingraziarsi la comunità internazionale, nonostante fosse oramai uno della dozzina di trafficanti di esseri umani al soldo del governo: così Bidja fu arrestato con il beneplacito dell’allora presidente Fayaz al Serraj.
Ma dopo cinque mesi viene nominato nuovo primo ministro Habdul Hamid Dbeibah, un imprenditore di memoria gheddafiana che ama definirsi «l’uomo della riconciliazione»: nel patto di riconciliazione con gli al Nasser, Bidja viene rimesso in libertà.
Ma se per i libici era bastato un colpo di spugna per ripulire la fedina penale di Bidja, per il Consiglio di Sicurezza Bidja restava un ricercato. Così gli fu chiesto di fare un passo indietro, di rinunciare alla prima linea del pattugliamento in mare. In cambio gli fu data carta bianca nell’Accademia Navale a Tripoli.
L’Accademia è così diventata il suo nuovo ufficio, o meglio la sua nuova cabina di comando sulle operazioni che le unità della Guardia Costiera conducono in mare. È dall’accademia di Janzour che dava direttive su dove far sbarcare i migranti intercettati in mare: insomma lui rimaneva l’uomo forte della Guardia Costiera libica con cui l’Italia negli anni ha incrementato accordi di partnership fino all’esternalizzazione totale del controllo delle frontiere del sud Europa.
Nel frattempo ha messo a disposizione buona parte della sua fortuna accumulata con il traffico di esseri umani e diesel per ricostruire l’Accademia, incassando la gratitudine dei libici che in lui vedevano il patriota che si batte contro le ingerenze straniere.
E poi suo cugino Essam Buzriba, uno dei principali attori del clan al-Nasser è diventato ministro dell’Interno del governo parallelo di base nell’Est del paese, sotto il controllo del generale Khalifa Haftar.
Bidja aveva alleati su entrambe le barricate della linea del fronte, proprio come un mafioso che si rispetti. Pensava forse di essere finalmente salito al rango dei colletti bianchi, di quelli che non sparano più e quindi non rischiano neanche di essere ammazzati da un proiettile.
E invece domenica Bidja è stato ucciso, in pieno giorno. In poche ore gli account social libici si sono riempiti di migliaia di messaggi di cordoglio: per tutti un eroe nazionale.
Forse Bidja avrà avanzato una richiesta di troppo in uno di quei negoziati che la Guardia Costiera porta avanti con il Governo in Libia e indirettamente con gli europei. Forse qualcuno avrà voluto mettere fine a questa sua scalata. Ma al momento sono solo supposizioni.
Ci vorrà tempo per trovare il mandante di questo omicidio, perché non sarà facile individuare chi tra i tanti che volevano Bidja morto lo ha poi ucciso. Di fatto è stato un’esecuzione eccellente, una di quelle che cambieranno comunque la storia delle relazioni e degli affari in Libia, un monito che risuona oltre i confini della Libia scuotendo anche i vetri dei palazzi in Europa.
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